Roma

L'ultimo viaggio del Papa giunto alla fine del mondo

Anche oggi, per tutto il giorno, decine di migliaia di persone sono rimaste in fila per ore per dare l'estremo saluto a Francesco – Dal Ticino nessuna delegazione ufficiale, ma molti fedeli hanno scelto comunque di esserci – La testimonianza di un padre che ha portato con sé i due figli
© KEYSTONE (EPA/ANGELO CARCONI)

Nel suo capolavoro Il Testamento di Tito, Fabrizio De André canta: «Ma adesso che viene la sera ed il buio, mi toglie il dolore dagli occhi. E scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti».

Quelle meravigliose parole, scritte dall’ateo più spirituale della musica italiana, accompagnano idealmente la morte di Gesù sotto gli occhi di Tito, anch’egli condannato allo stesso triste destino, e si prestano perfettamente nel raccontare gli ultimi momenti che hanno preceduto la chiusura del feretro di Francesco, forse il Papa della storia recente della Chiesa più attento alle istanze dei laici, soprattutto se parliamo di alcune delle sue visioni. Di certo, quello che più di altri ha infranto le barriere tra l’autorità spirituale e i fedeli.

Forse è per questa genuina vicinanza con le persone che tutto il mondo, non solo quello cattolico, sembra essersi concentrato sotto il cielo di Roma. Una città che non ha fatto la stupida, alternando un bel sole primaverile a qualche nuvola, e lasciando spazio a un leggero vento che ha donato un po’ di sollievo alle oltre 150mila persone accorse per dare un ultimo saluto al pontefice argentino.

Non si contano più i fedeli che hanno sfidato il caldo, ma soprattutto la pazienza, tra percorsi labirintici e tempi di attesa di oltre 2 ore, resi ancora più complicati da un dispositivo di sicurezza particolarmente rigido.

Il giorno più lungo di questa settimana, destinata comunque a rimanere nella storia, per i tanti ticinesi che assisteranno domani ai funerali in presenza è cominciato ben prima dell’alba, riempiendo i treni diretti verso la capitale italiana. Tra loro anche don Emanuele Di Marco, che ha conosciuto personalmente Jorge Mario Bergoglio, l’uomo dietro Francesco.

«È un viaggio carico di emozioni contrastanti: dolore per la perdita, ma anche una gioia profonda per aver potuto camminare con lui in questo tempo - dice il neo rettore del seminario al cronista che, con lui, è salito sul treno - Ho incontrato spesso papa Francesco quando vivevo a Roma, proprio accanto a Casa Santa Marta. Eravamo, in un certo senso, vicini di casa. Lo incrociavo nei corridoi, prima delle celebrazioni, e nei momenti più semplici e umani. Era un uomo profondamente affabile, diretto, vero. Ma anche deciso: se qualcosa non lo convinceva, era un no secco. Non per capriccio, ma per coerenza. Questo suo tratto, a volte spigoloso, era parte della sua forza profetica».

Molti gli insegnamenti che don Emanuele si porterà per sempre nel cuore. «Si svegliava prestissimo per dedicare tempo alla preghiera, cosa che a noi spesso capita di relegare ai ritagli di tempo della nostra quotidianità. E della preghiera sottolineava l’importanza per la nostra anima. Ci ha insegnato a rimettere Gesù Cristo al centro, a guardare gli ultimi, ad amare davvero. È stato un Papa che ha fatto della sua umanità un segno del divino. E, in questo viaggio che è anche un addio, porto con me gratitudine, commozione e una fede ancora più consapevole».

Non essendoci alcuna delegazione ufficiale diocesana accorsa per i funerali, il viaggio di don Emanuele è un’iniziativa personale, esattamente come quella di tanti ticinesi che hanno preferito vivere questo momento di raccoglimento e riflessione assieme a gruppi ristretti di familiari e amici. «Abbiamo origini argentine, per noi è emozionante pensare di venire dalla stessa terra di Francesco - racconta al CdT Max, trader di Lugano arrivato a Roma assieme a moglie e figli - Ho seguito con grande commozione il papato di Bergoglio, sentivo il bisogno di essere qui oggi per omaggiarlo. Quando i miei figli cresceranno, spiegherò loro con orgoglio che anche noi siamo arrivati dalla fine del mondo». Il più piccolo dei due, invero, sembrava decisamente più interessato ai gelati che uscivano dall’unico bar facilmente raggiungibile da piazza San Pietro, preso d’assalto da giovani, in divisa scout o di varie associazioni, che avevano già previsto la partecipazione al Giubileo degli adolescenti. «Mai ci saremmo aspettati che questo viaggio a Roma avrebbe assunto un significato ancora più profondo - spiega Katia, un’esploratrice di un gruppo scout di Avola - È diventata, nella commozione e nella condivisione, per tutti noi un’esperienza indimenticabile, di quelle che segnano per tutta la vita».

La chiusura della bara

Quando sulla città scendono le prime ombre, la piazza del grande abbraccio del Bernini è vuota. Gli ultimi fedeli escono dalla Basilica, poi le porte si chiudono. Dentro, lontano dagli occhi del mondo, si compie il rito della chiusura della bara del pontefice. Il cerimoniere adagia un velo di seta bianca sul volto di Francesco. È facile immaginare quanto ciò possa commuovere i presenti, i quali assistono in silenzio e in preghiera a una consuetudine antica, che si è ripetuta per tutti i predecessori di Francesco.

Subito dopo, la bara di legno rivestita di zinco è stata sigillata. Al suo interno è stato inserito un sacchetto contenente le monete coniate durante il pontificato di Francesco e una copia del «rogito», il documento - scritto in latino - che riassume la vita e le opere del pontefice.

Il significato

Il gesto dell’adagiare il velo di seta bianca sul volto del successore di Pietro ha una forte valenza simbolica, dal valore spirituale e storico radicato nella tradizione della Chiesa cattolica. Il velo, infatti, rappresenta la transizione dalla vita terrena alla dimensione spirituale: il volto del Papa è sottratto alla vista dei vivi, gli occhi del defunto smettono di vedere la luce del mondo in attesa di vedere quella di Dio.

Il velo, inoltre, sul piano laico - ma nel caso del vicario di Cristo in terra, ovviamente, in senso del tutto sacrale - richiama un’usanza comune nei secoli passati, quando i defunti venivano coperti per preservare la loro dignità.

Il volto di papa Francesco, per dodici anni esposto allo sguardo continuo e costante del mondo, è stato alla fine celato, a simboleggiare che la sua missione terrena si è definitivamente conclusa.

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