Guerra

L’Ucraina riconquista il sostegno degli USA, ma ora Putin accetterà la proposta di tregua?

Ripristinato il servizio di intelligence a Kiev, sul tavolo anche la proposta di cessate il fuoco per 30 giorni: la Russia deve mostrare di non essere l'ostacolo alla pace voluta da Donald Trump, ma l'Ucraina potrebbe riorganizzarsi militarmente
©Mikhail Metzel
Michele Montanari
12.03.2025 13:30

Dopo alcuni interminabili giorni con notevoli difficoltà sul campo di battaglia, specialmente nella regione russa del Kursk, gli ucraini tirano un sospiro di sollievo: gli Stati Uniti, ieri, durante i colloqui in Arabia Saudita, hanno accettato di riprendere gli aiuti militari e la condivisione di intelligence con Kiev. I funzionari del Paese devastato dalla guerra, in cambio, hanno fatto sapere di essere pronti a sostenere la proposta di Washington per un cessate il fuoco di 30 giorni con la Russia. Ora, dunque, la palla passa nel campo di Mosca.

Dopo oltre 8 ore di colloqui con i funzionari ucraini a Gedda, il segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato che gli USA avrebbero inoltrato la stessa proposta di tregua alla Russia: «La nostra speranza è che i russi rispondano "sì" il più rapidamente possibile, così da poter passare alla seconda fase, quella dei veri negoziati», ha spiegato Rubio ai giornalisti, riferendosi al piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il segretario di Stato ha pure sottolineato come Washington stia cercando di raggiungere un «accordo completo» sia con la Russia sia con l'Ucraina «il prima possibile»: «Ogni giorno che passa, questa guerra continua, le persone muoiono, le persone vengono bombardate, le persone vengono ferite in entrambi gli schieramenti».

Ora resta da vedere se Mosca sarà effettivamente disposta a far tacere le armi. Il presidente russo Vladimir Putin, in questo senso, ha dichiarato di essere disponibile a discutere un accordo di pace, ma allo stesso tempo ha ripetutamente mostrato scarso interesse per un cessate il fuoco, probabilmente per il timore che le forze ucraine, in difficoltà nel Donbass e nel Kursk, possano riorganizzarsi.

Putin, lo scorso 20 gennaio, ha dichiarato che «non dovrebbe esserci una breve tregua, né una sorta di tregua per riorganizzare le forze e riarmarle con l'obiettivo di continuare il conflitto, ma una pace a lungo termine». Ha pure alzato barriere decisamente alte in vista di un possibile accordo di pace, escludendo dal tavolo delle trattative qualsiasi concessione territoriale. Di più, secondo il capo del Cremlino, affinché una intesa sia possibile, gli ucraini dovrebbero ritirarsi completamente dalle quattro regioni occupate dai russi dal 2022 a oggi, ovvero quelle di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. Mentre la Crimea, annessa nel 2014 da Mosca, è fuori discussione. «Qualsiasi accordo dovrà essere fatto alle nostre condizioni, non a quelle americane», ha affermato un influente parlamentare russo citato dalla Reuters.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, dal canto suo, ha mostrato scetticismo, invitando a «non correre troppo» sull'ipotesi di una tregua. Peskov ha sottolineato che «per prima cosa» Mosca attende di ricevere dagli USA informazioni dettagliate sui colloqui di ieri in Arabia Saudita. «In questi giorni abbiamo pianificato anche dei contatti con gli americani, durante i quali contiamo di ricevere informazioni complete», ha spiegato il portavoce alle agenzie russe.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, invece, ha affermato che il cessate il fuoco è una «proposta positiva» che riguarda l'intera linea del fronte del conflitto, non solo i combattimenti via aria e via mare. E ha fatto sapere che la tregua entrerà in vigore «immediatamente» dopo che la Russia avrà accolto la proposta.

Con centinaia di migliaia di morti tra ucraini e russi, sia civili che militari, sarà probabilmente molto difficile per entrambe le parti accettare di congelare gli scontri. Secondo la CNN, Mosca sarà particolarmente sotto pressione in quanto dovrà dimostrare a Donald Trump di non rappresentare un ostacolo al suo obiettivo di pace ampiamente sbandierato pure durante la campagna elettorale. In quest’ottica, Putin potrebbe accettare una qualche forma di pace, che porti comunque acqua al suo mulino. Sul tavolo, infatti, non c’è solo la fine della guerra, ma anche le terre rare e le fonti energetiche: sicuramente ucraine, ma pure quelle russe farebbero gola agli USA, quantomeno per contrastare la potenza cinese. E ancora, in ballo c'è anche il possibile disimpegno da parte degli Stati Uniti, così come maggiori garanzie di sicurezza per Kiev. Le tessere del puzzle sono molteplici e davvero difficili da incastrare tra loro.

Il Cremlino potrebbe quindi prendere tempo, ritardando il cessate il fuoco per raggiungere il numero più elevato possibile di obiettivi militari, in particolare nella regione di Kursk, togliendo così all’Ucraina una buona carta da giocare al tavolo dei negoziati. Certamente, la riconquista dei territori occupati, per gli ucraini sfiancati, senza uomini e a corto di armamenti, sembra davvero impossibile. Così come sembra inevitabile che, qualora venisse definita una tregua, i combattimenti possano cessare del tutto, a causa di attriti e risentimento tra i due Paesi, probabilmente desiderosi di far valere le proprie ragioni e i torti dell'avversario.

L'obiettivo principale del capo del Cremlino, evidenzia ancora la CNN, è continuare a rafforzare i sospetti di Trump sul fatto che Zelensky sia il vero responsabile del conflitto, il «dittatore», l'unico ostacolo alla promessa elettorale del tycoon.

In un mese intero di cessate il fuoco, è poco probabile che non vi siano scontri di alcun tipo, anche solo per errore o per regolare qualche conto rimasto in sospeso. Non è infatti previsto alcun ritiro degli invasori. È dura immaginare che gli ucraini possano deporre le armi per 30 giorni con il nemico dentro casa, o che le truppe di Putin non cerchino di guadagnare terreno mentre i droni di Kiev restano a terra. Inoltre, i vari cessate il fuoco tra Ucraina e Russia dopo l'invasione della Crimea sono regolarmente stati violati. Senza contare poi che Mosca è maestra indiscussa nella disinformazione e nella guerra ibrida. Il rischio - da entrambe le parti - di «false flags», attacchi hacker e sabotaggi sarà elevatissimo, mentre la cortina fumogena della propaganda potrebbe farsi ancora più densa. Una tregua avvelenata da menzogne e rancori fa paura quanto la guerra. La Striscia di Gaza insegna.