L’uomo sogna lo spazio: «Ma la vita su Marte sarà dura»

Quello che stiamo vivendo è un periodo di incredibile incertezza. Programmare, pensare al futuro, sembra essere diventato impossibile: prendiamo un giorno alla volta, mentre gli occhi sembrano incollati alla punta delle scarpe, incapaci di spingersi più in là.
Una notizia delle ultime settimane, però, potrebbe aver spinto alcuni ad alzare lo sguardo verso il cielo. L’Uomo, scopriamo, non ha smesso di pensare in grande e lo ha dimostrato grazie a tre missioni spaziali.
Il 9 febbraio il satellite Hope, degli Emirati Arabi Uniti, ha raggiunto l’orbita di Marte. Così, il giorno dopo, anche quello della missione Tianwen-1 della Cina, che conta di far atterrare un proprio rover - un veicolo automatizzato adibito all’esplorazione della superficie di corpi celesti - sul pianeta rosso entro maggio. Ieri sera è stato il turno degli Stati Uniti, che con il rover Perseverance sperano di poter raccogliere campioni da riportare poi sulla Terra.
Insomma, Marte appare molto trafficato in questi giorni, ma mentre diverse nazioni hanno fatto la loro mossa e negli stessi Stati Uniti si parla già da tempo di una futura colonizzazione del pianeta (con il miliardario Elon Musk tra i principali promotori di questo progetto), l’Agenzia spaziale europea (ESA) sembra essere in ritardo. È davvero così? E quanti anni ci vorranno prima che un essere umano possa mettere piede sul pianeta? È davvero immaginabile, a breve termine, una colonizzazione di Marte? Ne abbiamo parlato con l’astronauta svizzero Claude Nicollier.
L’ESA? Non è in ritardo
«Nessun ritardo da parte dell’ESA», ci dice subito il nativo di Vevey. «L’Agenzia spaziale europea ha già dei satelliti (“orbiter”, ndr) che orbitano attorno a Marte e diversi altri progetti importanti in cantiere. I mezzi però sono limitati e bisogna dunque scegliere con attenzione a cosa lavorare. Con ExoMars, missione per la quale l’ESA collabora con l’agenzia russa Roscosmos, si progettava di portare un rover sul pianeta rosso in questo stesso periodo, ma una serie di problemi, tra i quali sicuramente anche la pandemia, ha costretto l’Agenzia europea, nel 2020, a rimandare il lancio», spiega Nicollier. «In casi del genere, quando si chiude la finestra per il decollo, bisogna attendere e progettare quella successiva, che non può arrivare prima di due anni più tardi». Normale dunque, evidenzia il vodese, che il lancio del rover europeo sia previsto per il 2022. «Abbiamo perso un’opportunità, ma non sarebbe corretto parlare di ritardo».
«Dal punto di vista dell’esplorazione del sistema solare, l’Europa ha fatto delle cose magnifiche, pensiamo ad esempio alla sonda Huygens, che si è posata su Titano (luna di Saturno, ndr) nel 2005, o alla missione Rosetta (con la quale è stata studiata la cometa Churyumov-Gerasimenko tra il 2004 ed il 2016, ndr), progetto ammirato da tutto il mondo».
E cosa ne pensa Nicollier della giovane agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti, che in sette anni dalla sua fondazione ha già ottenuto un successo simile con l’orbiter Hope? «Si tratta sicuramente di una grande performance», ci spiega l’astronauta, «ma senza nulla togliere agli Emirati, va ricordato che la missione è avvenuta in collaborazione con il Giappone, che ha fornito il sito di lancio: non è ancora tutto pronto per un progetto eseguito in completa autonomia. C’è comunque una forte volontà, da parte di questo Paese, di emergere, di piazzarsi tra le poche Nazioni che possono dire di aver compiuto esplorazioni spaziali: servono molto coraggio e talento».
Perseverance, è fatta
Con questi orbiter e rover, l’esplorazione potrà proseguire spedita, permettendo agli scienziati di analizzare meglio l’atmosfera e la superficie del pianeta rosso. Questi dati serviranno poi a progettare un altro grande passo per l’umanità: quello di portare degli astronauti sul pianeta rosso. «Su Perseverance, il rover che gli Stati Uniti hanno fatto atterrare ieri sera su Marte, c’è MOXIE, uno strumento in grado di generare ossigeno dall’atmosfera marziana. Ovviamente, se l’esperimento dovesse riuscire, queste nuove conoscenze potrebbero essere utilizzate per l’invio di esseri umani», ci spiega Nicollier. A differenza di quanto affermato da Elon Musk, CEO di Tesla e fondatore di SpaceX, sarebbe però ancora troppo presto per pensare alle colonie: «Il primo gruppo di esploratori, 5-6 persone, verrà inviato probabilmente tra una quindicina di anni: parliamo di una rischiosa missione di esplorazione che potrebbe anche portare alla morte dei membri dell’equipaggio. La vita su Marte sarà difficile: oltre all’assenza di ossigeno, si registrano temperature più basse di quelle terrestri e nessuno potrà correre in soccorso degli astronauti nel caso dovessero verificarsi dei problemi, poiché il viaggio per arrivarvi durerà diversi mesi. Alcuni esploratori potranno magari accettare simili condizioni in nome della conoscenza, ma è troppo presto per inviare decine di migliaia di persone, sarebbe una cosa irresponsabile».
I test della «Starship» di Musk, l’astronave (letteralmente) con la quale il miliardario intende avviare la colonizzazione di Marte, procedono però spediti: i lanci di collaudo (eseguiti il 9 dicembre 2020 e il 3 febbraio scorso), hanno ricevuto il plauso della NASA, e questo nonostante il fallimento, in entrambi i casi, della fase di atterraggio. «Quanto ottenuto da Musk è notevole», ci spiega Nicollier. «La transizione che la ‘‘Starship’’ è in grado di effettuare, dal volo verticale a quello planato, è qualcosa di incredibile, mai visto. Ammiro molto gli esperimenti compiuti per questo veicolo spaziale: è un progetto molto coraggioso e innovativo per il quale alcuni fallimenti iniziali vanno messi in conto. Ma se l’atterraggio non ha funzionato le prime due volte, sono sicuro che lo farà la terza», conclude ridendo.
«Nuovi astronauti svizzeri? Devono pensare come Roger Federer»
Oltre alle missioni su Marte, c’è altro che in questi giorni ha infervorato gli appassionati dello spazio: l’ESA ha recentemente annunciato di essere alla ricerca di nuovi astronauti. Tra il 31 marzo ed il 28 maggio, gli interessati potranno inviare le proprie candidature e, dopo una spietata selezione che durerà circa un anno e mezzo, solo una manciata di loro (dai quattro ai sei) verrà effettivamente reclutata.
In passato, l’Agenzia spaziale europea ha effettuato simili selezioni solo in altre tre occasioni, l’ultima delle quali è stata nel 2008: dei quasi 10 mila candidati presentatisi, solo cinque uomini e una donna hanno poi potuto fregiarsi del titolo di «astronauta». Per accedere al reclutamento, oltre a soddisfare tutta una serie di requisiti curriculari, i candidati devono essere cittadini di uno dei 22 Stati membri, dei quali fa parte anche la Svizzera, o di uno dei due Paesi associati: Slovenia e Lettonia.
Che sia l’occasione giusta per portare un altro elvetico nello spazio? «Io ci spero molto e sono assolutamente convinto che la Svizzera abbia delle possibilità», afferma Nicollier. «Alle candidate e ai candidati elvetici, e sottolineo ‘‘candidate’’ perché l’ESA sta spingendo molto per espandere la diversità di genere tra le sue file, consiglio di presentarsi alle selezioni con la stessa attitudine che Roger Federer porta in campo quando gioca. Quando si reca a Wimbledon, al Roland Garros o ad altri grandi tornei, Federer lo fa con l’idea di vincerli, non si accontenta di partecipare. Ci sono molte svizzere e molti svizzeri che hanno tutti i requisiti necessari per candidarsi, ciò di cui hanno bisogno è di arrivare alle selezioni con questa idea, quella di essere lì per vincere. L’attitudine è ciò che conta», conclude l’astronauta.