L'intervista

«L’unica vera garanzia per Kiev è il suo esercito»

Con Yaroslav Trofimov, capo corrispondente per gli affari esteri del Wall Street Journal, ucraino, facciamo il punto dopo il vertice di Washington e in attesa di quello tra Putin e Zelensky
© EPA
Paolo Galli
19.08.2025 20:44

Altre bombe sono cadute sull’Ucraina. Altre vittime tra i civili. Poche ore dopo il vertice di Washington, nulla è cambiato nei ritmi della guerra scatenata dalla Russia ormai tre anni e mezzo fa. E se anche Volodymyr Zelensky ha parlato di «passi importanti», dopo l’incontro alla Casa Bianca, molto ancora c’è da fare sul cammino che porta alla pace, a qualunque forma di pace. Voci insistenti vanno nella direzione di un bilaterale tra il presidente ucraino e il suo omologo russo Vladimir Putin entro fine mese, nelle prossime due settimane. Per analizzare la situazione, ci siamo rivolti a Yaroslav Trofimov, capo corrispondente per gli affari esteri del Wall Street Journal, nato a Kiev e a lungo inviato a Roma.

Signor Trofimov, ripartiamo dal vertice di Washington. Più proclami o più risultati?
«Dal mio punto di vista, il risultato più importante di questo vertice è che prima, a Washington, si insisteva sul fatto che dovesse essere Zelensky quello chiamato a fermare la guerra, a sacrificare i propri territori nel Donbass e a trovare un accordo di pace. Adesso qualcosa è di nuovo cambiato. E si sottolinea come sia Putin a dover cercare l’incontro con Zelensky e, poi, in secondo luogo, a tre con Trump. E allora la prossima mossa, adesso, spetta proprio a Putin. Certo, per lui - lo sappiamo - è complicato accettare la legittimità di Zelensky. Lui, da sempre, parla del Governo di Kiev come di un Governo illegittimo».

Ecco, proprio in questo senso, quanto è credibile allora l’ipotesi - che diamo quasi per scontata ormai - di un incontro imminente tra Zelensky e Putin? In fondo Putin non ha mai dato l’idea di tenere particolarmente a questa eventualità...
«È vero, Putin fin qui non ha ancora accettato ufficialmente di partecipare a questo vertice. E in effetti non ha mai neppure dato legittimità a Zelensky, il quale al contrario è pronto a un incontro senza pre-condizioni. Putin parla del Governo Zelensky come di un Governo non eletto, criminale. Incontrare il presidente ucraino, quindi, rappresenterebbe una grande concessione, che cambierebbe anche la narrativa della guerra all’interno della Russia stessa. Nella propaganda russa, questa guerra è stata da subito paragonata alla grande guerra patriottica contro i nazisti, con gli ucraini raccontati come nemici da distruggere, e non come potenziali partner per un accordo di pace. Insomma, vediamo cosa succederà».

Concretamente, il primo nodo da sciogliere è quello dei territori da cedere alla Russia. Secondo lei, Kiev è pronta a farlo? In che modo Zelensky potrà, nel caso, accettarlo?
«Per analizzare la questione dei territori, occorre osservare l’evoluzione del conflitto. La Russia a inizio 2022 aveva il controllo del 7% del territorio ucraino - la Crimea e parte di Donetsk e Lugansk -, ora ne ha quasi il 19%. Ma dal novembre del 2022, dal momento in cui è finita la controffensiva ucraina, a oggi, la Russia è riuscita a conquistare meno dell’1% del territorio ucraino. Ma a quale costo? Ha sacrificato centinaia di migliaia di suoi soldati. Ora Putin reclama territori non ancora conquistati - ovvero parte del Donetsk, le zone di Zaporizhzhia e Kherson - che richiederebbero in realtà anni e anni di combattimenti, secondo i tempi attuali del conflitto, e milioni di soldati sacrificati. E allora è impossibile pensare che Zelensky li concederà gratuitamente, in cambio di nulla. Parliamo, in particolare pensando a quella fetta del Donetsk, di una terra sacra, ormai, per l’Ucraina, che rappresenta un simbolo di resistenza, se guardiamo indietro al 2014. Non è un aspetto legato al solo Zelensky. Sarebbe difficile per ogni altro presidente, ma anche per l’esercito, concedere quel territorio, quella roccaforte, in cambio di nulla. A meno che sulla bilancia non vengano messe garanzie di sicurezza militare americane, con la presenza di truppe americane in Ucraina; un’ipotesi poco probabile».

Il secondo nodo riguarda proprio le garanzie di sicurezza; da Washington sono arrivati segnali confusi sotto questo aspetto: a che cosa può davvero ambire Zelensky?
«Qui va fatta chiarezza, perché l’unica vera garanzia di sicurezza per l’Ucraina consiste nell’esercito ucraino. Se gli americani e gli europei non sono pronti a combattere oggi per l’Ucraina, perché dovrebbero esserlo domani? Non è logico. Se non c’è la presenza militare americana, oltre a quella europea, sul suolo ucraino, con licenza di combattere, allora ogni discorso in questo senso è inutile. Per questo motivo è importante armare l’Ucraina, fornire di armi e investimenti in produzione militare interna Kiev. L’unica garanzia, così, sarebbe la dissuasione, ma servirebbero, per questo, anche armi a lungo raggio, per poter tenere nel mirino le industrie petrolifere russe. Questo, e niente altro».

Ha citato l’Europa. La mia impressione è che abbia avuto un ruolo ancora una volta marginale, lunedì. È stato persino doloroso vedere Macron chiedere di essere coinvolto in un incontro a quattro successivo a quello a tre. Ma che cosa potrebbero fare di più gli europei?
«Effettivamente gli europei fanno ciò che possono. Forse hanno avuto un ruolo nell’influenzare, almeno in parte, la visione di Trump, che sembrava dapprima completamente allineato con Putin, dopo il vertice in Alaska. Con il presidente americano non si può mai sapere, perché come sappiamo cambia idea frequentemente. Una cosa è certa: la sicurezza dell’Ucraina è anche la sicurezza degli europei. Se Kiev dovesse capitolare, poi l’Europa sarebbe la prossima sulla lista di Putin. Per questo, per esempio, la Germania sta investendo tanto nella difesa».