«Non chiamatelo Golfo Arabico»: dal calcio la polemica fra Iraq e Iran
Un evento sportivo può portare con sé polemiche di natura politica? Decisamente sì. Basti pensare ai recenti Mondiali di calcio tenutisi in Qatar. Ma non è l’unico esempio recente. Nelle ultime settimane, un’altra diatriba si è (ri)accesa, proprio a causa di un torneo calcistico, dalle parti del Golfo Persico. L’organizzazione, in Iraq, della Arabian Gulf Cup, la Coppa del Golfo Arabico, ha scatenato accese discussioni fra l’Iran e il Paese ospitante. Il problema? L’atteggiamento «remissivo» tenuto dal governo di Bagdad nei confronti del nome dato all’evento, che proprio non va giù a Teheran. «Il Golfo è sempre stato e sempre sarà “Persico”».
Le origini
Partiamo dall’inizio. Un salto indietro nel tempo di oltre 2.500 anni. Nel 550 a.C., Ciro II di Persia, noto come Ciro il Grande, fondò il primo impero persiano. Un regno enorme che si estendeva oltre l’altipiano iraniano e che, si stima, al momento della sua massima espansione ospitava fra il 44 e il 52% della popolazione mondiale. È alla potenza dell’impero achemenide che si deve il nome dato al ramo dell’Oceano indiano che bagna quelle terre: Golfo Persico. Una nomenclatura antichissima: fonti greche del 300 a.C. utilizzavano già le parole «Persikon kolpos», Golfo Persico, per indicare le acque tra la Penisola arabica e l’odierno Iran. Viste le radici storiche, non stupisce che, oggi, la maggior parte dei cartografi sia concorde nel definire questo mare, appunto, «Golfo Persico». Ma non tutti sono d’accordo. Sull’onda del panarabismo sviluppatosi negli anni ’60, gli Stati arabi che si affacciano sulle acque del Golfo hanno proposto un cambio di nome: «Dovrebbe chiamarsi Golfo Arabico». Manco a dirlo, la questione ha funto da terreno di scontro per le storiche rivalità arabo-persiane.
La coppa
Ma torniamo al calcio. Fra il 6 e il 19 gennaio, l’Iraq ha ospitato (e vinto) la 25. Arabian Gulf Cup, torneo biennale che vede la partecipazione di tutti i Paesi che si affacciano sul Golfo Persico, escluso uno: guarda caso, l’Iran. Il Paese, cuore dell’antica Persia, non apprezza per nulla il nome dato alla coppa. E certo non ha amato che il vicino Iraq abbia abbracciato senza troppe remore la nomenclatura araba del Golfo. «Oggi facciamo parte del sistema arabo e siamo desiderosi di mantenere le nostre relazioni con gli Stati del Golfo Arabico», ha dichiarato il 6 gennaio il primo ministro iracheno, Muhammad al-Sudani, prima della cerimonia di apertura a Bassora, vicina al confine con l'Iran.
A Teheran, l’uscita ha scatenato un putiferio. Tanto che, riporta l’Economist, le autorità iraniane si sono sentite in dovere di convocare l’ambasciatore iracheno, di dichiarare che «il Golfo è sempre stato e sempre sarà “Persico”» e, per ripicca, di proiettare le parole «Golfo Persico» su uno stadio di calcio della capitale mentre, poco lontano, si teneva la tanto odiata Arabian Gulf Cup.
Il rapporto con l’Iraq
Per l’Iran, il fatto che le personalità politiche irachene abbiano utilizzato senza problemi la nomenclatura panaraba rappresenta un vero e proprio tradimento. Il governo guidato da Muhammad al-Sudani, del resto, era salutato come il più filo-iraniano da tempo a questa parte. Teheran, probabilmente, si aspettava dunque una maggior sensibilità sulla delicata questione “persiana”.
Legati da un passato culturale e religioso comune, i due Paesi hanno attraversato decenni burrascosi: basti pensare all’invasione voluta da Saddam Hussein nel 1980 che portò a otto anni di guerra. Ma la caduta del dittatore iracheno nel 2003 e la seguente ascesa di fazioni sciite filo-iraniane portarono alla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Fino ad arrivare a oggi, dove la mutua influenza è tanto forte sul piano politico e religioso quanto su quello economico, con l’Iraq divenuto addirittura uno dei maggiori partner commerciali dell'Iran.