Lungo il confine fra Messico e USA una tregua che rischia di spezzarsi

Tanta paura per niente. Almeno per ora. Alla mezzanotte tra giovedì e venerdì scorso è scaduto negli Stati Uniti il Titolo 42, la policy che ha permesso agli agenti di frontiera americani di rispedire in Messico centinaia di migliaia di richiedenti l’asilo negli ultimi tre anni, utilizzando la motivazione della pandemia. Quella crisi ora non c’è più. E al contrario delle attese non si è verificato, almeno fino a questo momento, nemmeno il flusso incontrollato di immigrati che una grande maggioranza di persone temeva.
50% in meno
I media statunitensi hanno usato termini apocalittici nel raccontare le ore precedenti la fine del Titolo 42. Il Washington Examiner, giornale conservatore, lo ha definito il nuovo «D-Day». Altre testate hanno parlato di «anno zero». Vox, giornale online, ha scritto un’analisi sugli effetti «sismici» che la policy - attuata dal presidente Trump nel 2020, preservata da Biden nel 2021 e tenuta in piedi da un giudice federale in Louisiana l’anno scorso - ha generato al confine. Centinaia di reporter hanno atteso la mezzanotte in Texas, Arizona o Messico, al fianco di mezzi pesanti, fucili, agenti di polizia e sirene. Tutti si aspettavano un’invasione. La realtà, invece, ha raccontato un’altra versione: nei tre giorni successivi alla scadenza del Titolo 42, il numero complessivo di persone fermate al confine si è dimezzato, dalle 10.000 di giovedì alle poco meno di 4.300 circa di lunedì. Dando ragione a quei critici che avevano visto proprio nell’applicazione di questa policy il motivo per cui il confine abbia vissuto nel caos dall’inizio della pandemia, con più di 2,8 milioni di espulsioni. Titolo 42, infatti, non è mai stata una legge d’immigrazione, ma una policy sanitaria. Il che significa che coloro che durante la pandemia hanno attraversato il confine alla ricerca d’asilo e sono stati intercettati, non sono stati accusati di essere entrati illegalmente nel Paese; sono stati respinti per la presenza del virus e quindi «incoraggiati» dal sistema a tentare di nuovo il varco nel giro di pochi giorni. Non è un caso, dice Aaron Reichlin-Melnick dell’American Immigration Council, che il cosiddetto tasso di recidività – che calcola quante volte una singola persona attraversa il confine dopo essere stata espulsa – abbia toccato il 27% lo scorso anno. Prima della pandemia era appena del 7%. «I confini sono sempre stati sigillati», Reichlin-Melnick spiega. «Il motivo per cui il totale delle espulsioni si è gonfiato così è proprio perché una grossa parte di loro non veniva né deportata, né iniziava il proprio caso d’asilo. Veniva semplicemente respinta piùvolte».
E ora?
La relativa quiete al confine potrebbe non durare a lungo. I cartelli criminali, che continuano a controllare le cittadine messicane di Nuevo Laredo, Reynosa e Matamoros, stanno già lavorando per adattarsi al cambio di policy. Mentre per i richiedenti l’asilo, ancora costretti a pagare loro una tassa salata per attraversare il fiume Rio Grande, i muri sono diventati due. Da una parte quello fisico, targato Trump. Dall’altro quello legislativo, targato Biden. Da venerdì scorso è infatti in vigore il cosiddetto «Asylum Ban», un decreto che vieta a tutti gli immigrati che non riescono a dimostrare di aver fatto domanda a un Paese terzo, di rimanere negli Stati Uniti a presentare il proprio caso. Una mossa che, denunciano diverse organizzazioni no-profit per i diritti umani, viola le leggi internazionali sancite dalle Nazioni Unite e tradisce una promessa fatta in campagna elettorale dal Biden candidato: che con la sua amministrazione il sistema di accoglienza sarebbe tornato a essere umano. «Biden sta procedendo a pieno ritmo lungo un percorso di criminalizzazione dei migranti», dice al Corriere del Ticino Andrea Carcamo, policy director di Freedom for Immigrants, un’organizzazione a favore dei richiedenti l’asilo. «Le disumane politiche che sta perseguendo includono la resurrezione del ‘‘divieto di transito’’ di Trump e l’aumento di azioni punitive come procedimenti penali, espulsioni e detenzione».
Espulsioni e rilasci
In concomitanza con il Titolo 42 e il nuovo ban sui richiedenti l’asilo, sembra sia entrata in vigore anche una serie di restrizioni nei pressi di un altro confine, più a sud: tra Messico e Guatemala. L’amministrazione Biden ha chiesto per mesi al Governo messicano di ostacolare quante più persone possibili prima del loro arrivo negli USA. Giornalisti messicani hanno riportato in queste ore una presenza più intensa della guardia nazionale. E intanto, coloro che ce l’hanno fatta a oltrepassare i confini, il muro di Trump e il ban di Biden, continuano a vivere nel caos all’interno del Paese. Il Governo americano ha infatti rilasciato in queste ore più di 6.000 richiedenti asilo senza comunicare loro una data in corte per la loro udienza, come parte di un programma per snellire i centri di detenzione al confine. Il problema? Un gruppo di Stati repubblicani ha fatto causa all’amministrazione Biden per bloccare la pratica e un giudice in Florida ha dato loro ragione. Aprendo un nuovo squarcio di instabilità in una situazione che, seppur non apocalittica, continua a rimanere profondamente precaria.
Come siamo arrivati qui
Tutto ha avuto inizio nel marzo del 2020, quando Donald Trump chiuse i confini tra Stati Uniti e Unione Europea e sigillò quelli di terra a nord e a sud per proteggere il Paese dal pericolo mortale di Covid-19. Il Titolo 42, emanato ufficialmente dai Centers for Disease Control, l’agenzia federale che gestisce il sistema sanitario negli Stati Uniti, ha di fatto sospeso il cosiddetto Titolo 8, la legge che regola i flussi migratori al confine e determina chi merita di discutere il proprio caso d’asilo e chi invece deve essere deportato per aver attraversato quel confine illegalmente. L’amministrazione Biden ha tentato di rimuovere il Titolo 42 e di reintrodurre il Titolo 8 nel maggio del 2022, ma il giudice Robert Summehays di Lafayette, in Louisiana, ha bloccato la fine della policy a seguito di una causa legale firmata da 20 stati repubblicani. La deadline di venerdì è conseguenza di una decisione terza presa dall’amministrazione Biden nelle scorse settimane: quella di porre fine allo stato d’emergenza Covid-19 a livello nazionale, di cui Titolo 42 era parte integrante.
Chi può entrare?
Come parte del nuovo piano di restrizione degli ingressi, l’amministrazione Biden ha reso noto di essere disposta ad accettare fino a 30,000 persone al mese da Venezuela, Haiti, Nicaragua e Cuba e 100,000 da Guatemala, El Salvador e Honduras, a condizione che arrivino tramite voli aerei, abbiano un cittadino americano che ne certifichi la domanda d’asilo e che compilino l’aaplicazione online. Altri migranti possono richiedere asilo al confine, ma solo utilizzando CBP One, un’app supervisionata dal governo americano che accetta fino a 1,000 applicazioni al giorno. Le famiglie che tenteranno di attraversare il confine a piedi rimarranno in stato di fermo e sotto coprifuoco per un mese, al termine del quale il governo americano si pronuncerà sul loro caso. Durante questi 30 giorni, il capo di ogni nucleo familiare dovrà indossare un braccialetto elettronico.