«Non vogliamo affogare nel fango libanese», ma davvero quella di Israele sarà un'operazione breve?
Quanto dureranno le operazioni di Israele in Libano? Poco, hanno insistito gli ufficiali delle Forze di difesa israeliane (IDF). Meglio, saranno limitate. Nel tempo. Ma anche in termini di obiettivi. Anche in passato, nel 1982 e nel 2006, gli ufficiali dell’esercito avevano insistito sul concetto di guerra-lampo. Ma le cose, in entrambi i casi, andarono diversamente. E se succedesse anche stavolta? Soprattutto: quali potrebbero essere, ora, le conseguenze?
La più drammatica, e l’ultimo avvertimento degli Stati Uniti in questo senso suona quantomeno sinistro, è un coinvolgimento diretto dell’Iran nel conflitto. Teheran, per anni, anzi decenni, ha fatto ampio uso del cosiddetto «anello di fuoco»: gli Houthi in Yemen, le milizie sciite in Iraq e Siria, Hezbollah in Libano. Lo ha fatto per combattere, da lontano e per conto di altri, Israele. Con Hezbollah in ginocchio, è lecito chiedersi quanto questa cintura, ancora, possa essere sfruttata.
I funzionari statunitensi, tuttavia, ritengono possibile anche l’arrivo, in Libano, di milizie filo-iraniane provenienti da Iraq, Siria e Yemen. Per aiutare Hezbollah o, in alternativa, aprire un altro fronte con Israele al confine con la citata Siria.
Oggi, lunedì, le truppe israeliane hanno sconfinato in Libano. L’obiettivo, è stato detto, non è occupare il sud del Paese dei cedri ma, semmai, distruggere le strutture di Hezbollah – a cominciare dai tunnel – al fine di consentire ai 60-70 mila cittadini israeliani scappati dal nord di Israele di fare rientro alle proprie abitazioni. In sicurezza. Hezbollah, all’indomani degli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, ha costantemente lanciato missili e razzi verso lo Stato Ebraico. L’idea delle IDF, appunto, è quella di creare una zona-cuscinetto in Libano. Una zona cui soltanto l’esercito regolare libanese e le forze dell’ONU avrebbero accesso. «Non abbiamo intenzione di affogare nel fango libanese» ha spiegato ad Axios un ufficiale israeliano. «Entreremo e usciremo. Si tratta di un’operazione tattica limitata nel tempo e nella portata».
L’invasione via terra, per certi versi, non sorprende. Per mesi, infatti, lungo il confine fra Israele e Libano, o meglio lungo la Linea Blu, demarcazione fissata nel 2000 dopo il ritiro delle truppe israeliane, le IDF e Hezbollah hanno dato vita a un intenso scambio di fuoco. Due settimane fa, per contro, Israele ha deciso di alzare il tiro colpendo Hezbollah al cuore. Dapprima facendo esplodere centinaia di cercapersone e walkie-talkie, quindi intensificando i raid aerei e, infine, uccidendo il leader Hassan Nasrallah.
L’obiettivo nell’obiettivo delle Forze di difesa israeliane è indebolire Hezbollah al punto da rendere praticamente impossibili futuri attacchi verso Israele. Se è vero che, come dimostrano gli attacchi del 7 ottobre 2023, i servizi di intelligence e i militari hanno ampiamente sottovalutato Hamas, è altrettanto vero che lo Stato Ebraico sta preparando un confronto con Hezbollah da almeno diciotto anni.
Una cosa, tuttavia, è affrontare l’organizzazione filo-iraniana con una serie di raid e un’altra, lo dimostra in fondo quanto sta accadendo a Gaza, è impegnarsi sul terreno. I tempi, detto in altri termini, per Israele potrebbero allungarsi. Al riguardo, va registrato che i funzionari statunitensi hanno esortato, per settimane, lo Stato Ebraico a non invadere il Libano. Secondo Axios, Israele dal canto suo avrebbe ribadito agli Stati Uniti, alleato storico, di non volere un’invasione su larga scala. La speranza della Casa Bianca, al di là della durata dell’operazione, è che la crescente pressione militare di Israele spinga Hezbollah a cedere. E a favorire, infine, una soluzione diplomatica. Soluzione che, inevitabilmente, indebolirebbe l’organizzazione filo-iraniana.