L’intervista

«Niente matrimoni gay? Certi politici sono i ventriloqui della Chiesa»

Con l’attivista Vladimir Luxuria abbiamo parlato di diritti LGBTQ+ in Italia, e non solo: «I VIP temono per la loro carriera e non fanno coming out, soprattutto nel calcio» - Sulla cancel culture: «Alcuni film vanno criticati, ma non censurati: da piccola mi sentivo morire per le battute contro gli omosessuali»
Vladimir Luxuria al gay pride di Lugano, 2 giugno 2018. © CdT/Archivio
Michele Montanari
06.10.2021 15:47

Dopo che la Svizzera ha detto «sì, lo voglio», l’Italia è rimasta un po’ più sola. Con lo storico voto elvetico dello scorso 26 settembre, la Penisola diventa infatti l’unico Paese dell’«Europa occidentale» in cui non sono permessi i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Per capire com’è la situazione in materia di diritti LGBTQ+, abbiamo intervistato l’attivista italiana Vladimir Luxuria, con cui abbiamo affrontato diverse tematiche, dalla discussa copertina di Playboy con il primo gay in copertina, al ruolo delle manifestazioni pride, dal «coming out» di personaggi famosi fino ad arrivare a quei film in cui con nonchalance si faceva facile ironia sugli omosessuali.

Lei si batte per i diritti LGBTQ+ dalla fine degli anni 80: com’è la situazione in Italia nel 2021?
«Per quanto riguarda la questione del riconoscimento delle coppie dello stesso sesso, credo che la situazione sia simile a quella in Svizzera prima dell’ultimo referendum. Noi non abbiamo il matrimonio egualitario, siamo ormai rimasta l’ultima Nazione dell’Europa occidentale a non avere il riconoscimento del matrimonio per tutti. Abbiamo ottenuto la legge sulle unioni civili (la «Legge Cirinnà», la cui prima firmataria è stata la senatrice del PD Monica Cirinnà, ndr) che consente appunto di unirsi civilmente, ma non di sposarsi. Non è solo una questione linguistica, ma anche di contenuto, perché con il matrimonio egualitario poi, a cascata, andrebbero estesi alle coppie dello stesso sesso tutti i diritti e doveri che ne conseguono. Quando invece si opta per un’altra forma giuridica, si devono specificare non solo quali diritti puoi avere, ma anche quando: ad esempio se devono passare diversi anni prima di poter maturare il diritto alla pensione di reversibilità. Inoltre è rimasta fuori tutta la questione genitoriale: niente adozioni e niente riconoscimento al diritto di essere genitori. Si è arrivati a un compromesso, togliendo la stepchild adoption (l’adozione di un eventuale figlio del coniuge o del compagno unito civilmente, ndr) dalle unioni civili, con la promessa che si sarebbe fatta una legge ad hoc più avanti. In Italia non si possono fare referendum propositivi, solo abrogativi. Mi auguro che presto venga affrontata anche questa tematica, perché oggi le famiglie arcobaleno sono “clandestine”. È una vergogna: se il genitore biologico viene a mancare, i bambini diventano orfani di Stato, in quanto non viene riconosciuta la continuità affettiva. Improvvisamente la persona che veniva chiamata “mamma” o “papà”, che ha cresciuto e nutrito un bambino, non ha neanche più il diritto di andarlo a prendere a scuola».

Quanto pesa la presenza della Chiesa sul ritardo italiano?
«Purtroppo pesa molto. Il tema della laicità è sempre stato molto forte. Papa Francesco è meno ossessionato rispetto a Ratzinger su questi temi. L’attuale pontefice parla meno di questioni LGBTQ+, ma la posizione ufficiale della Chiesa è quella che è. Questo non dovrebbe essere un problema, ogni religione ha i suoi principi. Il vero problema si riscontra quando certi politici si fanno ventriloqui del Vaticano: vengono un po’ tenuti in ostaggio dai principi religiosi. Il principio “libera Chiesa in libero Stato” spesso non viene osservato».

Sul coming out il mondo del calcio è il più restio: c’è paura della reazione dei tifosi e degli sponsor

Spostiamoci sull’attualità: l’influencer Bretman Rock è il primo gay sulla copertina di Playboy. Non sono mancate le critiche: un ragazzo vestito da coniglietta su una rivista per uomini. Come la vede, è una provocazione?
«Faccio una premessa: non esiste un’unica rappresentazione dell’omosessualità, ne esistono varie. Si va dagli uomini molto effeminati fino ai gay più virili del maschio eterosessuale. In mezzo c’è il ragazzo della porta accanto. Esistono vari modi di essere gay, come esistono vari modi di essere eterosessuale. Detto questo, Playboy è una rivista che spesso è stata criticata, specialmente dalle femministe, per la rappresentazione troppo sensuale della “donna-coniglietto“. La copertina è una sorta di risposta provocatoria a questo tipo di rappresentazione femminile. Ma la verità è un’altra: è una forma di marketing. Playboy cerca di far parlare di sé grazie a questa trovata. Meglio rischiare un po’ e finire sui media piuttosto che il silenzio. Questo vale anche per i personaggi famosi».

A proposito di personaggi famosi: quanto può essere di aiuto alla causa LGBTQ+ il coming out dei VIP? Esiste ancora il timore di rovinarsi la carriera dichiarando la propria omosessualità?
«Purtroppo esiste ancora chi non fa coming out per paura di rovinarsi la carriera. Io sono favorevole al coming out, le persone devono decidere quando e come dichiararlo, ma ultimamente ho maturato un’altra convinzione. In genere sono contraria all’outing, ma se trovo qualcuno che so che è gay, ma parla male di noi, o si mette di traverso per ostacolare leggi che favoriscono la nostra qualità di vita, ecco, in questo caso sarei tentata di fare outing. Lo userei come arma per difendere la comunità LGBTQ+. Esistono ancora diversi ambiti in cui il coming out è difficile, soprattutto nel mondo dello sport. Le ultime Olimpiadi hanno segnato grandi passi avanti in questo senso, ci sono stati molti atleti, anche italiani, che si sono dichiarati. Il mondo del calcio invece è il più restio: c’è paura della reazione dei tifosi e degli sponsor, c’è il timore di essere presi in giro negli spogliatoi. Anche in Parlamento è ancora difficile, soprattutto nel Centrodestra. Ovviamente è complicato negli ambiti in cui non se ne parla, o se ne parla per essere contrari, come in quelli religiosi» (coming out indica la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale, outing indica la pratica di rendere pubblico l’orientamento sessuale di una persona in assenza del suo consenso, ndr).

Tutti ridevano alle battute sui gay, mentre io mi sentivo morire: quei comici stavano offendendo me

Quanto servono oggi le manifestazioni pride? Tra le critiche più diffuse c’è quella che possano sembrare eventi goliardici più che lotte per i diritti...
«I pride servono tantissimo, sono fondamentali. Tra l’altro io partecipai anche al primo pride di Lugano, sotto la pioggia. Queste manifestazioni hanno avuto un ruolo importante nelle tante battaglie che abbiamo intrapreso e per i piccoli obiettivi che siamo riusciti a raggiungere. Perché si parla di carnevalata? Perché ci sono delle drag queen? Ben vengano: portano un po’ di colore in questo mondo così grigio. I corpi esibiti danno fastidio? Se non c’è volgarità, non ci vedo nulla di male. Esibire il proprio corpo con orgoglio, e non mi riferisco al nudismo, ha anche un valore politico. Detto questo, e parlo da persona che se ne intende, avendo organizzato il primo pride in Italia nel ‘94, oggi sta venendo sempre meno quell’aspetto più provocatorio, che qualcuno definisce “carnevalesco“. Oggi in queste manifestazioni ci sono tantissimi eterosessuali, ci sono le famiglie arcobaleno con i bambini, ci sono molte associazioni di gay credenti. C’è persino la AGedO , l’Associazione Genitori di Omosessuali. L’elemento provocatorio, che inizialmente era molto forte, in maniera naturale, senza che nessuno lo abbia chiesto, sta sempre più scemando. Le riunioni tra le varie associazioni, che un tempo erano anche molto trasgressive, ora sembrano quasi riunioni di condominio, con mamme e figli delle coppie arcobaleno».

Questione «cancel culture»: occorre del revisionismo in determinati ambiti culturali? Mi riferisco ad esempio a quella stagione del cinema italiano in cui venivano usati con nonchalance termini come «frocio» e si faceva facile ironia sugli omosessuali.
«A questa domanda rispondo in qualità di direttrice artistica di Lovers, il film festival a tematiche LGBT di Torino. In generale, per quanto riguarda la cancel culture, occorre lavorare dall’oggi al domani, facendo una critica, ma non censoria. Però bisogna certamente criticare quello che è venuto prima. Questo non vuol dire bruciare le pellicole o abbattere le statue. Gli attacchi agli omosessuali sono presenti soprattutto in una certa commedia italiana, non quella con la c maiuscola. Penso ai «cinepanettoni», ai film con Boldi e De Sica, in cui abbondano le battute sui gay. Ho avuto il piacere di conoscere Lino Banfi, abbiamo molto parlato di questo tema. Mi ha detto che oggi non rifarebbe quelle battute presenti nelle commedie anni ‘70. I tempi sono cambiati, all’epoca non c’era nessuna discussione su questo tema, era assolutamente normale dire certe cose. Io me lo ricordo bene, quando da piccola al cinema vedevo quei film. Tutti ridevano alle battute sui gay, mentre io mi sentivo morire: quei comici stavano offendendo me. Lino Banfi ultimamente ha fatto film e fiction sulla tematica LGBTQ+, è maturato tantissimo. Noi dobbiamo essere consci che una volta era così. Oggi ai comici non si chiede di non far ridere parlando di questi temi, ma dovrebbero essere consapevoli che si può ridere con gli altri, non degli altri».