«Non prenderò mai il coronavirus»
Nessun uomo è un’isola. Ad eccezione di Mauro Morandi. Unico abitante e guardiano di Budelli, nell’arcipelago della Maddalena all’estremo nord della Sardegna. Attorno a lui soltanto natura. Incontaminata. Maestosa. «Mostruosa, anche» sottolinea il diretto interessato, 81 anni di cui 31 in solitaria.
Circondato dal mare e con i venti a fargli compagnia. «Mi chiamate tutti adesso che è scoppiata l’emergenza coronavirus» dice Mauro con fare divertito. «Ma io qui non posso ammalarmi. Non verrò mai contagiato. Sono lontano dalla società». È così dal 1989, quando assunse l’incarico sostituendo il precedente guardiano. «Vivere su un’isola deserta è un sogno. Era il mio sogno, soprattutto. A Budelli ci arrivai per caso, in barca. L’idea infatti era quella di andare in Polinesia. Questo posto mi piacque subito. L’inverno lo passo completamente solo, in estate arrivano i turisti. E mi parlano. Sono un’attrazione. Ma ora, appunto, nemmeno le barche dei pescatori passano di qui. È tutto fermo e la cosa mi crea giusto qualche problema per fare arrivare il cibo». Niente di insormontabile, per questo Robison Crusoe.
«Contestatore, da sempre»
Morandi è modenese. Si definisce un contestatore. «Lo ero quando insegnavo educazione fisica alle medie» afferma. «Fui il primo, penso, a introdurre la musica durante le lezioni e venni contrastato. Sicché decisi di andare in pensione prima del tempo». Il virus, ribatte, è lontano. In tutti i sensi. «Agli italiani bloccati in casa non posso dare consigli. Io, l’isolamento, lo scelsi anni fa. Odiavo la società. Eccome se la odiavo. Volevo immergermi nella natura, rispettarla e non distruggerla come fanno gli altri. E badate bene, il virus è una forma di ribellione. La natura si sta ribellando, sì. Non a caso, questa cosa si è sviluppata dove l’uomo è intervenuto di più. Senza rispetto, per la terra e per gli animali».
Ha voglia di parlare, Mauro. Di condividere. Di spiegare e spiegarsi. «Passo le mie giornate facendo cose semplici. Come raccogliere la legna per il fuoco. Da alcuni anni scatto diverse fotografie e le posto su Facebook. Nei miei scatti cerco di andare oltre la superficie, di far capire a chi guarda che la bellezza è un concetto totale. Non significa possedere qualcosa. Budelli è famosa per la sua spiaggia rosa. La gente aveva la brutta abitudine di mettere un po’ di sabbia in un barattolo e di lasciare l’isola con un ricordo, chiamiamolo così. Ma la bellezza devi percepirla con tutti i sensi, non è un barattolo su una mensola. Per comprenderla appieno ti servono occhi, orecchie, naso. La società da cui sono fuggito ti spingeva a possedere, a comprare, ad avere. Una signora una volta mi disse di avere duecento paia di scarpe. Le chiesi se fosse felice. Non seppe rispondermi. La bellezza, come sosteneva Dostoevskij, salverà il mondo. Mi auguro che l’umanità salvi la bellezza. Ma temo che non impareremo nulla nemmeno a questo giro, nemmeno dopo una pandemia del genere. In quelle foto ci sono i miei stati d’animo».
«Sensi di colpa? Le figlie»
Fra quegli stati d’animo, inevitabilmente, c’è la solitudine. L’accettazione di una condizione diversa rispetto ad una presunta normalità. «Sono sempre stato sulle mie» prosegue Morandi. «Papà era custode alle elementari e io, invece di giocare con i compagni di classe, passavo il tempo in biblioteca. Leggevo libri. Di guerra e avventura. Da lì saltò fuori questa idea dell’isola, intesa come lontananza, isolamento, sogno. Sono riuscito a realizzare un desiderio che coltivavo sin dai primissimi anni di vita».
Stabilitosi a Budelli nel 1989, Mauro per soddisfare la sua anima ha rinunciato a tanto. Tutto, famiglia in primis. «Divorziai da mia moglie anni fa e, quando venni qui, le mie tre figlie erano grandi. Allora pensai: posso andarmene, non hanno più bisogno di me. E invece no, avevano bisogno di me e ne hanno ancora. Forse perché in Italia c’è questa cosa dei figli che rimangono legati ai genitori. Ad ogni modo, è il mio senso di colpa più grande, pur avendo mantenuto i contatti». Da qualche tempo, poi, Morandi è innamorato di una donna di Benevento. «Ne sento la mancanza» ammette. «Il suo contatto, gli abbracci. Non la sua voce oppure le sue parole. Proprio gli abbracci».
Se Mauro non teme per la sua salute («Qui respiro aria buona, tant’è che non mi ammalo da 31 anni») il discorso cambia pensando ai suoi cari nel modenese. «Tutte le mie preoccupazioni sono indirizzate alla mia famiglia. Qui, non passando mai nessuno, direi che è impossibile ammalarsi di coronavirus. Ma la situazione a Modena è tosta. C’è, nel dramma, almeno una nota felice: lo smog se n’è andato, anche in Emilia Romagna sono tornati a vedere il cielo come lo vedo io in Sardegna».
«Odio la morte»
Il coronavirus ci porta, va da sé, a parlare di morte. Un pensiero che Mauro allontana con forza, rabbia e ironia. «Odio la morte, ti impedisce di fare le cose che potresti ancora fare. Uno dovrebbe scegliere se e quando morire, non è giusto ad esempio che una persona se ne vada quando è giovane e ancora in forze. Infatti sono agnostico. Certo, la vecchiaia è una cosa terribile perché le energie sono diverse. Ma io sono ancora abbastanza giovane. Così mi sento, perlomeno. Ho voglia di fare. C’è sempre qualcosa da fare, soprattutto». Anche su un’isola, dove uno potrebbe e dovrebbe abbandonarsi all’ozio. «L’ozio è una gran cosa, ci mancherebbe» spiega Morandi. «Ti fa sprofondare in uno stato di noia finché, per uscirne, non ricorri alla creatività. I miei libri, l’idea di scattare foto, quella di lavorare il legno per produrre oggetti. Tutte queste cose sono nate dopo lunghi momenti di ozio».
La noia diventa creatività, già. E bisogno di conoscenza, anche. «A Budelli, come detto, ho imparato a convivere con la natura. Ad ammirarne la maestosità e la mostruosità. Ho imparato ad accettarne la superiorità rispetto all’uomo. E a goderne. Da quando sono qui non mi sono mai ammalato, ve l’ho detto. Budelli non è un Dio, ma è un amico». Nessun uomo è un’isola. Ad eccezione di Mauro Morandi. La persona più isolata d’Italia.