Ma dove vuole andare Trump con queste nomine?
Trump è tornato, più forte che mai. Uscito vincitore dallo scontro con Kamala Harris, il 45. e, presto, 47. presidente degli Stati Uniti non ha dovuto attendere la cerimonia d'insediamento, prevista per il prossimo 20 gennaio, per mettere in moto la propria macchina amministrativa. Come da prassi, anzi, a una manciata di giorni dalla conclusione della corsa presidenziale, il neoeletto ha già iniziato a plasmare il governo che verrà. Ma come verrà? Le nomine di Gabinetto espresse in questi giorni dal tycoon possono darci un'idea precisa della linea che assumeranno gli Stati Uniti nei prossimi anni. A tal riguardo abbiamo sentito le valutazione di Raffaella Baritono, ordinaria di Storia e Politica degli Stati Uniti d’America alla Scuola di Scienze politiche dell’Università di Bologna, e di Massimo Teodori, già professore di Storia e istituzioni degli Stati Uniti e autore di diversi saggi e scritti sulla politica USA.
Le nomine
Una cosa è certa, evidenziano i due esperti: il periodo 2024-2028 non sarà una fotocopia del 2016-2020. «Credo che la futura presidenza Trump sarà molto diversa da quella passata. Nel 2016, Trump si era presentato come un outsider anche rispetto al partito repubblicano e aveva vinto quasi inaspettatamente. Per questo si era circondato di una serie di personaggi che avevano una loro esperienza, soprattutto in ambito militare, per sopperire alla sua mancanza di sapere istituzionale», comincia Baritono. Negli ultimi anni, tuttavia, «la situazione è cambiata. Il partito repubblicano – rimosse tutte le persone che avevano posizioni critiche nei confronti di Trump, specialmente per quanto riguarda le sue responsabilità nell'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 – è diventato il braccio istituzionale del movimento MAGA».
Matt Gaetz, rappresentante della Florida già sotto indagine per traffico sessuale, nominato procuratore generale. Pete Hegseth, anchorman e veterano contrario all'inclusione nell'esercito, leader della Difesa. Tulsi Gabbard, politica accusata di simpatizzare per Vladimir Putin e Bashar al-Assad, coordinatrice delle agenzie d'intelligence. E poi uno degli ultimi a salire, in tempi utili, sul carro di Mar-a-Lago: Robert Fitzgerald Kennedy Jr., convinto no-vax, scelto come capo della sanità. Sono solo alcuni dei nomi emersi in questi giorni. Ma abbastanza da indicare una tendenza. «A primo impatto colpisce si tratti di persone non qualificate per le responsabilità che vengono loro assegnate, formatesi non in una tradizionale carriera politica repubblicana, ma nella fedeltà al capo, Trump. L'aspetto che va maggiormente sottolineato, tuttavia, è un altro», spiega Teodori. «L'obiettivo dichiarato di Donald Trump è di assottigliare, se non distruggere, il governo federale che lui chiama Deep State, dando maggior potere ai singoli Stati. Con queste nomine, Trump neutralizza quei gruppi e dipartimenti (forze armate, intelligence, giustizia) che già nel primo mandato si erano opposte alla sua politica».
Cambiamenti interni
La scelta di profili controversi non ha fatto l'unanimità, nemmeno in seno al partito repubblicano. Tanto che non pochi rappresentanti del partito dell'elefante non hanno nascosto il disappunto per alcune nomine che, è bene sottolinearlo, per divenire effettive dovranno essere approvate in Senato. Che Trump sia costretto, mancato il quorum, a qualche deviazione rispetto al piano originale? «Specialmente per gli incarichi che riguardano la sicurezza nazionale è possibile si manifesti un'opposizione, non tanto dal partito repubblicano, ma quanto dall'establishment militare che in queste ore ha già fatto trapelare tutte le sue perplessità rispetto a questi nomi», risponde Baritono. Possibile, ma non probabile: come ricorda un recente articolo della CNN, l'unica volta che un candidato di un nuovo presidente è stato respinto da un voto del Senato è stato nel 1989, quando George H.W. Bush provò a nominare John Tower, un ex senatore del Texas, come segretario alla Difesa. Al suo posto, Bush padre dovette scegliere Dick Cheney.
Indipendentemente dalle nomine, ma ancor più se dovessero essere confermate, gli americani affronteranno anni di grandi cambiamenti: il tycoon ha in mano un tris vincente per realizzare ogni sua mira: un Gabinetto di fedelissimi rappresenterebbe il poker. «Trump si trova a governare con Senato e Camera a maggioranza repubblicana, alle quali si aggiunge una Corte suprema che, contrariamente al suo ruolo storico di elemento equilibratore, si è comportata recentemente in maniera partigiana. Questo fa cadere una delle caratteristiche del sistema politico istituzionale americano, quello di contrappesi, che pone limiti ai poteri delle differenti istituzioni». E la tendenza verrebbe amplificata, evidenzia Teodori, da «un Gabinetto composto da persone fedeli alla persona» più che al Paese.
Della stessa opinione la professoressa Baritono: «Il messaggio che sta mandando Trump è chiaro: ciò che ha detto in campagna elettorale è ciò che farà. E queste nomine sono esattamente in linea con il progetto. Se nel suo precedente mandato Trump non era riuscito ad andare fino in fondo nel suo progetto di smantellamento delle strutture federali, la vittoria non solo della presidenza, ma anche in Senato e alla Camera, lo legittima ancor più a un comportamento consequenziale rispetto alle promesse espresse durante la corsa alla Casa Bianca». Dal depotenziamento delle agenzie federali allo smantellamento di regolamentazioni per l'ambiente o a tutela dei lavoratori. Dallo stretto controllo sulla sanità a quello sull'istruzione. Tutti punti, insomma, contenuti nel tanto contestato Project 2025, programma politico ideato dal think tank Heritage Foundation dal quale Trump aveva, in campagna presidenziale, preso le distanze. «Ma che ora viene ripreso come un possibile punto di riferimento per la sua battaglia contro il cosiddetto Deep State».
E la politica estera?
Ma le nomine di Trump non danno indizi solo sul futuro degli Stati Uniti. E la scelta di Mike Huckabee – conosciuto per la frase: «Non esiste alcun palestinese» – quale ambasciatore americano in Israele è forse la più parlante: «Lascia presagire quanto già chiaro durante le elezioni, e cioè che le promesse di mettere fine alle guerre in Medio Oriente e in Ucraina non chiariscono il come e a spese di chi», continua Baritono. «Se già nel precedente mandato aveva offerto appoggio incondizionato a Netanyahu, con ogni probabilità avallerà ancor più le pretese della destra israeliana per non soltanto avere il controllo di Gaza, ma anche della Cisgiordania, così da eliminare il problema palestinese piuttosto che provare a trovare una soluzione nel rispetto dei diritti dei due popoli». Discorso simile per Kiev. In qualità di segretario di Stato, a gestire gli affari esteri sarà Marco Rubio, che ad aprile aveva fatto parte di un piccolo gruppo di repubblicani che avevano votato contro un pacchetto di aiuti da 95 miliardi di dollari per aiutare l'Ucraina. «Anche qui, il tentativo di mettere fine alla guerra avrà un costo, che potrebbe non essere "soltanto" quello della cessione definitiva del Donbass o della Crimea».
Più ottimista, invece, Teodori: «Trump e la sua politica sono imprevedibili, questo va sempre ricordato. Per questo è difficile dire con certezza che posizione assumerà, fino a dove andrà la sua simpatia per Putin o per Netanyahu». Secondo l'esperto, c'è più certezza nei cambiamenti che subiranno i rapporti con la Cina: «Ci sarà un'accentuazione della guerra commerciale con Pechino. Ma ciò che è più preoccupante è l'indifferenza di Trump non solo verso i Paesi europei, ma verso i Paesi europei uniti nell'UE, con la quale – rispetto a quanto fatto finora – potrebbe favorire rapporti bilaterali invece che internazionali e comunitari».