Pace in Ucraina, una fotografia non basta

Una fotografia non basta. Non è sufficiente a fermare una guerra. Non può essere la soluzione a un conflitto che dura ormai da quasi 1.200 giorni. Il faccia a faccia tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky in San Pietro, sabato mattina, ha sicuramente colpito l’immaginario di molti. In assenza di telecamere e microfoni, il tycoon è stato ad ascoltare. E il presidente ucraino avrà certo colto l’occasione per tornare a insistere sulle condizioni necessarie per arrivare a una pace giusta. «È stata una scena notevole, un incontro improvvisato tra due uomini che non hanno fatto mistero della loro profonda antipatia e diffidenza reciproca», ha scritto il New York Times.
Ma poi, serve di più. Sempre sabato, un portavoce della Casa Bianca, Stephen Cheung, ha infatti definito i 15 minuti sotto le volte della Basilica vaticana una «discussione molto produttiva», ma non è andato oltre. Mentre Trump, nel volo di ritorno verso i campi di golf in Florida, ha postato un lungo messaggio in cui incolpava i suoi predecessori, Barack Obama e Joe Biden, quest’ultimo seduto quattro file dietro di lui al funerale - «Questa è la guerra di sleepy Joe Biden, non la mia» - e criticava il leader russo: «Non c’era motivo per Putin di sparare missili su aree civili, città e paesi negli ultimi giorni. Mi fa pensare che forse non vuole fermare la guerra, mi sta solo prendendo in giro».
Mostrando di aver imparato suo malgrado la lezione, Zelensky ha invece deciso di manifestare gratitudine, pure in presenza di evidenti disaccordi. «Un incontro molto simbolico che ha il potenziale per diventare storico, se raggiungiamo risultati congiunti. Grazie @POTUS», ha scritto su X. Aggiungendo subito dopo, sempre con un post via social, che il breve faccia a faccia con Trump è stato un «buon incontro» in cui è stato possibile discutere «molto a tu per tu», comprese - hanno poi spiegato fonti del Governo ucraino - le garanzie di sicurezza per assicurarsi che la Russia non utilizzi un cessate il fuoco come un’opportunità per riarmarsi e attaccare di nuovo.
La risposta militare di Mosca
Di fronte all’apparente riapertura della linea di dialogo tra Washington e Kiev, Mosca ha però risposto a modo suo. Lanciando nella notte tra sabato e domenica 149 droni contro le città del Paese invaso e causando la morte di una persona nella regione di Dnipropetrovsk e il ferimento di una ragazza di 14 anni. I droni hanno colpito anche le regioni di Zhytomyr, Odessa, Donetsk, Sumy e Cherkasy, secondo quanto riferito dai media ucraini. L’Aeronautica militare di Kiev ha detto di aver abbattuto almeno 60 droni, altri 70 sarebbero scomparsi dai radar senza raggiungere i loro obiettivi, cosa che solitamente accade quando i velivoli sono disturbati dai sistemi di difesa elettronica.
La strategia del Cremlino
Dopo i droni e le bombe, le parole. Sempre ambigue. Il lavoro sull’Ucraina di Russia e Stati Uniti prosegue, ma «non può essere reso pubblico, può essere fatto solo in modo discreto», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov in un’intervista all’emittente televisiva Rossiya 1 commentando la dichiarazione di Trump secondo cui la Crimea sarebbe rimasta parte della Russia. Peskov ha aggiunto che nella posizione USA sulla soluzione del conflitto «ci sono molti elementi realmente in linea con la nostra posizione», un evidente riferimento a quanto detto dal tycoon sul fatto che il possibile ingresso di Kiev nella NATO sarebbe stato la causa della guerra.
Una strategia, quella russa, precisa. Chiara. Costante: provare ad approfondire il solco tra alleati sul campo opposto. Così si spiegano le parole del ministro degli Esteri di Putin, Sergey Lavrov, il quale, intervistato dalla CBS, ha spiegato come l’Europa e Zelensky vogliano trasformare l’iniziativa di pace di Trump in uno strumento per rafforzare l’Ucraina. «Sapete che cosa hanno detto Kaja Kallas (alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ndr) e Mark Rutte (segretario generale della NATO, ndr) sul cessate il fuoco e l’accordo? Hanno affermato senza mezzi termini di poter sostenere solo un’intesa che renderà l’Ucraina più forte, la farà vincere. Ma se questo è lo scopo del cessate il fuoco, non credo che sia ciò che vuole il presidente Trump. Questo è ciò che gli europei, con Zelensky, vogliono ottenere dall’iniziativa del presidente Trump».
L’intervista di Rubio
La situazione appare in stallo. Un accordo tra la Russia e l’Ucraina «ancora non c’è - ha detto il segretario di Stato USA Marco Rubio in un’intervista alla NBC - Questa settimana cercheremo di determinare se entrambe vogliono veramente la pace e quanto sono ancora vicine o lontane dopo circa 90 giorni di tentativi. È complicato, se fosse stata una guerra facile da far finire sarebbe accaduto da tempo, ma al momento l’unico che può portare le due parti insieme per mettere fine al conflitto è Donald Trump».
L’amministrazione di Washington, che aveva promesso di mettere fine alle ostilità 24 ore dopo l’insediamento alla Casa Bianca, è in evidente imbarazzo. «Non esiste una soluzione militare alla guerra in Ucraina - ha detto ancora Rubio - L’unica soluzione è un accordo negoziato in cui entrambe le parti dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere e dovranno dare qualcosa che non vorrebbero dare. In questo modo si mette fine a una guerra, e questo è ciò che stiamo cercando di fare. Per mettere fine a questa guerra, ci saranno cose che la Russia vuole e non avrà, e cose che l’Ucraina vuole e non avrà».
E a chi gli chiedeva di spiegare perché gli Stati Uniti non hanno imposto nuove sanzioni alla Russia nonostante la frustrazione manifestata da Trump, Rubio ha risposto: «Continuiamo a sperare che il nostro sforzo funzioni e che le due parti si avvicinino. Nel momento in cui si intraprende una strada come quella delle sanzioni si abbandonano gli sforzi diplomatici e si apre ad altri anni di guerra. Ci sono ragioni per essere ottimisti e ragioni di preoccupazione», ha concluso.
Sul tavolo della pace due proposte diverse

Pubblicato due giorni fa, e passato forse sotto silenzio per via della morte del Papa, un lunghissimo reportage dalla Casa Bianca scritto da Eric Cortellessa sul Time è servito ai più scettici e agli increduli per capire che cosa davvero Donald Trump pensa sui più svariati argomenti. A partire, ovvio, dalla guerra in Ucraina.
Scrive il settimanale newyorchese: il tycoon «probabilmente sarà ricordato per aver rotto con decenni di politica estera abbracciata da presidenti repubblicani e democratici, alienandosi gli alleati della NATO e schierandosi con la Russia. Nella sua intervista con Time, Trump ha incolpato Kiev di aver iniziato la guerra. “Penso che ciò che ha causato l’inizio della guerra sia stato quando hanno cominciato a parlare di adesione alla NATO”, dice il presidente. La pace negoziata che [l’amministrazione di Washington] sta perseguendo consegnerebbe comunque a Vladimir Putin circa il 20% del territorio ucraino. E “la Crimea resterà con la Russia”, dice Donald Trump».
La diplomazia della navetta, così come è stata ribattezzata da alcuni media americani, vale a dire il continuo avanti e indietro su posizioni apparentemente diverse, quando non inconciliabili, negli ultimi giorni è diventata la diplomazia dell’altalena. Con oscillazioni da vertigine.
Un giorno, il presidente americano accusa Zelensky di essere la causa del conflitto. Il giorno successivo, se la prende con Putin. Una situazione che contrasta in maniera evidente quanto affermato in campagna elettorale, ovvero la fine della guerra entro 24 ore dall’insediamento. Al di là delle parole, una cosa è chiara: sul tavolo della pace ci sono due proposte. Una, americana. L’altra, ucraina ed europea.
Ieri, l’agenzia Reuters - che ha avuto accesso a entrambi i testi - ha evidenziato le distanze tra i due progetti di pace. Per quello che riguarda il territorio, gli USA propongono il riconoscimento legale del controllo russo sulla Crimea e sulle aree oggi controllate dalle forze di Mosca. Al contrario, il documento euro-ucraino rinvia la discussione dettagliata sul territorio fino a dopo la conclusione di un cessate il fuoco, senza menzionare il riconoscimento del controllo russo su qualsiasi territorio ucraino.
Sulla sicurezza a lungo termine di Kiev, gli USA promettono all’Ucraina una «solida garanzia di sicurezza», con l’Europa e altri Stati amici chiamati a fare da garanti, e conferma che Kiev non cercherà di aderire alla NATO. Il documento europeo è più specifico, e afferma che non ci saranno limiti alle forze ucraine e nessuna restrizione agli alleati che hanno le proprie forze militari sul suolo ucraino, una disposizione che probabilmente irriterà Mosca. Non solo: propone solide garanzie di sicurezza per Kiev, anche da parte degli Stati Uniti, con un «accordo simile all’articolo 5» della NATO, la clausola di difesa reciproca.
Per quanto riguarda le misure economiche, le proposte USA affermano che le sanzioni in vigore contro la Russia dall’annessione della Crimea nel 2014 saranno rimosse come parte dell’accordo in discussione. Le controproposte affermano invece che «le sanzioni imposte alla Russia dal 2014 possono essere soggette a un graduale allentamento dopo il raggiungimento di una pace sostenibile» e che possono essere ripristinate qualora la Russia violasse i termini dell’accordo di pace. Il documento europeo propone inoltre che l’Ucraina riceva un risarcimento finanziario per i danni di guerra dai beni russi congelati all’estero. Mentre il testo USA dice solo che l’Ucraina sarà risarcita finanziariamente, senza fornire la fonte del denaro.