Ma perché la Mongolia non vuole arrestare Vladimir Putin?
«Arrestatelo». Ieri, venerdì, l'Ucraina ha invitato la Mongolia ad arrestare il presidente russo Vladimir Putin in occasione della sua visita nel Paese asiatico, in programma la prossima settimana. Le motivazioni di Kiev, invero, seguono un ragionamento logico: Ulan Bator, infatti, è membro della Corte penale internazionale (CPI). Ovvero, l'organismo che ha emesso un mandato di cattura per il leader del Cremlino. «La parte ucraina spera che il governo della Mongolia sia consapevole del fatto che Vladimir Putin è un criminale di guerra» ha affermato il Ministero degli Esteri ucraino in una nota. «Invitiamo le autorità mongole a eseguire il mandato di cattura internazionale vincolante».
Putin è atteso in Mongolia martedì. Si tratta della sua prima visita a un Paese membro della Corte penale internazionale da quando quest'ultima, nel 2023, ha ordinato l'arresto del presidente russo. La CPI, dal canto suo, ha ribadito che la Mongolia ha «l'obbligo di cooperare» mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, con sicumera ha spiegato ai giornalisti che non c'è «alcuna preoccupazione» circa un possibile arresto di Putin. Peskov ha aggiunto che «tutti gli aspetti della visita» sono stati affrontati e che Mosca ha un ottimo dialogo «con i nostri amici della Mongolia».
In effetti, al di là degli obblighi verso la CPI in quanto Paese membro, sembra alquanto improbabile che la Mongolia arresti Vladimir Putin. Un consulente politico vicino al Cremlino, al riguardo, ha dichiarato a Bloomberg che i rischi, per il presidente russo, stanno a zero. Di più, le autorità di Ulan Bator avrebbero dato le necessarie garanzie alla controparte: Putin e i membri della sua delegazione non sarebbero finiti in manette durante la visita. Gli occhi del mondo, in ogni caso, saranno puntati sulla Mongolia. Proprio perché il mandato d'arresto emesso dalla Corte penale internazionale ha complicato, e non poco, la vita al leader russo. L'anno scorso, giova ricordarlo, Putin non aveva preso parte al vertice dei leader del gruppo BRICS in Sudafrica. Temendo che Johannesburg potesse cooperare in quanto Paese membro della CPI. Non è chiaro, d'altro canto, nemmeno se Putin si recherà al prossimo vertice BRICS, in programma in Brasile. Paese che, in maniera verrebbe da dire vaga, ha deciso di lasciare ai tribunali la decisione se arrestare Putin o no.
La domanda, ora, potrebbe sorgere spontanea: perché la Mongolia, come detto, non sembra affatto intenzionata (eufemismo) a cooperare e, quindi, ad arrestare Putin? Una risposta potrebbe arrivare dall'energia: oltre il 95% del carburante mongolo, infatti, proviene dalla Russia, come spiegato da due analisti di Foreign Affairs. Tradotto: se il Cremlino lo volesse, potrebbe letteralmente fermare il Paese asiatico. Una dipendenza, quella da Mosca, balzata agli onori della cronaca l'inverno scorso: a causa di problemi operativi nelle centrali elettriche russe, infatti, la Mongolia ha lamentato non poche carenze. Il Mongolia Weekly, al riguardo, ha parlato di «passività strategica» e paragonato la dipendenza di Ulan Bator da Mosca alla questione del gas russo in Europa prima dell'invasione. Va detto che non tutti, nel Paese, sono felici di ospitare il presidente russo, al netto dell'esercizio di equilibrismo delle autorità mongole, decise a non aggravare le relazioni con Mosca. La visita di Putin, ha scritto un ex assistente presidenziale su X, Tuvshinzaya Gantulga, fa «deragliare» il diritto internazionale. Diritto che, ha aggiunto, «dovrebbe proteggere un piccolo Paese come la Mongolia».
Schiacciata, per così dire, fra Cina e Russia, la Mongolia sta cercando una terza via con l'aiuto degli Stati Uniti. Ulan Bator, di nuovo con un notevole sforzo di equilibrio, ha tenuto esercitazioni militari con gli eserciti di Pechino, Mosca e Washington lo scorso anno. Ma la ricerca dell'equilibrio, dopo l'invasione russa dell'Ucraina, sta diventando sempre più complicata. E la visita di Putin, certo, non aiuta.