L'Intervista

«Paesi poveri tra debiti e inflazione, una miscela esplosiva»

A colloquio con Pietro Veglio, già direttore esecutivo per la Svizzera alla Banca mondiale, sulla delicata situazione che vivono i Paesi in via di sviluppo
©Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved.
Roberto Giannetti
16.11.2023 06:00

A livello mondiale assistiamo a un aumento dell’inflazione, che ha provocato un’impennata del prezzo dei generi alimentari, a un innalzamento dei tassi d’interesse e a difficoltà nell’approvvigionamento di cereali dovuto alla guerra in Ucraina. Quale impatto ha avuto tutto questo sulle popolazioni dei Paesi in sviluppo e sui loro conti pubblici? Ne abbiamo parlato con Pietro Veglio, già direttore esecutivo per la Svizzera alla Banca mondiale.

Come stanno variando i tassi di povertà nei Paesi in via di sviluppo? Quali effetti sociali e politici possiamo aspettarci in futuro?
 «All’effetto negativo esercitato sui Paesi in sviluppo da cause economiche bisognerebbe aggiungere l’impatto sfavorevole causato nel 2020-2021 dalla pandemia del COVID-19. Per frenarne l’impatto sulle loro economie i Paesi ricchi hanno investito somme colossali. Questa opzione non era fattibile per la stragrande maggioranza dei Paesi in sviluppo data l’impossibilità di incrementare la spesa pubblica attingendo a risorse domestiche. I loro governi sono stati quindi costretti ad aumentare l’indebitamento estero attraverso la contrattazione di nuovi prestiti in valute estere forti come il dollaro, l’euro e lo yen cinese. Nuovi debiti il cui servizio è più oneroso di quello sui debiti contratti dai Paesi ricchi dati i tassi d’interesse più elevati e le svalutazioni delle loro valute nazionali. Il costo annuale del servizio del debito estero dei Paesi subsahariani è oggi stimato a circa 60 miliardi di dollari, un aumento del 35% rispetto al 2022. Un ammontare che potrebbe essere investito per finanziare la ricostruzione di infrastrutture distrutte da recenti gravi eventi naturali e migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici».

Quali soluzioni si possono prefigurare?
«Si potrebbe pensare a una ristrutturazione concertata con la comunità internazionale delle condizioni contrattuali dei debiti contratti nel passato, con l’obiettivo di evitare il deterioramento dei livelli già precari di povertà estrema. La Banca Mondiale stima che nei casi di insolvenza debitoria, la povertà estrema può aumentare del 30% e prolungarsi fino a dieci anni. Per eludere drammatici effetti sociali e geopolitici è quindi essenziale prevenire l’accumulazione di debiti non sostenibili, oppure negoziare con i creditori per dilazionare i termini di restituzione dei prestiti ricevuti e/o ridurne i tassi d’interesse».

Quale è la situazione finanziaria di questi Paesi? In questo momento riescono ad assicurare il servizio del debito (pagamento di interessi e ammortamenti)?
«Nonostante le lodevoli iniziative internazionali di una ventina di anni fa per il condono del debito estero dei Paesi più poveri, fra il 2012 e il 2022 il livello medio di indebitamento dei 74 Paesi più poveri (ovvero quelli con un reddito pro capite annuale inferiore a 1.000 dollari) è aumentato dal 38% del loro PIL al 60%. Oggi il 15% di questi Paesi non è in grado di assicurare il servizio del proprio debito, mentre il 40% arrischia di trovarsi prima o poi in una situazione simile. La precaria situazione debitoria di un numero elevato di Paesi poveri costituisce ancora una grossa sfida per i Paesi più poveri e per la comunità internazionale».

Esiste un rischio di crisi del debito dei Paesi in via di sviluppo? A suo modo di vedere come si comporteranno i creditori?
«Il rischio di crisi debitoria è elevato in Paesi come Zambia, Ghana, Sri Lanka, Etiopia, ecc. Le situazioni debitorie assomigliano talvolta alla soluzione di un “puzzle” quando dalla scatola sono scomparsi alcuni pezzi-chiave. Questo perché la trasparenza di tutti i debiti non è sempre assicurata in alcuni Paesi, sia perché gli stessi non sono stati inclusi nelle statistiche nazionali per ragioni politiche, o perché ciò è vietato da clausole confidenziali incluse nei contratti di prestito, oppure ostacolato da atti di corruzione. La trasparenza è quindi essenziale per i creditori che, prima di fare qualsiasi concessione al debitore, vogliono essere sicuri che le stesse verranno successivamente rispettate dagli altri creditori e dal Paese-debitore. Inoltre, i processi di ristrutturazione dei debiti sono oggi più complessi perché coinvolgono vari tipi di creditori e tendono a protrarsi nel tempo. Alla Cina, ormai di gran lunga il principale Paese-creditore, si aggiungono spesso India, Arabia Saudita, Unione degli Emirati Arabi, Qatar, Turchia, parecchi creditori privati (banche commerciali, fondi di investimento e pensionistici, detentori di obbligazioni, imprese multinazionali) così come le istituzioni finanziarie multilaterali. Questo crea insicurezza, con conseguenze negative per i Paesi debitori data la loro impossibilità di accesso a nuovi finanziamenti internazionali e, date le loro scarse riserve valutarie, alle importazioni di prodotti essenziali»

Un capitolo speciale deve essere dedicato alla Cina, che è diventata un grande creditore a livello internazionale, ma che ha anche ambizioni geopolitiche. Pechino come si stà comportando con i Paesi in via di sviluppo in difficoltà?
«La Cina è presente sulla scena debitoria internazionale da relativamente pochi anni. È un creditore molto importante dal profilo geopolitico, con un forte influsso sui governi dei Paesi debitori. Con la concessione di prestiti per opere di infrastruttura (strade, vie ferrate, porti, ponti, centrali energetiche, dighe di sbarramento, ecc.) nell’ambito dell’Iniziativa per le Vie della seta la Cina coinvolge molteplici attori istituzionali, dalla China Development Bank, alla Export-Import Bank, alle province ed enti locali».

I governi dei Paesi in sviluppo apprezzano che la Cina abbia contribuito fattivamente al finanziamento di importanti infrastrutture – opere che l’Occidente ha spesso trascurato – senza imporre l’esecuzione di studi di fattibilità economica, ambientale o sociale

E come si comporta nei rapporti con i debitori?
«Tende a essere poco trasparente nei negoziati per i nuovi contratti di prestito attraverso clausole confidenziali suscettibili di garantirne il rimborso. Privilegia i prestiti con interessi commerciali ed il ricorso a ditte di costruzione e ingegneria così come manodopera cinesi. Ha una preferenza per i negoziati bilaterali con i singoli Paesi-debitori insolventi, senza l’obbligo di coordinare con gli altri creditori».

Come giudica la politica creditizia del Dragone?
«I governi dei Paesi in sviluppo apprezzano che la Cina abbia contribuito fattivamente al finanziamento di importanti infrastrutture – opere che l’Occidente ha spesso trascurato – senza imporre l’esecuzione di studi di fattibilità economica, ambientale o sociale. Questo si è però rivelato controproducente in quanto le carenze a livello di sostenibilità di alcuni mega-progetti costituiscono il tallone d’Achille dell’approccio cinese».

Quali sono le strategie che le istituzioni che si occupano di stabilità finanziaria e di sviluppo, come l’FMI e la Banca mondiale, mettono in atto per evitare una nuova crisi debitoria?
«Finora le ristrutturazioni dei debiti promosse recentemente dal G-20 non hanno avuto molto successo perché i creditori non sono ancora stati in grado di adottare misure consensuali in un lasso di tempo ragionevole. Nel caso dello Zambia ci sono voluti quasi tre anni per raggiungere un consenso fra i creditori anche perché la Cina si è spesso opposta a certe concessioni. Per evitare una nuova crisi debitoria il ruolo coordinatore dell’FMI e della Banca mondiale dovrà quindi essere ulteriormente rafforzato, tanto più che le due istituzioni svolgono un ruolo fondamentale come “ultime risorse” finanziarie».

Questo sarà sufficiente per evitare una crisi?
«No. Parallelamente l’FMI dovrà convincere i Paesi in sviluppo a migliorare la trasparenza dei propri debiti, una responsabilità nei confronti dei creditori esteri ma anche dei propri cittadini. Altre misure auspicabili risiedono nell’avere aspettative realiste per ristrutturare i debiti a livello dell’insieme dei creditori e dei paesi-debitori e nella disponibilità da parte dei creditori privati ad accettare le concessioni formulate dagli altri creditori. Inoltre, bisogna dilazionare automaticamente il servizio del debito nel caso di emergenze climatiche e disastri naturali e migliorare la gestione dei debiti e la coerenza con politiche fiscali sostenibili da parte dei Paesi in sviluppo. L’efficacia di queste misure dipenderà dalla volontà dei creditori di evitare crisi debitorie potenzialmente esplosive e dalla capacità dell’FMI e della Banca mondiale di identificare concessioni consensuali da parte di tutti gli attori coinvolti. Sfida non facile nell’attuale contesto di crisi del multilateralismo».