L'ultimo, grande sciopero degli sceneggiatori di Hollywood
Hollywood, dunque, dovrà affrontare (di nuovo) uno sciopero degli sceneggiatori? Sembrerebbe di sì. L’ultima volta, e da malati di serie tv quali eravamo lo ricordiamo benissimo, fu nel novembre del 2007. Anni e anni di sfiducia, un crescente divario salariale e l’ingresso, prepotente, della tecnologia spinsero, allora, quasi 12 mila membri della Writers Guild of America, la WGA, a incrociare le braccia e, soprattutto, a sfidare i colossi dell’entertainment americano.
Ma che cosa successe, di preciso? In estrema sintesi, colossi quali Disney e Fox premevano per proteggere i profitti mentre gli sceneggiatori puntavano a una fetta di torta più sostanziosa, al grido «non ci sarebbe industria senza scrittori». Lo sciopero durò addirittura 100 giorni, provocando danni a entrambi gli schieramenti. Da una parte, molti sceneggiatori persero lavoro e contratti, con effetti a cascata su altri attori dello spettacolo: dai parrucchieri agli addetti del catering. Dall’altra, molte produzioni vennero accorciate o addirittura interrotte. Le perdite economiche? Fino a 2,1 miliardi, secondo le stime.
La questione digitale
Lo sciopero, all’epoca, aveva molto a che fare con la digitalizzazione di Hollywood. Fa sorridere, e pure molto, pensare che la minaccia non era rappresentata da Netflix, bensì dall’ingresso sul mercato dei primi videoregistratori con possibilità di saltare le pubblicità.
Le tensioni, ad ogni modo, erano palpabili. E si infilarono nei colloqui fra WGA e Alliance of Motion Picture and Television Producers per il rinnovo del contratto, da siglare entro il 1. maggio. Oggi, nell’associazione che ingloba i vari produttori di Hollywood, ci sono anche Netflix, Amazon, Apple e gli altri protagonisti dello streaming.
I parallelismi fra ieri e oggi, affermano gli esperti, non mancano. E potrebbero appunto a portare a conseguenze e danni importanti.
Daniel Kwan, sceneggiatore e regista di Everything Everywhere All at Once, trionfatore agli Oscar, su Twitter l’ha toccata piano volendo usare un’espressione gergale: «Si tratta solo di scrittori che ottengono una quota equa. Si tratta di mantenere una sana classe media/operaia di scrittori nel nostro settore. Si tratta di mostrare la nostra forza collettiva mentre la nuova tecnologia minaccia di portarci via la nostra influenza».
Ma chi vinse?
Nel 2007, gli sceneggiatori si sedettero al tavolo con una ferma convinzione: gli accordi passati rappresentavano una sconfitta, soprattutto perché concedevano percentuali ridicole ai membri della WGA sulle vendite home video. Ma in ballo, come detto, c’erano anche Internet e il futuro dell’intrattenimento. Gli sceneggiatori, insomma, avevano capito che il mondo stava cambiando e puntavano a essere rappresentati, bene, anche nel nuovo panorama.
Nessuno, in ogni caso, aveva intuito che in futuro le aziende sarebbero state in grado di far pagare ai consumatori un’offerta distribuita via streaming. Molti, se non tutti, puntavano ancora agli introiti della pubblicità.
Difficile, tornando allo sciopero del 2007, dire chi – alla fine – abbia avuto la meglio. I dirigenti degli studios, dopo una cinquantina di giorni, invocarono le cosiddette clausole di forza maggiore presenti nei contratti, che consentirono alle reti di annullare generosi accordi generali con la WGA che, fra le altre cose, compensavano gli sceneggiatori anche se i loro prodotti non venivano portati avanti.
Quelle stagioni stravolte
Le trattative attuali si stanno svolgendo in un clima altrettanto cupo e complicato, a maggior ragione se pensiamo che molti studios puntano a una riduzione dei costi, complice il (quasi) tramonto del modello Netflix e la necessità di ritrovare redditività attraverso modelli ibridi (abbonamenti a pagamento ma con pubblicità). C’è perfino chi, fra gli analisti, ha ipotizzato che uno sciopero rappresenterebbe un modo, almeno sul breve, per risparmiare sui costi di produzione.
Nel febbraio 2008, al termine dell’ultimo, grande sciopero degli sceneggiatori, questi ultimi ricevettero maggiori garanzie circa gli introiti derivanti da film e serie tv online. Oggi, l’orizzonte – dicevamo – è grigio: Disney ha appena lanciato un programma per ridurre i costi di 5,5 miliardi di dollari, con circa 7 mila posti di lavoro in fumo. Di più, l’associazione dei produttori si è rivolta a un altro sindacato, la Directors Guild of America (DGA), il cui contratto scadrà poco dopo quello della WGA, per negoziare un nuovo accordo.
Al centro del discorso e delle polemiche, manco a dirlo, ci sono le piattaforme streaming. Che, a detta degli sceneggiatori, non forniscono abbastanza dati sui singoli show. Come si può, così, comprendere se una serie o un film ha avuto o meno successo? «La mia opinione personale è che la trasparenza dei dati è disperatamente necessaria, oggi, se vogliamo avere la pace del lavoro» ha detto Ken Ziffren, avvocato che ha rappresentato a lungo la DGA, al Los Angeles Times.
Fra le serie tv che, nel 2007-08, subirono degli stravolgimenti citiamo, fra le tante, Lost. Le conseguenze dello sciopero degli sceneggiatori arrivarono durante la quarta stagione, inizialmente pianificata su sedici episodi. Ne vennero trasmessi otto, a gennaio 2008, proprio mentre gli sceneggiatori stavano incrociando le braccia. Alla fine della serrata, i produttori decisero di girare cinque episodi aggiuntivi. Gli episodi mancanti, comunque, non andarono persi. Le stagioni successive vennero infatti allungate facendo slittare in avanti idee di trama già pronte. I responsabili della serie aggiunsero anche mezz’ora alla puntata finale, già il doppio della durata. Così, venne creato un episodio conclusivo di 105 minuti, quasi un film, che a distanza di anni fa ancora parlare di sé.