Il caso

«Luigi Mangione era terrorizzato dai social media, dai videogiochi e dal porno»

Emergono ulteriori dettagli sul 26.enne accusato dell'omicidio di Brian Thompson, CEO di UnitedHealthcare – Uno scrittore, diventato amico del killer, confessa: «Aveva paura di perdere il controllo della sua vita»
©Benjamin B. Braun
Red. Online
17.12.2024 23:30

Il nome di Luigi Mangione, da una settimana a questa parte, ha fatto il giro del mondo. Il 26.enne è accusato di aver ucciso Brian Thompson, CEO di UnitedHealthcare, una delle più importanti assicurazioni sanitarie degli Stati Uniti. L'omicidio, addirittura, è stato commesso come «atto di terrorismo» secondo il procuratore di Manhattan, Alvin Bragg. Dal 10 dicembre – giorno in cui l'identità del killer è stata resa nota – si indaga su quelle che sono state le ragioni che hanno portato il giovane a sparare all'amministratore delegato di UnitedHealthcare, ferendolo a morte.

Di Luigi Mangione, infatti, negli ultimi si è scritto e letto tanto. Di lui, però, c'è ancora molto da scoprire. Secondo le prime informazioni diffuse la scorsa settimana, il 26.enne «si vedeva come un eroe, che aveva finalmente deciso di agire contro le ingiustizie del sistema sanitario privato». Nel 2022, si era trasferito alle Hawaii, dove lavorava a distanza in uno spazio di co-working e co-living a Honolulu. Qui avrebbe iniziato a manifestare alcuni problemi di salute, tra cui un mal di schiena cronico, che lo avevano costretto a subire un'importante operazione nell'estate del 2023.

A tal proposito, però, negli scorsi, è emerso che Mangione non era un cliente di United Healthcare. Stando alle indiscrezioni, avrebbe quindi preso di mira Thompson per essere, molto semplicemente, il CEO di una società così importante nel campo sanitario.

Giorno dopo giorno, trapela qualche informazione ulteriore che possa aiutare a far chiarezza sulle ragioni che hanno spinto Mangione a uccidere Thompson, dopo essere sparito, per diversi mesi, abbandonando la sua famiglia e i suoi affetti. Secondo quanto scrive il New York Post, citando Gurwinder Bhogal, uno scrittore britannico-inglese conosciuto online,che aveva stretto amicizia col killer, il 26.enne negli ultimi tempi era «presumibilmente terrorizzato dai pericoli dei social media, dei videogiochi e del porno». Di più, «inveiva contro l'assistenza sanitaria da mesi». 

Nello specifico, Mangione aveva lasciato intendere di avere paura «di perdere il controllo della propria vita», poco prima di tagliare i contatti con la sua famiglia e sparire per diversi mesi. «Era molto preoccupato per cose come la pornografia online. Credeva che molti uomini non uscissero e non incontrassero donne perché erano dipendenti dal porno», ha dichiarato Gurwinder Bhogal. Ma non è tutto. «Era davvero preoccupato per i videogiochi, credeva che le persone non stessero realizzando cose nel mondo reale perché ricevevano la dopamina dai videogiochi». E ancora, Mangione era terrorizzato soprattutto dai social media. Temeva, infatti, che queste piattaforme potessero fargli perdere il controllo della sua vita. Che diventassero, sia per lui che per altri utenti, una vera e propria dipendenza. Timori, questi, che il 26.enne aveva confessato a Bhogal durante una videochiamata. «Aveva paura che della tecnologia: temeva potesse togliere alle persone la possibilità di agire. Ma in realtà, probabilmente, sapeva che questo stava già accadendo». 

Una serie di paure che, a detta di Bhogal, avrebbero portato Mangione a interessarsi al «Manifesto di Unabomber», testo stilato dall'anarchico terrorista Ted Kaczynski, noto proprio come Unabomber.  «Si è interessato al lavoro di Kaczynski per questo motivo, perché anche Kaczynski credeva in questo», ha spiegato Bhogal. Durante la loro telefonata, Mangione aveva anche accennato alle «sue frustrazioni nei confronti del sistema sanitario statunitense». «Ha detto che il sistema sanitario statunitense era molto costoso e io gli ho parlato dell'NHS (National Health Service) perché qui nel Regno Unito abbiamo un sistema sanitario gratuito. E lui sembrava idolatrare il sistema sanitario del Regno Unito». Il contrario, insomma, di quanto manifestato per quello statunitense.