«Per l’amor di Dio, apri questa porta»: lo schianto Germanwings, 10 anni dopo

L’Airbus A320, agli occhi dei controllori, era soltanto un puntino. All’improvviso, però, mentre si trovava da qualche parte sopra le Alpi Francesi, quel puntino sparì dai radar. «Ma dov’è finito?». Gli stessi controllori, nei minuti precedenti, avevano notato che il velivolo aveva iniziato a perdere quota, in maniera inspiegabile ed estremamente rapida. Per questo, effettuarono numerosi tentativi di chiamata, che rimasero senza risposta, contattando infine la difesa aerea francese
Parallelamente, le famiglie dei 144 passeggeri e dei 6 membri dell’equipaggio iniziarono a preoccuparsi. Alcune, si precipitarono all’aeroporto di Düsseldorf, in Germania, dove il volo 9525 di Germanwings, partito da Barcellona, avrebbe dovuto atterrare. Per capire, innanzitutto. Quindi, per sperare. Anche a El Prat, lo scalo di partenza, si formò un capannello di parenti e amici. Di nuovo: «Ma dov’è finito il Barcellona-Düsseldorf?».
Sugli schermi, al posto dell’orario d’arrivo, per un tempo apparentemente infinito rimase il vuoto. Presto, purtroppo, i fatti emersero in tutta la loro tragicità. Le squadre di ricerca e soccorso trovarono i resti dell’aereo lungo un pendio impervio. Il volo 9525 di Germanwings, il 24 marzo del 2015, si schiantò nel cuore delle citate Alpi francesi. Morirono tutti. Peggio, le successive indagini avrebbero rivelato gli ultimi, terribili momenti vissuti a bordo. E la verità relativa a quello schianto: non si trattò di un incidente, ma di un atto deliberato del co-pilota, Andreas Lubitz. Parentesi: le teorie alternative, nuovamente alimentate di recente da un documentario di Sky Germania, si sono rivelate tremendamente deboli e prive di fondamento.
Chi era Andreas Lubitz
Lubitz, dicevamo, decise di far schiantare l’aereo. Poco dopo aver raggiunto la quota di crociera, approfittò dell'uscita del comandante Patrick Sondenheimer dalla cabina di pilotaggio per barricarvisi e, al contempo, dare avvio a una discesa controllata. Una discesa che proseguì finché l'aereo non colpì il fianco di una montagna. Durante la discesa, come detto, Lubitz non rispose alle domande del controllo del traffico aereo di Marsiglia, né d’altro canto trasmise una richiesta di soccorso. Sia i tentativi di contatto dei controllori sia quelli del comandante, deciso evidentemente a rientrare in cabina, vennero registrati dalle scatole nere. «Per l’amor di Dio, apri questa porta» tuonò, invano, Sondenheimer. Gli inquirenti, durante l’ascolto, sentirono anche le urla dei passeggeri poco prima dell’impatto. Lubitz, nello specifico, impostò il pilota automatico per scendere a 100 piedi (30 m) e aumentò più volte la velocità dell'aereo in discesa.
Nato nel 1987, Lubitz iniziò la sua formazione come pilota in Germania per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Al termine del suo percorso, iniziò a lavorare per Germanwings, una sussidiaria di Lufthansa. Durante la formazione, Lubitz interruppe temporaneamente l’addestramento a causa di episodi di depressione e problemi di salute mentale. Nonostante ciò, riprese l’addestramento e ottenne la licenza di volo. Le indagini successive all’incidente rivelarono che Lubitz aveva consultato numerosi medici nei mesi precedenti al disastro e che era stato dichiarato non idoneo al lavoro. Tuttavia, queste informazioni non furono comunicate alla compagnia aerea a causa delle leggi sulla privacy vigenti in Germania. L’incidente, di riflesso, sollevò importanti questioni riguardo alla valutazione e al monitoraggio della salute mentale dei piloti. Non solo, furono implementate nuove misure di sicurezza, tra cui la presenza obbligatoria di almeno due membri dell’equipaggio nella cabina di pilotaggio durante il volo, per prevenire il ripetersi di simili tragedie.
Avrebbe dovuto fermarsi
Apparve subito chiaro, agli inquirenti, che avevano a che fare con un atto intenzionale. E che la responsabilità era proprio di Lubitz, il primo ufficiale. I sospetti iniziali vennero confermati, in toto, dalle trascrizioni audio e dai dati delle scatole nere. Le indagini sul vissuto di Lubitz, per contro, offrirono un chiaro contesto all’interno del quale il pilota maturò la decisione di togliersi la vita, portandosi appresso altre 149 persone. Non furono mai chiari, tuttavia, i motivi.
Il 12 marzo, pochi giorni prima del disastro, Lubitz vide una volta di più il suo medico curante. Il quale gli suggerì di starsene fermo due settimane citando generici «problemi psichiatrici» sul foglio. Una motivazione che il pilota nascose a Germanwings, dicevamo, poiché comunicare uno stop per simili motivi avrebbe significato smettere di volare. Chi lo incrociava sul lavoro non si accorse di nulla, poiché i demoni di Lubitz erano difficili da vedere. Si nascondevano nella sua testa, fino a spingerlo a cercare su Internet vari modi per suicidarsi. Mesi prima, invece, era convinto di non vederci bene da entrambi gli occhi. Temeva, insomma, di diventare cieco. E sappiamo quanto la vista sia importante per un pilota. Non dormiva più di due ore a notte, in quel periodo, nonostante le rassicurazioni di un oculista che lo visitò.
La famiglia e le teorie alternative
La famiglia di Lubitz non accettò la versione degli inquirenti. Lo stesso fece Simon Hradecky, titolare del portale specializzato Aviation Herald, inspiegabilmente (considerando la sua meticolosità) restio a sposare il rapporto ufficiale per abbracciare teorie alternative. Teorie finite anche in un recente documentario di Sky Germania dal titolo Germanwings - Was geschah an Bord von Flug 9525?.
Secondo queste teorie alternative, i documenti a disposizione suggerirebbero un’altra verità: non fu il comandante a lasciare la cabina ma Lubitz. Di più, quando provò a rientrare il co-pilota si scontrò con una porta, quella che dava accesso al cockpit, difettosa. In quegli istanti, il comandante avrebbe perso i sensi mentre il pilota automatico andò in avaria provocando lo schianto dell’aereo. Una teoria certo fantasiosa, bollata dagli esperti del settore come infondata e priva di qualsiasi logica o prova a sostegno.
Detto in altri termini, a far sparire quel puntino sui radar, il 24 marzo del 2015, fu Andreas Lubitz. Oltre ogni ragionevole dubbio.