L'intervista

«Niente più armi a Kiev? La differenza fra vita e morte si gioca nel supporto logistico»

Il presidente statunitense Donald Trump ha deciso di mettere in pausa il sostegno militare all'Ucraina – Che impatto avrà la decisione? Ne parliamo con Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare e politica internazionale
©Roman Chop
Giacomo Butti
04.03.2025 18:00

Lo scenario peggiore per Kiev è divenuto realtà: il presidente statunitense Donald Trump ha deciso di mettere in pausa il sostegno statunitense all'Ucraina. Lo stop riguarderà tutti gli aiuti militari che non sono, al momento, già arrivati nel Paese in guerra, incluse le armi in transito il cui invio era stato deciso dall'amministrazione Biden. Che impatto avrà una simile decisione? Ne abbiamo parlato con Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare e politica internazionale.

L'Ucraina deve fare a meno degli aiuti militari statunitensi, i più importanti per mole e qualità. E ora? Secondo i media ucraini, Kiev ha un margine di sicurezza di circa sei mesi.
«È una stima verosimile, anche se è molto difficile valutarne l'accuratezza: le informazioni sui magazzini ucraini sono chiaramente riservate. Per alcune munizioni e sistemi d'arma i Paesi europei potranno compensare il mancato arrivo di aiuti americani».

C'è, però, una buona notizia. Secondo RBC-Ukraine, gli Stati Uniti non avrebbero interrotto, al momento, gli scambi di dati d'intelligence con Kiev.
«È proprio questo l'aspetto più critico di una sospensione totale del sostegno americano a Kiev: lo stop alla condivisione di informazioni sulla posizione precisa degli obiettivi da colpire con missili di precisione. Da inizio guerra, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina un supporto di geolocalizzazione degli obiettivi da colpire: informazioni riguardanti la localizzazione di obiettivi militari russi, fissi e mobili, utili non solo per l'offensiva, ma anche per la difesa dello spazio aereo ucraino. Non è chiaro se lo  l'amministrazione Trump voglia interrompere anche questo supporto oppure no. Certo è che se questo o il collegamento al servizio di comunicazione di Starlink (la costellazione di satelliti di Elon Musk, ndr) dovessero venire meno, i problemi per l'Ucraina si moltiplicherebbero. L'Europa non possiede, nemmeno per se stessa, un network di satelliti e aerei spia in grado di fornire la localizzazione di obiettivi mobili, e non potrebbe dunque subentrare agli Stati Uniti. Né la rete di satelliti europea sarebbe in grado di fornire un supporto comparabile a quello americano per quanto riguarda i bersagli statici».

In Ucraina esiste un'industria bellica, ma l'occidentalizzazione dell'equipaggiamento avviata negli ultimi tre anni può essere un ostacolo al ritorno verso armi di era sovietica?
«L'arrivo, nel corso del conflitto, di un gran numero di sistemi d'arma americani pone una serie di problemi sulla manutenzione e il rifornimento di munizioni specifiche. Non è stato discusso sin qui, ma farà davvero la differenza tra vita e morte, se il venir meno degli aiuti militari americani implichi anche la fine del supporto logistico, dall'accesso ai pezzi di ricambio all'invio di tecnici che possano occuparsi della manutenzione».

Da capire, ora, se Trump intende imporre anche uno stop al supporto logistico a Kiev: farà la differenza tra la vita e morte

Dal fronte arrivano foto di asini e cavalli usati dall'esercito russo per trasportare l'equipaggiamento militare: anche il Cremlino non è in condizioni di portare avanti la guerra?
«È una domanda che ci poniamo da inizio conflitto. Sebbene le forze russe si siano più volte affidate a questi e altri mezzi rudimentali per sopperire alla mancanza di risorse al fronte, bisogna considerare che il vantaggio numerico è ancora dalla parte del Cremlino. Ciò permette a Mosca di continuare, dopo tre anni, a portare attacchi a ondate, nonostante le perdite devastanti in termini di vite umane. L'inferiorità numerica, sommata ora allo stop all'invio di armi americane, fa sì che il prolungamento del conflitto non porti alcun vantaggio relativo all'Ucraina».

L'Europa, intanto, lavora non solo per risanare i propri depositi di materiale bellico – svuotati dal sostegno a Kiev –, ma anche per costruire una difesa comune più efficace. Che sia arrivato il momento di un esercito comune?
«Credo sia estremamente improbabile. Il livello di cooperazione necessario per la realizzazione di questo progetto è qualcosa che nessun Paese europeo è disposto ad accettare per tantissimi ragioni, politiche e culturali. Il fatto che non si parli una lingua comune, tanto per fare un esempio, rappresenta un grave ostacolo al coordinamento di forze armate di nazionalità mista. Ciò non significa che l'UE starà a guardare. Oggi (ieri per chi legge, ndr), la Commissione Europea ha proposto un piano da 800 miliardi di euro per aumentare le capacità difensive del continente. Ma bisogna tenere a mente che aumentare la spesa nella difesa non ha risultati immediati. Ampliare la produzione industriale e bellica è un processo lungo e complesso che richiede tecnologie, macchine utensili, infrastrutture, competenze. E, di conseguenza, anche tanto tempo».

Intanto, la NATO – della quale la Svizzera non è membro, ma Paese partner – appare sempre più fragile. Come cambia la posizione della Confederazione in un'Europa costretta a ripensare la propria difesa?
«Difficile fare una previsione, anche alla luce delle recenti dinamiche interne al Dipartimento federale della difesa (DDPS), di come la Svizzera potrà o dovrà reagire. È ragionevole pensare che anche in Svizzera si realizzi il trend europeo che vede un aumento della spesa nella difesa. Sarà interessante vedere se questi aumenti della produzione di armamenti avrà ricadute anche per alcuni segmenti dell'industria svizzera».

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