Oliver Stone, dal controverso «Ukraine on Fire» all’intervista a Putin
«Sebbene gli Stati Uniti abbiano molte guerre di aggressione sulla coscienza, ciò non giustifica l'aggressione del Signor Putin in Ucraina». Inizia così il lungo post del regista americano Oliver Stone, pubblicato su Facebook lo scorso 3 marzo. Ciò che salta subito all’occhio, oltre all’immancabile attacco agli USA, è quel «Signor Putin» (in maiuscolo, in inglese: Mr. Putin). Il cineasta non nasconde il suo rispetto per il presidente russo, che gli concesse una lunga intervista andata in onda in forma di documentario su Showtime, nel 2017. Oggi The Putin Interviews è disponibile su YouTube (in calce a questo articolo) e su Amazon Prime. Inutile dire che il materiale del regista di Platoon è tornato sotto i riflettori del mondo dopo che i carri armati russi hanno invaso l’Ucraina. Stessa sorte è toccata al documentario da lui prodotto e curato Ukraine on Fire. Prima di procedere oltre (alla fine torneremo sul post di Facebook), con l’aiuto di Wikipedia facciamo un breve ritratto di Oliver Stone.
Oliver
Stone, tra film, documentari e politica
La parola
chiave per inquadrare meglio un personaggio come Oliver Stone è «Vietnam». È probabilmente
da quella guerra, vissuta in prima persona a soli 20 anni, che nasce la vena fortemente
polemica del cineasta newyorkese, che al disastroso conflitto ha dedicato
diversi film, come Platoon, Nato il 4 luglio e Tra cielo e terra. Tutta l’opera
di Stone è fortemente politicizzata e caratterizzata da critiche, anche molto
feroci, verso la politica (soprattutto estera) e il mondo dei media statunitensi (su tutti la
violenta satira di Natural Born Killers). Ha dedicato tre pellicole, che hanno
spaccato l’opinione pubblica, ad altrettanti presidenti americani: JFK - Un caso ancora
aperto (incentrato sull’omicidio di John Fitzgerald Kennedy), Gli intrighi del
potere – Nixon (sulla carriera politica di Richard Nixon) e W. (biopic su George
W. Bush). Stone ha firmato anche un’opera sugli attentati dell’11 settembre (World
Trade Center) e ne ha incentrata una sull’ex dipendente della CIA Edward Snowden.
Il cineasta è noto per la sua amicizia con l’ex leader maximo di Cuba Fidel
Castro, che ha intervistato due volte (Comandante e Looking for Fidel), ha
realizzato un documentario sul conflitto tra israeliani e palestinesi (Persona non
grata), e uno sul ruolo degli USA durante la Guerra Fredda, dalla bomba atomica fino alla
caduta dell’Unione Sovietica (USA, la storia mai raccontata). Oliver Stone
negli anni ha sostenuto Ronald Reagan, Barack Obama (poi aspramente criticato per
le sue «disastrose» scelte in ambito militare e per aver creato «lo stato di
sorveglianza di sicurezza globale più massiccio che sia mai stato visto») e
Bernie Sanders, escluso dalla corsa alla Casa Bianca nel 2016. Ha paragonato Donald
Trump alla figura demoniaca di Beelzebub e ha votato per Joe Biden.
La
narrazione russa e il controverso Ukraine on Fire
Oliver
Stone sposa la narrazione russa sulla questione ucraina e sostiene che la
rivoluzione del 2014 sia scoppiata a causa di un complotto USA, in particolare della
CIA. Secondo il cineasta, l'ex presidente filo-russo Viktor Yanukovich, leader legittimo del Paese, sarebbe stato rovesciato con l’aiuto dell’Occidente e costretto a lasciare l'Ucraina da «neonazisti armati». Stone inoltre
sostiene che «nelle tragiche conseguenze del colpo di Stato, l'Occidente
ha mantenuto la narrazione dominante sulla Russia in Crimea, mentre la vera
narrazione è quella degli USA in Ucraina». L’autore americano è stato
fortemente criticato per il controverso documentario del 2016 Ukraine on Fire,
di cui è produttore esecutivo (regia di Igor Lopatonok). Il docu-film ha, sì, il
merito di mostrare la crisi e gli orrori avvenuti nel Donbass e in Crimea,
tragedie umane a cui l’Occidente avrebbe dovuto prestare più attenzione per
evitare la guerra che stiamo documentando in questi giorni, ma è anche considerato un
racconto a senso unico, che insiste sulla presenza in Ucraina di forze di
estrema destra e racconta i fatti da un solo punto di vista, con interviste a Vladimir Putin, all'ex
presidente Viktor Yanukovich, all'ex ministro dell'Interno ucraino
Vitaly Zakharchenko e a Robert Parry, il giornalista americano che ha provato a
smontare le indagini ufficiali sul volo Malaysia Airlines 17 ed è stato più volte citato dalla propaganda russa. Parry da anni dedica articoli ai neonazisiti in Ucraina.
L’intervista
a Vladimir Putin
Oliver
Stone non ha mai nascosto la sua attrazione per la Russia e per Vladimir Putin,
muovendosi spesso controcorrente rispetto ai media e l’opinione pubblica a
stelle e strisce. Si è fatto somministrare il vaccino anti-COVID Sputnik V, in
quanto ritiene che la Russia sia il Paese più avanzato al mondo. Non ha mai
creduto all’influenza di Mosca sulle elezioni presidenziali del 2016, ritenendo
più veritiera piuttosto un’ingerenza israeliana. Stone è arrivato persino a dire
che Hitler fece molti più danni ai russi che agli ebrei, criticando la
copertura mediatica riservata all’Olocausto (il regista si è poi scusato per
questa affermazione). Nel 2017 esce la celebre intervista a Vladimir Putin, in
cui lo «zar», tra i tanti temi affrontati con Oliver Stone, ad esempio, afferma come
la Russia (che è «un Paese democratico e sovrano» e in cui «i media non sono
controllati dal governo»), ai tempi di Bill Clinton, sarebbe stata disposta ad
entrare nella NATO. Putin spiega: «In caso di adesione avremmo avuto voce in
capitolo e avremmo potuto dire la nostra, ma i nostri amici americani non lo avrebbero mai
accettato», aggiungendo che il Cremlino sarebbe stato persino disposto a condividere i suoi segreti nucleari con l’Occidente. Colpisce come Putin, muovendo accuse anche molto pesanti agli USA, come l'aver supportato i terroristi contro le truppe di Mosca in
Cecenia, usi sempre la forma «i nostri amici americani». Ovviamente un’ampia parte del
documentario riguarda l’Ucraina. Qui Putin espone le tesi, ormai arcinote, sull’orchestrazione
dell’Occidente per il colpo di Stato che ha fatto cadere Yanukovich e sull’azione
armata per ordine del presidente Poroshenko contro le minoranze russofone del
Donbass. The Putin Interviews ha diviso l’opinione pubblica, tra elogi e aspre critiche. Secondo i detrattori, Oliver Stone non ha trattato molti argomenti spinosi, come la controversa legge contro la propaganda omosessuale o il trattamento riservato agli avversari politici di Putin. Insomma, il regista USA viene
accusato di non aver fatto domande scomode e di esser stato persino troppo
ossequioso nei confronti del presidente russo, come a volerlo «umanizzare» e, nel mentre, «demonizzare l'America», citando Marlow Stern del «Daily Beast».
Putin ha sbagliato, ma...
A inizio
febbraio, prima delle ostilità, Oliver Stone ha rilasciato un’intervista a
radio KCRW in cui dichiarava: «Gli Stati Uniti e i loro alleati NATO
hanno provocato la Russia per anni sulla questione ucraina». Il regista
newyorkese ha poi sferrato un duro attacco ai media «assetati di
sangue», criticandoli anche per l’uso della parola «invasione»: «Non ci sono prove
che la Russia intenda invadere l'Ucraina e dubito che lo farebbe. Credo si
voglia occupare solo del Donbass». I fatti di questi giorni raccontano
altro, e Oliver Stone lo scorso 3 marzo ha fatto un passo indietro rispetto a
Putin, ma ha anche accusato gli Stati Uniti e i partner occidentali per quanto
avvenuto. Il regista elenca inizialmente quelli che secondo lui sono gli errori
commessi dalla Russia: «Sebbene
gli Stati Uniti abbiano molte guerre di aggressione sulla coscienza, ciò non
giustifica l'aggressione di Putin in Ucraina. La Russia ha sbagliato ad invadere. Ha commesso troppi errori:
1) ha
sottovalutato la resistenza ucraina,
2) ha
sottovalutato la capacità dei militari di raggiungere il proprio obiettivo,
3) ha
sottovalutato la reazione dell'Europa, in particolare la Germania, che ha aumentato
il suo contributo militare alla NATO; persino la Svizzera si è unita alla
causa. La Russia sarà più isolata che mai dall'Occidente,
4) ha
sottovalutato il potenziamento della NATO, che ora eserciterà maggiore
pressione sui confini russi,
5) probabilmente l'Ucraina entrerà nella NATO,
6) ha
sottovalutato i danni alla propria economia e sicuramente ciò porterà a più
resistenza interna in Russia,
7) ha creato
un importante riadattamento del potere nella sua classe di oligarchi,
8) ha usato
bombe a grappolo e termobariche,
9) e ha
sottovalutato il potere dei social media in tutto il mondo».
Il regista poi aggiunge una riflessione sui difficili rapporti tra USA e Russia negli anni, parlando sia del Donbass, sia della Guerra Fredda, rammaricandosi su come le due superpotenze avrebbero potuto allearsi e combattere insieme il cambiamento climatico: «Come avrebbe potuto Putin salvare le persone di lingua russa a Donetsk e Lugansk? Senza dubbio il suo governo avrebbe potuto fare un lavoro migliore nel mostrare al mondo gli otto anni di sofferenza di quelle persone, oltre a sottolineare l’arrivo di 110.000 soldati ucraini ai confini di Donetsk-Lugansk, prima dell’arrivo di quelli russi (…). Forse Putin avrebbe dovuto arrendersi alla resistenza nelle due province, aiutando 1-3 milioni di persone a trasferirsi in Russia. Il mondo avrebbe potuto comprendere meglio l'aggressione da parte del governo ucraino (…). Ma ora è troppo tardi. Putin si è lasciato provocare ed è caduto nella trappola tesa dagli Stati Uniti e ha mandato i suoi militari (…). Probabilmente ha rinunciato all'Occidente, e questo ci avvicina più che mai a un confronto finale (…). Gli unici contenti di questo sono i nazionalisti russi e la legione di russofobi, che finalmente hanno ottenuto ciò che sognavano da anni, ovvero Biden, il Pentagono, la CIA, l’UE, la NATO, e i media mainstream (…). Sottolineare la tossicità delle loro politiche (Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, espansione della NATO, infrangere i trattati nucleari, censurare e omettere fatti cruciali dalle notizie, ecc.) sarà quasi impossibile. Allo stesso modo, sottolineare (…) il cattivo comportamento di Kiev e Zelensky, ora cadrà nel vuoto mentre verranno tratte ancora conclusioni sbagliate (…). Questo non è il momento per gli Stati Uniti di gioire. Come veterano della guerra del Vietnam e come uomo che ha assistito all'infinito antagonismo della Guerra Fredda, alla demonizzazione e all’umiliazione dei leader stranieri. Questa è una politica che non può avere successo. Non fa che peggiorare la situazione. Sono necessarie trattative, perché qualunque cosa accada nei prossimi giorni o settimane, lo spettro di una guerra finale deve essere realisticamente accettato e mediato(…). Gli idioti che hanno continuato a provocare la Russia dopo la fine della Guerra Fredda hanno commesso un terribile crimine contro l'umanità e il futuro. Insieme, i nostri Paesi avrebbero potuto essere alleati naturali nella più grande battaglia contro il cambiamento climatico. Solo nelle sue conquiste tecniche, nella scienza su larga scala, nei suoi razzi spaziali, nelle industrie pesanti e nei suoi più moderni e puliti reattori a energia nucleare, la Russia è stata un grande amico dell'uomo (…)».