Lukashenko su Prigozhin: «Non è qui, ma a San Pietroburgo»
No, Yevgeny Prigozhin non è in Bielorussia. A dirlo non è esattamente un signor nessuno, ma il presidente del Paese – Alexander Lukashenko – durante un incontro con i giornalisti. Il leader del Gruppo Wagner, noto per le sue posizioni e, soprattutto, per aver tentato un colpo di Stato in Russia, sarebbe a San Pietroburgo. Una versione dunque differente rispetto a quanto era stato comunicato dal Cremlino all'indomani dell'ammutinamento. Affermazioni, quelle del leader bielorusso, prive di conferme ufficiali. Prigozhin, dal canto suo, non è più apparso in pubblico dopo la ribellione di (oramai) due settimane fa.
Prigozhin, ha spiegato Lukashenko, «è a San Pietroburgo». Di più, il fondatore della milizia privata potrebbe recarsi a Mosca, la capitale. Di sicuro, ha proseguito il presidente, «non si trova sul territorio bielorusso».
Lukashenko era intervenuto già all'indomani del caos, politico e militare, generato da Prigozhin e dalla sua marcia. Di più, aveva raggiunto un accordo con il wagneriano e, di riflesso, ottenuto il ritiro delle sue forze quando erano oramai vicinissime a Mosca. L'accordo prevedeva che Prigozhin fermasse la rivolta in cambio dell'amnistia per i suoi soldati e, ancora, di un salvacondotto personale per la Bielorussia. Nei giorni successivi all'ammutinamento, Lukashenko aveva detto che Prigozhin si trovava in Bielorussia, laddove oggi ha dichiarato che il leader del Gruppo era rimasto a San Pietroburgo per via delle sue attività commerciali.
Lukashenko ha detto di aver parlato con Prigozhin mercoledì e, di nuovo, che la milizia Wagner continuerà ad «adempiere ai suoi doveri verso la Russia finché potrà». Ha detto che Prigozhin è «un uomo libero», ribadendo tuttavia di non sapere «che cosa succederà in seguito».
Lukashenko ha anche affermato che le truppe Wagner, al momento, non si trovano in Bielorussia. Un'altra affermazione, spiega il New York Times, che non ha potuto essere verificata. Dopo il fallito ammutinamento, le truppe Wagner sono tornate nei loro accampamenti nella regione di Luhansk, nell'Ucraina orientale, una regione in gran parte occupata dalla Russia e annessa illegalmente lo scorso autunno.
Lukashenko aveva precedentemente affermato di aver offerto ai combattenti Wagner una base militare «abbandonata». Le immagini satellitari, verificate dal New York Times la scorsa settimana, hanno mostrato la costruzione di nuove strutture temporanee in una base abbandonata a circa 80 miglia da Minsk, la capitale bielorussa. Oggi, per contro, Lukashenko è apparso irritato di fronte a una domanda sulla possibile presenza di truppe Wagner in Bielorussia. «Se verranno qui e, se sì, quanti ne verranno, lo decideremo in futuro» ha detto. «Dipenderà dalla decisione presa dalla leadership della Russia e di Wagner». Lukashenko ha pure dichiarato che l'accordo di Wagner di difendere la Bielorussia in caso di guerra era la condizione principale per concedere il permesso al gruppo di trasferirsi nel Paese. «Se dobbiamo attivare questa unità per la difesa della nazione, allora sarà immediatamente attivata» ha proseguito. «E la loro esperienza sarà molto richiesta».
Dopo la ribellione del mese scorso, Lukashenko si è presentato come un mediatore di potere che ha contribuito a evitare una crisi di proporzioni epiche in Russia, sebbene sia oramai diventato sempre più isolato dal resto del mondo. Considerato dall'Occidente come un subalterno sotto il controllo del Cremlino, Lukashenko sembra cercare di dare lustro alla sua immagine come attore chiave nella risoluzione di una delle più grandi crisi del mandato di Putin alla guida della Russia. Concedendo un'intervista a un piccolo gruppo di giornalisti nel suo palazzo presidenziale, Lukashenko potrebbe sperare di stabilire una misura di indipendenza dai suoi benefattori a Mosca, ottenendo al contempo una spinta in patria, con un elettorato più interessato alla pace che a partecipare alla guerra di Putin in Ucraina.