Il caso

No Other Land: «Questo film non s'ha da proiettare»

Acclamato dalla critica e premiato agli Oscar 2025 come miglior documentario, sta incontrando, negli Stati Uniti, più di qualche difficoltà nel raggiungere gli spettatori – Il sindaco di Miami Beach sta progettando il blocco ai finanziamenti per un cinema indipendente che ha proiettato la pellicola
©Leo Correa
Red. Online
13.03.2025 12:10

«Questo film non s'ha da proiettare». Sembra incredibile, ma No Other Land, acclamato dalla critica e premiato agli Oscar 2025 come miglior documentario, sta incontrando, negli Stati Uniti, più di qualche difficoltà nel raggiungere gli spettatori. Nessun distributore ufficiale americano si è infatti preso l'incarico di portare la pellicola nei cinema. Ma il caso della sala indipendente O Cinema di Miami Beach – punita dal sindaco Steven Meiner per aver proiettato il film – mostra che le radici del problema vanno al di là della mera logistica. Cerchiamo di fare luce sul caso.

La questione israelo-palestinese

Agli Academy Awards di inizio marzo, No Other Land ha portato un tema difficile. Diretto, prodotto, scritto e montato da un collettivo israelo-palestinese, il film segue l'attivista Basel Adra mentre rischia l'arresto per documentare – fra il 2019 e il 2023 – la distruzione del suo villaggio natale, Masafer Yatta (situato nel governatorato di Hebron, in Cisgiordania) che le Forze di difesa israeliane (IDF) stanno abbattendo per creare una zona di addestramento militare. La pellicola, come descritto dalle agenzie di stampa nella notte degli Oscar, mostra non solo l'abbattimento del parco giochi locale, l'uccisione del fratello di Adra da parte dei soldati israeliani e altri attacchi da parte dei coloni ebrei mentre la comunità palestinese cerca di sopravvivere, ma anche la nascita di un legame umano, oltre che professionale, tra Adra e il giornalista israeliano Yuval Abraham, che lo aiuta nelle riprese.

Critiche a due sensi

Raggiunta la notorietà planetaria con la vittoria agli Oscar, il film si è attirato le critiche da entrambi i fronti. Il ministro israeliano della Cultura Miki Zohar ha denunciato la vittoria dell'Oscar di No Other Land definendola «un momento triste per il mondo del cinema: invece di presentare la complessità della nostra realtà, i registi hanno scelto di dare eco a narrazioni che distorcono l'immagine di Israele nel mondo». Zohar ha invitato le sale cinematografiche israeliane a non proiettare il documentario.

Allo stesso modo, riporta il Times of Israel, il movimento BDS (campagna globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele) e alcuni gruppi palestinesi hanno condannato il film perché «normalizza l'idea di stabilire legami con l'occupazione israeliana», ha ad esempio accusato il Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI). «I palestinesi non hanno bisogno di convalide, legittimazioni o permessi da parte degli israeliani per raccontare la propria storia».

Il caso di Miami Beach

A Miami Beach, intanto, la sala cinematografica indipendente O Cinema ha deciso la scorsa settimana di proporre più proiezioni del film. Un programma che, riporta Axios, non è piaciuto al sindaco Steven Meiner, il quale – chiedendo lo stop alle proiezioni – ha definito la pellicola premiata un «falso, unilaterale, attacco propagandistico al popolo ebraico che non è coerente con i valori» della città e dei suoi residenti. No Other Land è stato comunque proiettato nella sala, andando in sold out. «La proiezione non è una dichiarazione di schieramento politico, ma una coraggiosa riaffermazione della nostra convinzione fondamentale che ogni voce merita di essere ascoltata, anche, e forse soprattutto, quando ci sfida», ha commentato la CEO di O Cinema Vivian Marthell al Miami Herald

La mossa, tuttavia, rischia di costare caro alla sala cinematografica. Martedì, il sindaco Meiner ha annunciato una proposta di legge che prevede l'interruzione del contratto di locazione con il cinema e l'interruzione del sostegno finanziario di circa 40.000 dollari. Meiner ha dichiarato di voler trovare un nuovo inquilino della sala cinematografica che «rifletta più accuratamente i valori della città» e promuova un «ambiente sicuro e inclusivo» per i residenti e i visitatori.

Libertà di parola

La risposta del sindaco di Miami Beach è stata definita da più gruppi americani come una violazione del Primo Emendamento. Daniel Tilley, direttore legale dell'American Civil Liberties Union of Florida, ha ad esempio affermato in un'intervista rilasciata ad Axios che la rappresaglia di Meiner contro O Cinema «è incostituzionale. Il governo non può scegliere i punti di vista che il pubblico può ascoltare, per quanto controversi possano essere per alcuni».

Il caso rientra in una più ampia discussione sulla libertà di parola che sta avendo luogo nelle ultime settimane negli Stati Uniti. Mentre il vicepresidente JD Vance accusa l'Europa di portare avanti politiche che minacciano la libertà d'espressione, nel Paese nordamericano si sta alzando una bufera proprio su questo tema.

Lo stesso presidente Trump, evidenzia il Time, ha citato in giudizio diversi organi di stampa per aver riferito notizie "scomode" per l'amministrazione. E all'Associated Press è stato impedito di accedere alla Casa Bianca per aver rifiutato di utilizzare il nuovo nome deciso sa Trump – Golfo d'America – per indicare il Golfo del Messico. Ma nell'ultima settimana a tenere banco alla voce "libertà di parola" è il caso di Mahmoud Khalil, uno studente laureato della Columbia University e residente permanente legale (detentore di una green card) che avrebbe funto da mediatore fra manifestanti e autorità universitarie nel corso delle proteste pro-palestinesi andate in scena nell'istituto di New York. Nato in Siria da genitori palestinesi, Khalil è stato fermato dalla ICE (United States Immigration and Customs Enforcement), e informalmente accusato da funzionari governativi di essere a capo di «attività allineate con Hamas». Nessuna prova è stata fornita in tal senso. Khalil si trova attualmente incarcerato senza tuttavia che siano state presentate accuse formali e l'amministrazione Trump si starebbe muovendo per promuovere la sua deportazione, nonostante il suo status di residente permanente legale.