Il caso

Nell'Artico è tornata la Guerra Fredda?

Il carico di merci spedito dalla Russia e bloccato dalla Norvegia ha riacceso i riflettori su una regione sempre più militarizzata e strategica
Marcello Pelizzari
07.07.2022 17:15

Galeotto fu il carico di 20 tonnellate di merci spedito dalla Russia e trattenuto al valico di frontiera russo-norvegese a Storskog, l’unico legalmente riconosciuto. Era destinato a un insediamento di minatori russi nell’Artico, più precisamente a Spitsbergen nelle Svalbard. L’ira di Mosca non si è fatta attendere. Il ministero degli Esteri ha considerato l’azione ostile e, sulla falsariga di quanto successo con la Lituania in merito a Kaliningrad, ha minacciato rappresaglie. In un primo momento, Oslo ha motivato il blocco avanzando il rispetto (rigoroso) delle sanzioni imposte dall’UE ma, in seguito, ha consentito il transito del container.

Il caso, beh, si è gonfiato e sgonfiato in pochissimo tempo. Eppure, il tira e molla alla frontiera è significativo. Quantomeno, è sintomatico di un rapporto oramai freddo, anzi gelido fra le potenze occidentali attorno all’Artico (Scandinavia e Nordamerica) e la stessa Russia. Normale, logico anche. L’invasione dell’Ucraina, fra le altre cose, ha avuto quale conseguenza la rottura dello schema di cooperazione artica costruito negli anni Novanta.

La politica di Gorbaciov

L’Artico ha giocato un ruolo importante durante le tensioni fra l’Occidente e l’Unione Sovietica. Diventando (scusate l’ossimoro) un luogo caldo, caldissimo della Guerra Fredda. Caldissimo e iper-militarizzato, con tanto di testate nucleari. Quindi, la politica distensiva di Mikhail Gorbaciov contribuì, dal 1987 in poi, a trasformare la regione in una «zona di pace». La dissoluzione dell’URSS fece il resto, favorendo le relazioni e gli scambi a nord del 66. parallelo. Nel 1996, a tal proposito, venne istituito il Consiglio Artico formato dagli otto Paesi confinanti con la regione e dalle popolazioni indigene che la popolano: Canada, Stati Uniti, Danimarca, Islanda, Finlandia, Svezia, Norvegia e Russia.

La militarizzazione

Avviata l’invasione dell’Ucraina, fra raid aerei, bombardamenti e sfilate di carri armati russi, il Consiglio ha immediatamente sospeso le sue attività e, poco dopo, ha escluso la Russia. Il punto, ora, è capire come procedere oltre. L’istituzione, a suo tempo, fu creata per trovare un terreno d’intesa su temi importanti come la salvaguardia delle citate popolazioni indigene o, ancora, dell’ambiente. Adesso, c’è il serio rischio che sull’Artico cali una vera e propria cortina di ferro. Russi da una parte, Paesi occidentali dall’altra. Addio, insomma, alla cosiddetta eccezione artica che, negli ultimi trent’anni, ha permesso alla regione di rimanere al riparo da conflitti e tensioni.

Un primo scossone, in questo senso, avvenne con l’annessione della Crimea con la prima guerra nel Donbass, nel 2014. A partire da quell’anno, infatti, Mosca iniziò a modernizzare le sue infrastrutture militari e la sua flotta del nord, allo scopo di garantirsi un vantaggio tattico nell’Artico. Vanno lette in quest’ottica anche le recenti dichiarazioni russe (scherzose ma nemmeno troppo) riguardanti l’Alaska. Parallelamente, le esercitazioni NATO sono aumentate. Con l’adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza Atlantica, non è sbagliato supporre che la regione subisca un’ulteriore militarizzazione. Lo suggerisce, del resto, la geografia: l’Artico è il luogo ideale per intercettare o, ancora, lanciare missili.

Il ruolo dell'America

Dicevamo dell’Alaska o, se preferite, il collegamento all’Artico degli Stati Uniti. Per gli americani la regione polare riveste una certa rilevanza, basti pensare alla proposta (giudicata folle, ma piuttosto logica a ben vedere) avanzata anni fa da Donald Trump: acquistare la Groenlandia dalle autorità danesi. Le quali definirono assurda l’offerta.

L’America, nel 2021, aveva redatto un documento nel quale esponeva la sua strategia per l’Artico. Anzi, per riprendere il dominio dell’Artico difendendolo dagli interessi delle altre potenze, fra cui l’immancabile Cina e la Russia.

La regione, d’altronde, non è rilevante soltanto in termini geopolitici ma anche sul fronte delle risorse naturali, considerando le immense riserve di gas e petrolio o, ancora, le ricchezze minerarie: oro, platino, diamanti, titanio e infine terre rare essenziali per l’elettronica e le batterie.

Secondo il Pentagono, le riserve minerarie presenti nell’Artico hanno un valore vicino ai 1.000 miliardi di dollari. E la Russia, che detiene più del 50% della costa artica, è lo sfruttatore principale di queste risorse.

Il riscaldamento globale

Infine, c’è la questione del riscaldamento globale. Di ghiacci che spariranno, di nuove risorse (ittiche) che si libereranno e di nuove rotte marittime che, teoricamente, potrebbero far risparmiare giorni e giorni di navigazione. Nel 2018, l’Unione Europea, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e gli otto membri del Consiglio Artico si erano impegnati, tramite un trattato, a vietare la pesca non regolamentata nelle acque internazionali dell’Oceano Artico. Un trattato inutile all’epoca, considerando che il mare è ricoperto di ghiaccio. Ma che potrebbe tornare utile fra qualche decennio e che, soprattutto, rivela quanto quelle acque in realtà siano ambite.

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