Los Angeles brucia e non è un film: l'impatto del cambiamento climatico
A Los Angeles, in California, gli incendi avanzano senza sosta. Spinti dai venti di Santa Ana. Altrove, invece, a preoccupare è l'arrivo della seconda tempesta invernale in altrettante settimane: toccherà (oltre) venti Stati americani, dal Maine al Texas. A unire questi due eventi meteorologici estremi, spiega fra gli altri Semafor, sono le perturbazioni del cosiddetto vortice polare. Detto in altri termini: gli esperti ritengono che il cambiamento climatico sia il principale responsabile di quanto sta accadendo. Nel caso della California, ad esempio, la maggior parte degli incendi più devastanti si è verificata negli ultimi dieci anni. E questo perché le stagioni degli incendi, come vengono denominate negli Stati Uniti, sono diventate più lunghe, più distruttive e più letali. Quello di Palisades, probabilmente, è il rogo più distruttivo nella storia di Los Angeles. Una prima stima, al riguardo, parla di danni per circa 55 miliardi di dollari.
Il 2025, insomma, per il momento non sembrerebbe tanto diverso dal 2024. L'anno più caldo di sempre, caratterizzato da condizioni estreme e record infranti più o meno ovunque nel mondo. Con tutte le conseguenze del caso in termini di costi. Nel 2023, scrive sempre Semafor, 26,4 milioni di persone sono state sfollate a causa di disastri legati al clima. Gli Stati Uniti, l'anno scorso, sono stati colpiti da un numero monstre di emergenze. A cominciare, appunto, dagli incendi: oltre 40 mila in tutto il Paese. Nella sola California, il numero di giorni a rischio «incendi autunnali estremi» è più che raddoppiato dall'inizio degli anni Ottanta, stando agli esperti. Ancora due anni fa, la California era alle prese con una siccità decennale, parte di una più ampia «mega siccità», negli Stati Uniti, che a detta degli esperti è stata la peggiore da 1.200 anni a questa parte. L'aumento delle temperature globali, causato dall'uso massiccio di combustibili fossili, in California ha provocato un aumento dei giorni di «fire weather» a causa dell'essiccazione della vegetazione e dei terreni e della riduzione dell'umidità.
Dicevamo dei venti di Santa Ana. Non è stato trovato, ha detto Daniel Swain del California Institute for Water Resources, un legame certo fra questi venti – delle raffiche provenienti da est che scendono dalle montagne, acquistano velocità e sferzano la costa – e il cambiamento climatico causato dall'uomo. Fra le condizioni che hanno portato alla formazione di questi venti, per contro, c'è il forte abbassamento della temperatura della corrente a getto (un veloce flusso d'aria canalizzato che muove i sistemi meteorologici ovunque nel mondo). Questo abbassamento si è tradotto nell'arrivo di aria fredda nella costa est degli Stati Uniti. I cali di temperatura della corrente a getto, secondo gran parte degli scienziati, sono collegati al cambiamento climatico. Di sicuro, i venti di Santa Ana si verificano sempre più tardi: se prima arrivavano in autunno, ora arrivano in inverno. Il fatto che gli inverni siano meno umidi rispetto al passato fa sì che il rischio incendi non si riduca, anzi.
L'estate del 2024, venendo all'Europa, è stata la più calda mai registrata, con ondate di calore, siccità e – di riflesso – incendi in tutto il continente. In Grecia, nazione fra le più colpite, alcuni incendi sono scoppiati anche vicino alla capitale, Atene, costringendo migliaia di persone a scappare. Gli scienziati, in questo senso, hanno avvertito il governo ellenico: bisogna fare di più, molto di più. La politica, nel senso della scienza e dell’arte di governare, mai come in questi anni è stata chiamata a individuare soluzioni. Non sempre, tuttavia, le ha trovate. Anche qui, con tutte le conseguenze del caso. In Spagna, le inondazioni nella regione di Valencia lo scorso ottobre hanno generato una forte, fortissima reazione (anche emotiva) dei cittadini. Così un residente al Guardian: «Ci sentiamo un po' abbandonati, non dai nostri concittadini, ma dalle autorità».
Il cambiamento climatico, dunque, è realtà. Una realtà stringente, nonostante – scrive il collega Paolo Galli – l’interesse decrescente dell’opinione pubblica nei confronti della questione climatica. Politiche e opinioni pare seguano la stessa onda. Una realtà, ancora, tangibile: nel 2024, la stagione delle piogge è stata più intensa in molti Paesi africani. Nell'Africa occidentale e centrale sono stati registrati 1.500 morti e oltre un milione di sfollati. Le forti inondazioni, è la stima degli esperti, potrebbero diventare la «nuova normalità» in Sudan, Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Nel complesso, i Paesi africani spendono fino al 9% del loro bilancio per far fronte a fenomeni meteorologici estremi, secondo l'Organizzazione meteorologica mondiale. Il tutto mentre il continente si sta riscaldando molto più velocemente rispetto alla media globale. Alle inondazioni, in Africa, ha fatto da contraltare la siccità nell'Africa meridionale, fra le peggiori degli ultimi cento anni. Secondo il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, la siccità ha spazzato via fino all'80% del raccolto in alcuni Paesi. Provocando gravi, gravissimi blackout nei Paesi che dipendono dall'energia idroelettrica.
Gli eventi meteorologici estremi hanno caratterizzato anche l'Asia e il Sudest asiatico nello specifico, oltre al Sudamerica, dove la combinazione fra cambiamento climatico e il noto fenomeno denominato El Niño ha generato temperature elevate e un gran numero di tempeste tropicali in tutto il continente. Parecchi, va da sé, anche gli incendi.