Passa da Parigi la speranza di una tregua a Gaza

Passa da Parigi la speranza di una tregua a Gaza con la liberazione degli ostaggi israeliani che, da oltre 100 giorni, sono nelle mani di Hamas. È nella capitale francese, infatti, che si stanno convogliando gli sforzi di trovare la quadra a quello che non sembra essere un accordo difficile da raggiungere, ma che fa i conti con l’intransigenza delle parti in causa. Ognuna per i suoi motivi.
L’arrivo di William Burns
Che qualcosa stesse cambiando, era chiaro da qualche giorno. Da quando, soprattutto, è stata ufficializzata la notizia che da Washington era stato inviato in Europa per spingere sui colloqui, il capo della CIA, William Burns. L’amministrazione americana non avrebbe mai esposto così tanto un pezzo da novanta della sua amministrazione, soprattutto dei suoi apparati così sensibili. Dopotutto sono settimane che il terreno è preparato dal coordinatore americano per il Medio Oriente, Brett McGurk, il quale a distanza e viaggiando proprio in Medio Oriente, ha incontrato le parti in causa. Con la ovvia eccezione di Hamas, le cui istanze vengono portate al tavolo dei colloqui da Egitto ma soprattutto dal Qatar. A Doha c’è l’ufficio politico del gruppo che controlla Gaza, con il leader maximo del movimento Ismail Haniyeh e del suo predecessore, Khaled Meshaal. Il terreno è stato preparato anche dai numerosi viaggi nella regione del capo della diplomazia americana, Antony Blinken, e dagli interventi dello stesso inquilino della Casa Bianca. Pochi giorni fa il presidente statunitense Joe Biden ha parlato con il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e, come è riferito in una nota ufficiale, entrambi i leader hanno affermato che un accordo sugli ostaggi è fondamentale per stabilire una pausa umanitaria prolungata nei combattimenti e garantire che ulteriore assistenza umanitaria raggiunga «i civili bisognosi in tutta Gaza». In Israele il primo Ministro, Benjamin Netanyahu, ha ribadito il massimo impegno del suo governo per raggiungere l’obiettivo fondamentale di riportare a casa gli ostaggi. Ma Netanyahu ha anche detto che le manifestazioni continue in Israele sia per le sue dimissioni che per il rilascio degli ostaggi, danno un vantaggio ad Hamas.
Chi altro c’è in Francia
A Parigi, oltre a Burns, ci sono il capo del Mossad, David Barnea, e Rone Bar, il capo dei servizi interni, lo Shin Bet, a rappresentare Israele. Dall’altro lato del tavolo, il premier di Doha e il responsabile dei servizi di intelligence egiziani Abbas Kamel.
Il fatto che intorno al tavolo si siano seduti i capi dei servizi di intelligence significa che questi stanno definendo i dettagli, mentre la cornice generale politica è stata approvata. E i dettagli, spesso, fano la differenza. La circostanza per cui stanno discutendo gli stessi servizi può significare pure che si limano i paletti che permettano di far uscire ostaggi da una parte e prigionieri palestinesi dall’altra, individuando le caratteristiche di entrambi i gruppi da liberare.
Secondo i calcoli, nelle mani di Hamas ci sarebbero ancora 136 persone, delle quali però una ventina almeno potrebbero essere morte. La nuova tregua dovrebbe durare due mesi ed essere articolata in varie fasi. Una prima di 30 giorni in cui si fermerebbero i combattimenti e verrebbero rilasciati da Hamas donne, anziani e feriti. Non si parla di bambini, con la quasi certezza quindi della morte di Kfir Bibas, rapito a nove mesi, e di suo fratello Ariel. Ci sarebbe poi una seconda fase, di altri trenta giorni, in cui verrebbero restituiti i soldati e gli altri civili israeliani, e probabilmente i corpi dei deceduti. Non è chiaro se le donne soldato verranno rilasciate come parte della prima fase o separatamente. Ovviamente in cambio dovrebbe essere prevista, come avvenuto la prima volta, la liberazione di un certo numero di prigionieri palestinesi. Tra questi, potrebbero esserci pure pezzi da novanta, come Marwan Barghouti, il «Nelson Mandela palestinese» come è stato ribattezzato, e alcuni terroristi anche legati al massacro del sette ottobre. L’accordo consentirebbe anche l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza. La speranza è che la sospensione del conflitto per un periodo abbastanza lungo possa servire a trovare poi in seguito un accordo per una tregua permanente.
I rifiuti precedenti
Nelle ultime settimane, c’erano state alcune proposte per un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Ma si sono scontrate con due diversi rifiuti: quello di Hamas alla proposta israeliana di far partire da Gaza i suoi leader e quello di Israele alla richiesta di Hamas di ritirare le truppe e finire i combattimenti. Secondo fonti statunitensi, il nuovo accordo potrebbe essere siglato entro un paio di settimane, con un cauto ottimismo. Lo scoglio da superare è la richiesta di ritiro delle truppe. Israele spinge verso una formula più simile alla prima tregua di fine novembre, quando ogni giorno il Paese ebraico rinnovava lo stop ai combattimenti ogni volta che Hamas rispettava la liberazione di ostaggi.
In quella occasione, in sette giorni durante i quali i combattimenti erano stati interrotti, 105 ostaggi furono liberati (80 nell’ambito dell’accordo, il resto, stranieri, per accordi diretti di Hamas con i paesi degli ostaggi) in cambio di circa 240 detenuti palestinesi, donne e minori.