Nonostante il sostegno all'Ucraina, l'Europa continua a nutrire la macchina da guerra di Putin

Mentre il sostegno da parte degli Stati Uniti, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, sembra essere in bilico, l’Europa continua imperterrita a sposare la causa ucraina. Quest’oggi, in occasione del terzo anniversario dell'inizio dell’invasione ordinata da Vladimir Putin, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, insieme ad altri leader occidentali, sono arrivati a Kiev per discutere le strategie sui possibili negoziati di pace con la Russia e sulle garanzie di sicurezza per il Paese devastato dalla guerra. Un incontro caratterizzato da un clima di incertezza, dopo lo scontro a distanza tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump, deciso a imporre all'Ucraina un accordo da centinaia di miliardi di dollari per ottenere gran parte delle sue risorse minerarie ed energetiche. «Oggi siamo a Kiev perché l'Ucraina è l'Europa», ha scritto von der Leyen su X, aggiungendo che «in questa lotta per la sopravvivenza, non è solo il destino dell'Ucraina a essere in gioco. È il destino dell'Europa». La presidente della Commissione UE nelle scorse ore aveva sottolineato come il sostegno all'Ucraina, dal punto di vista finanziario e militare, dopo 3 anni di guerra sia ancora «incrollabile».
Tante belle parole e azioni concrete sotto forma di sanzioni contro Mosca. Eppure, nonostante le misure restrittive che mirano a stritolare le finanze dell’invasore, la Russia continua a investire nella macchina di guerra grazie soprattutto ai suoi combustibili fossili. Già, perché la stessa Europa che giura fedeltà a Kiev, nutre le finanze russe acquistando petrolio, tramite rotte secondarie, e gas naturale liquefatto (GNL). Proprio quest’oggi, il Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) ha pubblicato un rapporto che esamina le esportazioni russe di fonti energetiche. L'analisi del CREA rileva che nel terzo anno di guerra in Ucraina, la Russia ha guadagnato 242 miliardi di euro dalle esportazioni globali di combustibili fossili. I ricavi dall'inizio dell'invasione, nel febbraio 2022, si avvicinano ora alla cifra di mille miliardi di dollari, un evidente segnale di come il Cremlino sia riuscito, non solo, ad adattarsi alle sanzioni imposte dall'Occidente, ma pure ad aggirarle. Questo non dipende solamente dalla determinazione russa nell'eludere le misure restrittive, ma pure dalle lacune degli stessi Stati che hanno imposto le sanzioni: i Paesi del G7 e tutti gli altri alleati, evidenzia il CREA, «sono da biasimare per la loro inerzia nel monitorare, nel far rispettare e rafforzare le restrizioni» contro Mosca. E c'è pure chi non ha neppure provato ad allontanarsi dall'energia russa come previsto all'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Di fatto, le importazioni dell'UE dal Paese di Putin sono rimaste in gran parte invariate nel terzo anno di guerra, per un totale di 21,9 miliardi di euro finiti nelle casse di Mosca. Secondo un esame del Kiel Institute for the World Economy (IfW Kiel), l'importo è di un sesto superiore ai 18,7 miliardi di euro che l'UE ha stanziato lo scorso anno per aiutare l'Ucraina. Alla cifra degli aiuti finanziari europei, ossia gli oltre 18 miliardi di euro, tuttavia andrebbero poi aggiunti gli armamenti e il sostegno umanitario.
Un giro di vite da parte dei Paesi che applicano le sanzioni avrebbe importanti effetti sulle finanze del Paese di Putin: l'analisi del CREA mostra infatti che una maggiore efficacia nell'applicazione delle misure restrittive potrebbe ridurre i ricavi russi del 20% all'anno. Un punto cruciale, in questo senso, è rappresentato dalla lotta alla cosiddetta «flotta ombra» russa, responsabile di un terzo dei ricavi totali nel 2024. Nel terzo anno dell'invasione, circa 83 miliardi di euro delle esportazioni via mare totali hanno arricchito il Cremlino grazie a vecchie petroliere cariche di greggio russo.
«La priorità strategica dell'Occidente dovrebbe essere quella di imporre sanzioni al maggior numero possibile di navi della flotta ombra», ha sottolineato Petras Katinas, analista presso il CREA, aggiungendo che: «Prendere di mira queste navi non solo ridurrebbe le entrate di Mosca generate da esportazioni chiave, ma rafforzerebbe anche la spinta per far rispettare o adeguare il meccanismo del tetto del prezzo».
Il petrolio russo viene costantemente trasbordato nelle acque territoriali dell'UE e nelle Zone economiche esclusive (ZEE). Si stima che siano stati trasbordati circa 11 miliardi di euro di petrolio russo nelle acque europee dall'inizio dell'invasione. Questi trasferimenti da nave a nave consentono agli operatori di nascondere l'origine del petrolio e di accelerare la consegna di greggio. Stando all'analisi del CREA, nel 2024, il 23% del petrolio trasbordato nelle acque UE era destinato alla Cina, l'11% all'India e il 10% alla Corea del Sud, mentre il resto è finito verso altre rotte. Nel 2022, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca, ossia tre Paesi membri dell'UE, hanno ottenuto una deroga per importare petrolio russo, in quanto fortemente dipendenti dalla risorsa energetica. Dopo anni di guerra, però, invece di diversificare e cercare altre fonti, come fatto da altri Paesi europei, hanno semplicemente sfruttato la deroga per importare 19 miliardi di euro di greggio tramite l'oleodotto Druzhba, e nel terzo anno dell'invasione hanno importato ancora 4,9 miliardi di euro di petrolio.
Secondo Luke Wickenden, energy analyst presso il CREA, «Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno costantemente sottoutilizzato le rotte di approvvigionamento alternative nonostante avessero una capacità sufficiente per soddisfare le loro richieste annuali. Le continue importazioni di questi Paesi dell'UE rivelano una scomoda verità: non si tratta di vincoli tecnici, ma piuttosto di dare priorità ai vantaggi del greggio russo scontato piuttosto che alla sicurezza europea e alla solidarietà nei confronti dell'Ucraina».
La scappatoia della raffinazione, che consente ai Paesi non sanzionatori di importare greggio russo, raffinarlo ed esportare i prodotti raffinati nei Paesi del G7+, rimane un'altra fonte significativa di entrate per la Russia. Nel terzo anno dell'invasione, l'Occidente e altri partner ha importato 18 miliardi di euro di prodotti petroliferi dalle raffinerie di India e Turchia, le quali lavorano il greggio proveniente dalla Russia. Si stima che le importazioni di prodotti petroliferi raffinati nei Paesi che utilizzano greggio russo e poi esportati nei Paesi del G7+ abbiano generato circa 4 miliardi di euro di entrate fiscali per il Cremlino nel 2024.
«A causa di sanzioni insufficienti, mancanza di applicazione e scappatoie, la Russia ha guadagnato oltre 825 miliardi di euro per le sue esportazioni di combustibili fossili dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Le entrate rimangono stabili ai livelli precedenti all'invasione. I Paesi sanzionatori stanno alimentando la stessa guerra in cui muoiono i loro alleati ucraini: da una parte acquistano i combustibili fossili che finanziano l'esercito russo, dall'altra forniscono aiuti all'Ucraina», ha evidenziato Isaac Levi, responsabile del team di analisi delle politiche e dell'energia Europa-Russia. Nonostante le sanzioni sul GNL, gli Stati membri dell'UE hanno importato la risorsa energetica per 7 miliardi di euro nel 2024, in quanto le divisioni politiche tra gli Stati europei hanno sempre bloccato un possibile divieto collettivo sull'acquisto di GNL russo. Secondo il CREA, basterebbe un tetto massimo al prezzo del GNL russo, fissato a 17 EUR/MWh (megawattora), per ridurre i ricavi di Mosca del 49%, ovvero di circa 2,8 miliardi di euro all'anno.