«L'Ucraina è sotto attacco»: ecco come tutto cominciò
Washington, da settimane, continuava a insistere. «Mosca sta ammassando truppe al confine con l’Ucraina, sarà invasione». Sulle prime, molti reagirono con un misto di incredulità e snobismo. Un po’ come nella favola di Pierino e il lupo. Un’invasione via terra. Nel cuore dell’Europa. Nel 2022. No, impossibile. Non può essere. «Putin – si diceva – sta solo bluffando».
E invece, Putin faceva sul serio. Purtroppo. Come spiegò quel 24 febbraio, in piena notte in Svizzera, aveva ordinato un’operazione militare speciale in Ucraina. Nel Donbass, precisò. Ma l’obiettivo – reale – era prendere Kiev e l’intera Ucraina in pochi giorni. «Denazificarla», volendo usare una sua parola.
Il cielo si chiuse
Il 23 febbraio sera, in redazione, la routine regnava ancora sovrana. Era stato, in fondo, un turno come molti altri. Nonostante le evidenze, fra cui il riconoscimento – pochi giorni prima – delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk da parte di Putin. Poi, beh, le coordinate cambiarono. All’improvviso. Poco prima di andare a casa, a mezzanotte, un collega salutandoci ci disse: «Avete visto che la Russia ha chiuso lo spazio aereo al confine?». No, non ci eravamo accorti. Rapido sguardo a Flightradar24. Quindi, un controllo ai NOTAM emessi. Sì, la Russia aveva chiuso una vasta, vastissima porzione di cielo ai voli commerciali. Sembrava l’inizio di qualcosa. Lo era. Anche perché, subito, l’intera Ucraina venne dichiarata area «do not fly».
Uscimmo con la notizia. E decidemmo di rincasare, ripromettendoci di controllare i siti internazionali – dal Guardian in giù, insomma – attanagliati da una domanda sempre più pressante: e se fosse questa LA notte? Di nuovo, lo era. Proprio il Guardian avviò una diretta. Lo stesso fece la CNN. I primi aggiornamenti riguardavano, in particolare, Kiev. Gli inviati descrivevano l’attesa dei cittadini, i timori, le paure, la sensazione – in generale – che di lì a poco qualcosa sarebbe successo.
L'annuncio all'alba di Mosca
L’annuncio arrivò verso l’alba. Meglio, verso l’alba di Mosca. Alle 5.30, le 3.30 da noi, le televisioni di Stato russe interruppero le trasmissioni per mandare in onda un discorso di Vladimir Putin. Eccola, l’operazione speciale. Finalizzata, citiamo il leader del Cremlino, a garantire la sicurezza dei cittadini russi. Di più, chi fosse intervenuto avrebbe fronteggiato «conseguenze mai viste prima».
I primi a riferirne, va da sé, furono i media russi. Poi si accodarono quelli occidentali, Corriere del Ticino compreso. Al netto della perifrasi usata da Putin, operazione militare speciale, quella era una guerra vera. E si stava sviluppando rapidamente, tant’è che la Russia alle parole del suo presidente fece seguire attacchi aerei e missilistici verso obiettivi strategici. Fu colpita anche Kiev, la capitale ucraina. Le forze di terra, invece, entrarono poche ore dopo. Nelle prime 24 ore del conflitto, la Russia effettuò contro l’Ucraina 160 lanci di missili e 75 incursioni aeree.
Il discorso aveva lo scopo di influenzare l’opinione pubblica russa e, parallelamente, spaventare tanto l’Ucraina quanto l’Occidente. L’accuratezza fattuale e la chiara inclinazione ideologica furono subito criticate al di fuori della Russia. Per giustificare l'invasione, Putin spiegò fra le altre cose che l’Ucraina è uno stato neonazista. Fece pure riferimento all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Entrambi i riferimenti furono respinti e, appunto, criticati da analisti, storici ed esperti.
Volodymyr Zelensky, fronte ucraino, rispose promulgando la legge marziale e interrompendo ogni rapporto diplomatico con la Russia. In quelle ore, cominciò la resistenza ucraina. Cominciò una guerra lunga, devastante, terribile. Una guerra che ha cambiato l’Europa e il mondo. Una guerra che, da un anno, stiamo raccontando senza sosta. Perché da quella sera, beh, niente è più stato come prima.