Mortali ed economici, perché si parla ancora dei droni iraniani Shahed?
Dal 7 ottobre scorso, riferisce il Guardian, si stima che le basi statunitensi in Medio Oriente abbiano subito qualcosa come 165 attacchi. Di cui uno, come noto, mortale, con tre riservisti dell'esercito americano uccisi al confine fra Giordania e Siria. Secondo il Pentagono, quest'ultimo attacco aveva «l'impronta» di Kataib Hezbollah, una milizia irachena allineata all'Iran. Non solo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha aggiunto di ritenere Teheran responsabile nella misura in cui «sta fornendo armi» a più attori. Armi o, se preferite, droni. Droni che, anche per il loro costo relativamente basso, stanno cambiando la natura e il corso dei conflitti.
Ma quali anni Novanta...
«Immaginate di tornare negli anni Novanta» ha spiegato al riguardo Fabian Hinz, esperto di armi in Medio Oriente presso l'Istituto Internazionale di Studi Strategici. «Quello che gruppi di miliziani come Kataib Hezbollah avrebbero potuto fare era prendere di mira una base statunitense con qualche razzo. Ora, nel 2024, possono fare molti più danni con una portata maggiore: anche i droni più piccoli possono avere gittate molto lunghe ed essere molto precisi».
Il modello esatto del drone abbattutosi nel cuore della notte su un alloggio della Torre 22, una base logistica statunitense sin qui sconosciuta, non è noto. Tuttavia, gli ufficiali statunitensi hanno riferito che si trattava di «un tipo di drone Shahed». Probabilmente, l'attacco è stato perpetrato sfruttando il più piccolo Shahed 101 o lo Shahed 131 con ala a delta. Si ritiene che entrambi, infatti, facciano parte dell'arsenale di Kataib Hezbollah, ha aggiunto Hinz. La gittata stimata? Almeno 700 chilometri. Il costo per singolo drone? 20 mila dollari circa.
Secondo gli Stati Uniti, il progettista e probabile produttore dei droni è lo Shahed Aviation Industries Research Center, un'azienda iraniana dipendente dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche del Paese. I suoi sforzi produttivi sono decollati negli ultimi cinque anni, alimentati da una serie di conflitti e dalle ambizioni di politica estera dell'Iran.
Dal 2019 a oggi
Teheran, dal canto suo, ha alle spalle una lunga storia di test e dispiegamento di droni, risalente addirittura alla guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta. Lo sforzo del Paese è stato guidato in parte dalla mancanza di accesso alla tecnologia occidentale di alto livello, che gli ha impedito di acquistare, sviluppare e mantenere una sofisticata forza militare aerea. Nel settembre del 2019, per contro, un massiccio attacco con droni e missili a due installazioni petrolifere saudite ad Abqaiq e Khurais – capace di mettere temporaneamente fuori uso il 5% della fornitura mondiale di petrolio – suggerì un diverso approccio e un incredibile salto di qualità da parte iraniana.
All'epoca, l'Arabia Saudita era coinvolta nella guerra civile dello Yemen contro i ribelli Houthi, alleati dell'Iran. Sebbene l'attacco fosse stato rivendicato dagli Houthi, i sauditi affermarono che i droni, di un tipo con ala a delta allora sconosciuto, provenivano dal nord e non dallo Yemen meridionale. Per questo motivo, incolparono l'Iran. Quei droni, in un secondo momento, vennero identificati come Shahed 131. Il drone «sconosciuto» ad ala delta riapparve nel luglio 2021, in un attacco a una petroliera di proprietà israeliana, la Mercer Street, in cui morirono un britannico e un romeno. Dominic Raab, allora segretario agli Esteri britannico, disse che il responsabile era probabilmente l'Iran. L'esistenza del nuovo drone non fu formalmente riconosciuta dall'Iran fino a dicembre dello stesso anno, mentre l'Iran sviluppò uno Shahed 136 in scala ridotta insieme al 131.
Pochi mesi dopo, la Russia invase l'Ucraina. Dopo il fallimento del suo piano di conquista-lampo, con tanto di rovesciamento del governo a Kiev, iniziò a cercare nuove armi. L'Iran era uno dei pochi Paesi, insieme alla Corea del Nord, disposto a vendere armi a Mosca. Accettò quindi di fornire gli Shahed 136, visti per la prima volta sul campo di battaglia nell'autunno del 2022, quando un comandante ucraino affermò che uno Shahed aveva distrutto un obice M777 durante la controffensiva di Kharkiv: «Invece di sparare 100 proiettili di artiglieria, è più facile sganciare uno di questi droni» le sue parole.
Nel giro di poche settimane, i droni Shahed si distinsero non solo per la loro forma ma anche per il loro motore rumoroso, che suonava a metà tra un tosaerba e un motorino. Un attacco al centro di Kiev, il 17 ottobre dello stesso anno, li portò alla ribalta delle cronache: quattro persone vennero uccise in un terrificante attacco mentre gli Shahed sorvolavano il centro della città.
Perché la Russia li ha usati (e li usa)
I droni Shahed 136 hanno una struttura leggera in fibra di carbonio e un raggio d'azione di oltre 1.500 miglia, che consente alla Russia di farli volare dalla Bielorussia a nord e dalle zone occupate a sud per colpire le città dell'Ucraina. Possono trasportare 20-40 kg di esplosivo, circa il doppio del 131 e abbastanza per «fare un buco piuttosto grande in una struttura non temprata», secondo Justin Bronk, analista dell'aviazione presso il Royal United Services Institute intervistato sempre dal Guardian.
I droni, ha aggiunto Bronk, sono considerati sostituti economici dei missili da crociera guidati.
La Russia, detto dei primi utilizzi di questi droni, sta continuando a servirsi degli Shahed in Ucraina. A novembre, un numero record di 75 droni-kamikaze ha preso di mira Kiev, la capitale, anche se la loro crescente familiarità fra le fila ucraine e la loro lentezza li ha resi più facili da neutralizzare: 71, infatti, erano stati abbattuti, avevano spiegato i funzionari ucraini. Eppure, l'evoluzione della tecnologia continua. Lo scorso novembre l'Iran ha sviluppato uno Shahed 238 con motore a reazione più veloce, in grado di volare a una velocità ben doppia rispetto al 136: si ritiene sia stato usato dai russi in Ucraina il mese scorso.
Quali sono i vantaggi per Teheran?
La tecnologia fa comodo anche a Teheran, evidentemente: I droni Shahed possono essere facilmente forniti agli alleati regionali dell'Iran, gli Houthi o le milizie della sedicente resistenza in Iraq o in Siria, in toto o in componenti. Sebbene la Russia ne abbia fatto un uso palese, i droni possono essere impiegati in modo occulto, come nel citato attacco ad Abqaiq o, più recentemente, nell'attacco alla Torre 22, dove persino gli Stati Uniti hanno tentennato prima di attribuire con certezza la responsabilità dell'attacco.
In Yemen, vengono riassemblati e talvolta perfezionati, mentre dal 7 ottobre scorso sono stati utilizzati ripetutamente dagli Houthi nei loro attacchi alle navi occidentali nel Mar Rosso meridionale e nel Golfo di Aden, persino per colpire direttamente le navi da guerra occidentali. Finora, gli attacchi degli Houthi alle navi da guerra sono tutti falliti, ma l'attacco più significativo del 9 gennaio ha dimostrato un effetto asimmetrico. Spieghiamo meglio: sette dei 18 droni Houthi sono stati abbattuti dalla nave britannica HMS Diamond utilizzando un mix di armi da fuoco più economiche e missili Sea Viper o Aster, che invece costano da 1 a 2 milioni di sterline ciascuno. Si tratta di una semplice illustrazione di come i droni impongano dei costi ai difensori diametralmente opposti a questa nuova classe di armi. Calcoli simili possono applicarsi anche in Ucraina e altrove.
«L'Iran sta dimostrando che una capacità relativamente robusta non ha bisogno di essere molto avanzata e che, praticamente, qualsiasi forza militare può permettersi un numero qualsiasi di droni» ha chiosato Samuel Bendett, specialista di droni presso il Center for Naval Analyses statunitense, suggerendo che probabilmente la tecnologia si diffonderà ulteriormente. «Piuttosto che investire in capacità di combattimento più costose, è più conveniente acquistare un drone e sperare che colpisca qualcosa o che il nemico spenda risorse per abbatterlo».