L'analisi

«Per due anni l'Occidente è stato al gioco di Putin, ora dice basta al ricatto nucleare»

Alcuni Paesi europei, così come gli Stati Uniti, hanno concesso a Kiev di utilizzare armi occidentali sul territorio russo – Una svolta nella guerra? Ne parliamo con Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare e politica internazionale
©ALEXANDER KAZAKOV/SPUTNIK/KREMLI
Giacomo Butti
31.05.2024 20:00

«Non volevamo questa guerra, è stata una scelta di Putin, non nostra. Ora, per invertirne la tendenza, dobbiamo cancellare le linee rosse da noi stessi tracciate». Così, nel mese di febbraio, il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis spronava l’Occidente intero a una presa di coscienza. Certe autolimitazioni vanno superate, diceva, così da «mettere il Cremlino di fronte a dilemmi strategici», insinuare nella mente del presidente russo il dubbio: fin dove oseranno spingersi gli alleati di Kiev?

Le concessioni, arrivate negli ultimi giorni, sull’utilizzo in territorio russo di armi occidentali potrebbero essere interpretate - anche da Mosca - proprio in questo modo: un primo passo nel Rubicone. L’Occidente ha varcato la linea rossa? Qual è il rischio di escalation? Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare e politica internazionale analizza con noi la situazione.

Presa di coscienza

«Direi che c’è stata una presa di coscienza di un problema di fondo, ovvero che da due anni, in modo diretto o indiretto, i Paesi europei e Washington sono stati al gioco di Putin». Lo spauracchio atomico, argomenta Gilli, si è dimostrato estremamente efficace.

«Solo utilizzando le parole, tramite minacce implicite ed esplicite sul possibile ricorso ad armi nucleari, la Russia è riuscita a limitare prima, e posticipare poi, la fornitura di mezzi militari che sarebbe dovuta arrivare tempo prima: dai carri armati ai missili a lungo raggio, fino ai caccia». Che cosa è cambiato, allora, in questi giorni? «Le cose in Ucraina, è chiaro a tutti, stanno andando male. E per gli alleati di Kiev è diventato sempre più difficile sottostare al ricatto russo, anche perché è evidente che queste minacce nucleari non faranno seguito a nulla».

Gilli è fermo nella sua analisi: «Che cosa potrebbe fare Mosca come ritorsione? Magari eseguire altri attacchi ibridi alle infrastrutture europee, compiere sabotaggi. Ma nulla di paragonabile al ricorso ad armi nucleari, del quale si parla ormai da due anni».

Colpire dove fa male

Da prima ancora dell’invasione del febbraio 2022, ricorda l’esperto del Politecnico di Zurigo, Stati Uniti ed Europa concedono all’Ucraina un massiccio aiuto in termini di intelligence. Ma il sostegno militare e la fornitura di alcuni mezzi e munizioni sono stati sottoposti a condizioni. Tra le armi a «uso limitato», appunto, gli ATACMS, gli Storm Shadow e altri missili a lungo raggio.

«Il problema è che questa condotta ha limitato fortemente la capacità dell’Ucraina di contenere la Russia e, più in generale, di combattere». Il calcolo, del resto è semplice. Che cosa è meglio? Intercettare, ogni giorno, centinaia di missili e droni o eliminare la minaccia prima ancora che si sollevi da terra? «La possibilità, per l’Ucraina, di usare questi missili in territorio russo aiuterà sicuramente Kiev. È molto più facile distruggere carburante, mezzi e munizioni quando sono nei depositi invece che averci a che fare sul campo di battaglia, dove il vantaggio è tutto dall'altra parte».

Ma questo vantaggio sarà sufficiente a ribaltare la situazione al fronte, in particolare nei pressi della città di Kharkiv? «Calcolare l’impatto sulla direzione della guerra è difficile. Pensiamo ai lanciarazzi HIMARS, forniti all’Ucraina dagli Stati Uniti. Nell’estate del 2022 si sono dimostrati estremamente efficaci, ma dopo soli sette mesi la loro utilità si era ridotta in maniera significativa».

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