La storia

Perché gli Stati Uniti non hanno mai avuto un presidente donna?

Kamala Harris, a meno di scossoni, sfiderà Donald Trump per la Casa Bianca: otto anni prima, invece, fu Hillary Clinton a competere con il tycoon – Le candidature femminili, nel Paese, fanno ancora discutere, ma perché?
© Nathan Howard
Marcello Pelizzari
23.07.2024 13:15

Kamala Harris, dunque, a meno di (altri) scossoni. Otto anni dopo la mancata vittoria di Hillary Clinton, una donna cercherà di conquistare la Casa Bianca. Domanda: quante, e soprattutto quali, chance avrà la prescelta del Partito Democratico alle presidenziali 2024? Se lo è chiesto, fra gli altri, il New York Times. Premessa: come Clinton, anche Harris sfiderà gli stessi stereotipi. Cercherà, soprattutto, di scardinare un sistema che, a differenza di quanto accaduto in altre nazioni, non ha ancora scelto una donna come guida.

Il #MeToo e il patriarcato

Curiosamente, ma nemmeno troppo, l'avversario è il medesimo: Donald Trump. Il tycoon, nel 2016, guadagnò la presidenza sebbene Hillary Clinton, di fatto, vinse con un ampio margine a livello di voto popolare. Le analogie, fronte politico, terminano qui. Harris, infatti, non ha il peso politico né l'eredità di Clinton. E gli Stati Uniti, grazie anche a movimenti come il #MeToo, non sono quelli di otto anni fa. «Le donne sono più arrabbiate e questo potrebbe essere motivante» ha sintetizzato sempre al New York Times un'elettrice indipendente di 64 anni. In questo senso, le posizioni di Trump – considerate misogine e sessiste – potrebbero fare la differenza a favore di Harris. Ancora l'elettrice: «Là fuori c'è un patriarcato. Kamala è intelligente, era procuratrice generale, ma ci sono molti uomini bianchi che vogliono fermarla. L'unica cosa che non va, in lei, è che è una donna».

Perché l'America è diversa?

Disquisire sul genere, in una democrazia considerata matura, di per sé è aberrante. Proprio perché, dicevamo, molti altri Paesi non hanno avuto problemi nell'eleggere donne. Lo ha fatto, di recente, anche il Messico. Eppure, negli Stati Uniti la questione, puntualmente, fa capolino nei discorsi «da bar» e sui media. Come se l'eccezione, sottotesto, non potesse esistere. O non potesse diventare la norma. 

Stando al Pew Research Center, nel 2020 il 55% delle donne votò per Joe Biden. Una crescita, minima, rispetto al 54% di Hillary Clinton nel 2016. Trump, nel 2020, si fermò al 44%. Un dato comunque superiore rispetto al 39% del 2016. Molti elettori, in prospettiva, sembrano eccitati all'idea di poter votare una donna. Il timore, fronte Democratici, è legato al fatto che Trump perse da un uomo quattro anni fa ma, nel 2016, sconfisse una donna. Clinton, appunto. 

Quel varco aperto da Hillary

Quantomeno, la candidatura di Hillary Clinton aprì un varco, importante, ad altre donne come sottolineato da Christa Wolbrecht, politologa dell'Università di Notre Dame. Basti pensare alle potenziali candidate del 2020 e, venendo ai Repubblicani, a Nikki Haley, capace di sfidare Trump per il ticket 2024. Lo stesso Pew Research Center, lo scorso anno, aveva riferito che il 42% ritiene importante eleggere una donna come presidente nel corso della propria vita. Di più, il 39% degli intervistati – uomini e donne – ritiene che una donna alla Casa Bianca sarebbe più brava nel mantenere i giusti toni. 

Molto, come detto, è cambiato dal 2016 a oggi. A suo modo, l'elezione di Trump e le sue posizioni (più volte riviste, fra l'altro) sull'aborto hanno spinto molte, moltissime donne a scendere in strada. E a continuare a farlo, dal momento che il tycoon sembrerebbe avere una predilezione per il genere maschile. La scorsa settimana, durante la Convention Repubblicana, Trump è uscito con il brano It's a Man's Man's Man's Man's World di James Brown in sottofondo. Come dire: lasciate fare a me, che sono maschio.

L'accesso all'aborto

Secondo alcuni elettori Democratici, il discorso sul genere o, meglio, la possibilità che una candidata donna sfidi Donald Trump riaccenderebbe i riflettori su un tema molto sentito dal Partito: l'accesso all'aborto. Un'altra elettrice, al riguardo, ha spiegato: «La mia reazione immediata all'idea che Kamala Harris possa correre per la Casa Bianca è stata: come posso essere coinvolta?».

D'accordo, ma le chance di Harris rispetto a Clinton? La sfida sarà pressoché identica. Tradotto: non sarà facile nemmeno per Kamala, anzi. A contare, secondo le elettrici interrogate dal New York Times, sarà innanzitutto la preparazione dell'attuale vicepresidente. «Non tanto, o non solo, il fatto che sia una donna» sintetizza una voce. «Sono entusiasta del fatto che farà la storia».

E la Svizzera?

Se è vero che, in Svizzera, il ruolo di presidente è un incarico più che altro onorifico – ricoperto a rotazione ogni anno da un membro del governo –, è altrettanto vero che la Confederazione, rispetto all'America, è decisamente più avanti. Il primo presidente donna, infatti, risale al 1999, quando venne eletta la socialista Ruth Dreifuss. Un'altra presidente, Micheline Calmy-Rey, che ricoprì l'incarico nel 2007 e nel 2011, commentò così ai microfoni della RTS la mancata elezione di Hillary Clinton nel 2016: «Il simbolo di avere una donna a capo del più potente Stato del mondo, in grado di premere il pulsante nucleare e di essere il comandante in capo, ha generato scetticismo e opposizione». Di nuovo: «Non ha potuto agire come un uomo durante la campagna, non ha potuto mostrare la sua forza, forse gli americani hanno pensato che non sarebbe stata capace di proteggerli in questo mondo in cambiamento. Non ha potuto farlo perché una donna che picchia i pugni sul tavolo è subito definita isterica. Hillary Clinton è una persona molto metodica, organizzata, che conosce bene i suoi dossier e che ha condotto la politica estera di Barack Obama. Una politica estera basata sulla ragione, lo Stato di diritto, i diritti umani, il dialogo invece della forza militare. Questa politica oggi è rimessa fortemente in discussione, non solo negli Stati Uniti ma un po’ dappertutto».