Il ritratto

Macron, l'uomo faro dell'Unione Europea

Il dinamismo del presidente francese e candidato all'Eliseo ha subito un'accelerazione dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina – Un pragmatismo diplomatico dettato dall'emergenza, ma anche dalle opportunità legate alla crisi – E i sondaggi sembrano premiarlo
Danilo Ceccarelli
29.03.2022 07:51

Presidente della Francia e del semestre del Consiglio UE, ma anche mediatore diplomatico e candidato all’Eliseo. Sono tante le vesti indossate da Emmanuel Macron in queste ultime settimane, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Fin dall’inizio della crisi, il capo dello Stato francese ha dimostrato un dinamismo sulla scena internazionale già visto in passato su altri dossier. Ma questa volta, il presidente si pone al centro del gioco, dettando il tempo delle mosse europee nella delicata partita in corso. Ampio spazio al dialogo, con un tour de force telefonico che tiene Parigi in contatto costante con Mosca e Kiev. Nelle difficili trattative con l’omologo russo Vladimir Putin, Macron vuole mantenere tutti i canali aperti, senza pericolosi strappi. In un simile contesto non ha certo aiutato la recente uscita del presidente statunitense Joe Biden sul «macellaio» Putin. Macron, con l’aiuto del cancelliere tedesco Olaf Scholz, è corso immediatamente ai ripari per spegnare sul nascere un nuovo incendio, «senza fare la guerra e senza escalation». «La discrezione è più efficace», diceva il presidente francese giovedì scorso al termine dei vertici straordinari della NATO e del G7 a Bruxelles. Toni bassi, quindi. Putin è «l’aggressore» e va sanzionato, ma è fuori questione definirlo un «criminale di guerra» come ha fatto Biden.

L’imperativo è il cessate il fuoco

Adesso l’imperativo è il cessate il fuoco e l’apporto di aiuti umanitari. Poco importa se sarà necessario riallacciare i rapporti con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, fino a poco fa praticamente inesistenti dopo le tensioni degli ultimi anni. Al termine del Consiglio europeo della scorsa settimana, è stata annunciata una collaborazione tra Parigi, Ankara e Atene per evacuare Mariupol, assediata dai bombardamenti russi. Macron è sincero, non esita a definirsi «preoccupato» e «pessimista» per quello che sta succedendo alle porte dell’Europa; lancia l’allarme sui rischi di una possibile crisi alimentare conseguente alla guerra e annuncia il mandato della Commissione europea per acquistare gas destinato ai Paesi membri.

In prima linea

Il presidente francese si posiziona così in prima linea, assumendo di fatto la leadership dell’UE nella gestione del dossier. Un pragmatismo diplomatico dettato dall’emergenza della situazione, ma anche dalle opportunità legate a questa crisi. Lo testimoniano i grandi sorrisi e le pacche sulle spalle scambiate tra i capi di Stato e di Governo sotto gli stucchi della Reggia di Versailles il 10 e l’11 marzo durante il vertice organizzato nell’ambito del semestre europeo a guida francese. Con Macron a fare gli onori di casa, mentre alle porte dell’Europa continuava il conflitto, i 27 hanno parlato dell’impatto sul Vecchio continente, soprattutto in termini energetici e militari. Un’occasione per rispolverare il progetto di riforma dell’UE annunciato da Macron dalla Sorbona all’inizio del suo mandato e mai realmente decollato, soprattutto a causa della cancelliera tedesca Angela Merkel, ormai uscita di scena. Con una simile minaccia ai confini, il rafforzamento dell’autonomia strategica è ormai inevitabile nel quadro di una maggiore integrazione generale, che si potrebbe ridisegnare proprio sul modello presentato dalla Francia. Il tutto, in piena collaborazione con la NATO, definita solamente tre anni fa in stato di «morte cerebrale» da Macron e oggi risvegliatasi grazie all’«elettroshock» inferto dalla guerra. L’UE deve riformarsi e diventare un partner di pari livello dell’Alleanza atlantica, sfruttando la più tragica delle occasioni.

Presidente «fino alla fine»

Una scommessa da cui dipende l’immagine dell’inquilino dell’Eliseo agli occhi dei partner europei e a quelli dei suoi elettori, ormai pronti a votare alle elezioni del 10 e 24 aprile. L’impegno diplomatico mostrato nella crisi ucraina ha permesso a Macron di rafforzare la sua statura internazionale. Poco importano le puntuali smentite del Cremlino arrivate dopo i comunicati diffusi dall’Eliseo al termine dei lunghi colloqui telefonici con Putin: lo storytelling di un presidente troppo impegnato ad alzare i toni con l’omologo russo per fare campagna elettorale è stato più forte. Ma la guerra ha soprattutto fornito una scusa per non immischiarsi in una campagna elettorale sottotono già da prima dello scoppio della crisi e ormai finita definitivamente in secondo piano. Macron ha annunciato la sua candidatura solamente il 3 marzo, a poco più di un mese dal voto, mantenendo così la promessa di rimanere presidente «fino alla fine», per il bene dei francesi e di tutta l’Europa. La tattica al momento sembra dare i suoi frutti. Nell’ultimo sondaggio, Macron resta saldamente in testa al 28% delle intenzioni di voto al primo turno, nonostante un calo di 2,5 punti in tre settimane. La leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, segue da lontano al 17,5%, pur confermando il suo ruolo di sfidante al secondo turno, dove però viene data perdente con il 43% delle preferenze. Un distacco che il presidente uscente cercherà di mantenere durante lo sprint finale nella corsa all’Eliseo

La vecchia linea filo-putiniana non pesa su Le Pen

Nessun imbarazzo, tantomeno rimpianti. Marine Le Pen appare sicura di sé quando parla delle sue vecchie simpatie per il presidente russo Vladimir Putin. Fuori discussione che attaccando l’Ucraina il capo del Cremlino abbia «superato la linea rossa» cadendo nel «torto». Ma la leader del Rassemblement National e candidata alle presidenziali francesi di aprile non rinnega l’ammirazione nei confronti di un dirigente con il quale non ha mai avuto «legami di amicizia». Eppure, secondo Libération il suo partito pochi giorni dopo lo scoppio della crisi ha mandato al macero migliaia di depliant elettorali freschi di stampa contenenti una foto di Le Pen mentre stringeva la mano a Putin, incontrato durate la campagna del 2017. Un modo sbrigativo per togliersi dallo stesso impaccio in cui sono caduti molti partiti sovranisti europei? Certo è che Le Pen ha sempre sostenuto le scelte di Putin fino allo scoppio di questa crisi. Nel 2014 ha difeso l’annessione della Crimea. Lo stesso anno ha ottenuto un prestito da 9,4 milioni di euro dalla banca russa First Czech-Russian Bank, passato in seguito alla società Aviazaptchast, con la quale è stato rinegoziato due anni fa. La vecchia linea filo-putiniana non sembra però aver messo in difficoltà Le Pen, data negli ultimi sondaggi tra il 17,5 e il 21%, seconda dietro al presidente Emmanuel Macron. A differenza di Eric Zemmour, altro candidato di estrema destra in passato ammiratore del presidente russo scivolato tra il 9 e l’11% cento, la leader del Rassemblement National ha mantenuto una linea chiara fin dal primo giorno del conflitto, evitando ogni ambiguità. Le Pen si è mostrata favorevole all’accoglienza dei profughi in fuga dal conflitto, ha condannato la mossa di Putin e appoggiato le sanzioni, a patto che non danneggino i francesi. «I francesi potranno sempre contare sulla mia imparzialità», ha promesso nei giorni scorsi Le Pen, che oggi si dice «equidistante» da Stati Uniti e Russia. 

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