Il dato

Ma gli endorsement ai politici funzionano ancora?

L'ultimo in ordine di tempo è quello della rivista The Atlantic, che intende supportare Kamala Harris – Da Taylor Swift ai quotidiani conservatori inglesi, l'effetto di questi appoggi non sarebbe decisivo
© Brendan Smialowski
Red. Online
14.10.2024 14:00

Giovedì, The Atlantic ha annunciato il suo appoggio alla candidata democratica Kamala Harris in vista delle prossime presidenziali. Si tratta del quinto endorsement della rivista nei suoi 167 anni di vita. The Atlantic ha motivato la sua decisione in parte per i valori che incarna l'attuale vicepresidente degli Stati Uniti – la devozione al servizio pubblico, il rispetto per la democrazia e la fiducia nella libertà, uguaglianza e dignità di tutti gli americani – e, in parte, perché  «eleggerla e sconfiggere Donald Trump è l'unico modo per liberarci dall'incubo politico in cui siamo intrappolati».

Negli ultimi mesi, scrive al riguardo Semafor, altre testate che l'America colloca a sinistra hanno appoggiato Kamala Harris: Vogue, Scientific American e The New Yorker. Domanda: funziona? Riformuliamo: appoggiare un candidato può fare, davvero, la differenza e spingere quel candidato verso la vittoria? Snì. Raramente, scrive sempre Semafor, gli endorsement fanno cambiare idea agli elettori. A meno che, sostiene Matthew Yglesias sul suo blog Slow Boring, questi appoggi ufficiali non forniscano informazioni nuove e sorprendenti ai lettori. Addirittura, un'uscita allo scoperto potrebbe pure avere ripercussioni negative. Secondo uno studio, infatti, l'appoggio della rivista scientifica Nature a Joe Biden, nel 2020, ridusse la fiducia degli elettori di Donald Trump nella pubblicazione e, allargando il campo, nella comunità scientifica in generale. Quelli che producono gli effetti maggiori e migliori sono appunto gli endorsement sorprendenti, seppure in linea di massima coerenti con l'orientamento ideologico del giornale, come nel caso del Chicago Tribune, quotidiano di centro-destra che nel 2008 appoggiò Barack Obama mantenendo il suo stile colloquiale. In ogni caso, sebbene possano creare slancio per i candidati difficilmente gli endorsement possono cambiare il corso di un'elezione.

Lo slancio, dicevamo, è tanto minore quanto maggiore è la consapevolezza che l'endorsement arriva da un attore già schierato. Ovvero, se davvero endorsement doveva essere, non sorprende che quello dell'Atlantic sia a favore della candidata democratica. Proprio pensando all'orientamento ideologico della rivista. Gli economisti, venendo al mondo dello spettacolo, stimano che a suo tempo, nel 2008, l'appoggio di Oprah Winfrey garantì a Barack Obama un milione di voti in più. Oprah, tuttavia, all'epoca era considerata una celebrità apolitica. Per cui, beh, sorprese con la sua discesa in campo a favore di Obama. Le celebrità apolitiche, oggi, sono invece una rarità. Il che, di riflesso, rende la maggior parte degli endorsement meno sorprendenti e, quindi, meno ficcanti. Non solo, stando all'Economist la frammentazione che ha prodotto l'ascesa dei social fa sì che il pubblico di una star televisiva, ora, sia meno vasto. Detto ciò, è altresì vero che le celebrità possono ancora spingere la gente alle urne: Taylor Swift, ad esempio, ha indirizzato oltre 300 mila utenti al sito federale di registrazione poco dopo il suo sostegno a Kamala Harris.

È interessante, infine, tracciare un parallelismo con il Regno Unito. Semafor sottolinea come alle recenti elezioni generali i giornali conservatori di proprietà di Rupert Murdoch, il Times e il Sun, abbiano messo da parte la tradizione per appoggiare il Partito Laburista. È vero che i Laburisti hanno vinto, perfino in maniera schiacciante, ma è improbabile che questo cambio di casacca abbia dato la spinta necessaria. Anzi, i risultati sono stati così schiaccianti che probabilmente i Laburisti avrebbero vinto comunque. Alcuni dirigenti dei media, non a caso, ritengono che gli endorsement finiscano per allontanare i lettori. Non proprio il massimo, in un momento di difficoltà per la stampa.