Mandato d'arresto della CPI per Netanyahu e Gallant: e adesso?
La Corte penale internazionale, nota altresì con l'acronimo CPI, il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l'umanità, ha dunque emesso un mandato d'arresto contro Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, e Yoav Gallant, oramai ex ministro della Difesa dello Stato Ebraico. Netanyahu e Gallant sono accusati di crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi all'interno della Striscia di Gaza fra l'8 ottobre 2023, all'indomani degli attacchi terroristici di Hamas in territorio israeliano, e (almeno) il 20 maggio scorso.
Karim Khan, il procuratore capo della Corte, aveva chiesto un mandato d'arresto per Netanyahu già lo scorso maggio. Israele, tuttavia, aveva inoltrato alcuni ricorsi. Ricorsi che la Corte, spiegano le agenzie di stampa internazionali, ha respinto. Emettendo, infine, il mandato. A maggio, ricordiamo, Khan aveva chiesto un mandato d'arresto anche per due leader di Hamas, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, e per il capo di Hezbollah Ismail Haniyeh. I tre, per contro, sono stati uccisi da operazioni israeliane negli scorsi mesi.
La domanda, ora, è se Netanyahu e Gallant verranno immediatamente arrestati. La risposta è no. La Corte, infatti, non dispone di una propria forza di polizia. Al contrario, si affida ai singoli Stati per arrestare le persone oggetto di un mandato di arresto. Israele, dal canto suo, non ha firmato lo Statuto di Roma, il trattato grazie al quale, nel 1998, venne istituita la Corte penale internazionale. Tradotto: lo Stato Ebraico non ne riconosce la giurisdizione e, quindi, non procederà direttamente all'arresto dei due politici. In una nota, l'ufficio del primo ministro Netanyahu ha commentato così la mossa della CPI: «La decisione antisemita della Corte penale internazionale equivale al moderno processo Dreyfus, e finirà così. Israele respinge con disgusto le azioni e le accuse assurde e false contro di esso da parte della Corte Penale Internazionale, che è un organismo politico parziale e discriminatorio».
Detto di Israele, sono in tutto 124 i Paesi firmatari del citato Statuto di Roma. Ognuno di questi Paesi, quindi, sarebbe tenuto ad arrestare chiunque sia oggetto di un mandato di arresto qualora si trovasse sul proprio territorio. Se, in teoria, Netanyahu e Gallant venissero in Svizzera – un Paese che riconosce la CPI – il governo sarebbe obbligato ad arrestarli e a condurli all'Aia, nei Paesi Bassi, dove ha sede la Corte. E dove si terrebbe il processo. Nonostante ciò, la stessa Corte non ha alcuno strumento per far sì che i singoli Stati rispettino le decisioni prese dalla CPI. Non solo, gli Stati Uniti, in assoluto l'alleato più stretto di Israele, non riconoscono la giurisdizione della CPI: Netanyahu, insomma, può ancora recarsi a Washington senza conseguenze.
Nel mandato d'arresto appena spiccato, la Corte ha spiegato di avere «ragionevoli motivi» per credere che Netanyahu e Gallant siano penalmente responsabili per diversi crimini. In particolare, il primo ministro e l'ex ministro della Difesa avrebbero adoperato come metodo di guerra, citiamo, la privazione di cibo, acqua, elettricità, carburante e medicine nella Striscia di Gaza, provocando la morte di civili a causa di malnutrizione e disidratazione. E ancora: la Corte ha individuato altri, «ragionevoli motivi» per ritenere Netanyahu e Gallant responsabili di omicidio e persecuzione della popolazione di Gaza. Privata dei diritti fondamentali, compresi quelli alla vita e alla salute. Infine, Netanyahu e Gallant secondo la Corte sono colpevoli degli attacchi intenzionali commessi contro i civili nella Striscia. Nonostante avessero a disposizione i mezzi per prevenire o evitare questi crimini, Netanyahu e Gallant secondo la Corte non lo avrebbero fatto.
I mandati, in conclusione, sono stati emessi in un momento quantomeno delicato per Khan, che sta affrontando un'indagine esterna. Le accuse, come riportato dal Guardian il mese scorso, includono molestie sessuali indesiderate e «abuso» per un periodo prolungato, nonché comportamento coercitivo e abuso di autorità. Khan, 54 anni, ha negato ogni accusa e ha detto che collaborerà con le indagini. La presunta vittima, un avvocato della CPI sulla trentina, in precedenza aveva rifiutato di commentare.