Il caso

Perché il futuro delle isole Chagos dipende da Donald Trump

A ottobre, il governo britannico aveva dato il via libera a un accordo storico che avrebbe restituito l'arcipelago a Mauritius – Ma per farlo, serve il via libera del tycoon visto che gli Stati Uniti gestiscono una base militare sul territorio insieme a Londra
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Red. Online
21.01.2025 18:00

Le Isole Chagos torneranno a Mauritius. Una decisione storica, questa, che risale a ottobre. Quando, lo scorso autunno, il governo britannico di Keir Starmer aveva dato il via libero a un «accordo storico» che prevede la restituzione dell'arcipelago, nel mezzo dell'Oceano Indiano, a Mauritius. Le Chagos, infatti, sono state a lungo considerate «un residuo postcoloniale del Regno Unito». Un territorio che il Paese africano ha rivendicato per quasi 60 anni, nonostante i rifiuti continui di Londra, che per anni ha negato di cedere le isole, malgrado sollecitazioni varie e un verdetto dell'ONU a favore delle istanze mauriziane. O, almeno, fino a ottobre, quando Mauritius è uscito vincitore da quella che sembrava una battaglia ormai interminabile. 

Il problema è che le cose, per Mauritius, che sembravano ormai risolte, potrebbero mettersi male. O meglio: all'orizzonte si sta presentando un nuovo, inaspettato, ostacolo. Chiamato Donald Trump. 

Sì, perché per far sì che il passaggio delle isole Chagos da Londra a Mauritius sia effettivo serve il via libera del presidente degli Stati Uniti. Come riferisce il procuratore generale mauriziano Gavin Glover, nel corso degli ultimi mesi è stata conclusa una bozza di accordo che stabilisce i termini del trasferimento. Ma prima che questo venga ratificato, è necessario che l'amministrazione Trump dia il suo consenso. Ma per quale motivo?

Molto semplicemente, la Gran Bretagna, che ha governato le isole per oltre due secoli, gestisce, dagli anni '70, una base militare sull'isola. Insieme agli Stati Uniti. «Per questo motivo, Keir Starmer vuole che Trump dia un'occhiata al documento prima che venga firmato», ha spiegato Glover. «Siamo, in qualche modo, alla mercé di ciò che gli americani diranno ai britannici, e questo è un po' spiacevole. Ma restiamo fiduciosi che le cose andranno bene».

Certo, la speranza è l'ultima a morire. Ma qualche problema potrebbe presentarsi. Marco Rubio, segretario di Stato nominato da Trump, ha infatti dichiarato a Politico che l'accordo – raggiunto a ottobre – rappresenta «una minaccia per gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti nell'Oceano Indiano». 

È troppo presto, dunque, per tirare un sospiro di sollievo. Il governo mauriziano ha necessariamente bisogno dell'approvazione dell'accordo per correggere quella che, da tempo, considera «un'ingiustizia storica». Ingiustizia che non comprende solo l'essere stato privato di parte del suo territorio, ma anche il non aver ricevuto alcuni pagamenti che contribuirebbero a sostenere le finanze dello Stato. L'ex colonia britannica, infatti, dovrebbe guadagnare fino a 90 milioni di sterline all'anno, e il Regno Unito avrebbe accettato di anticipare i trasferimenti, secondo quanto riferiscono i media mauriziani. Un aspetto, quest'ultimo, che potrebbe non avere particolare peso per Trump e la sua amministrazione che, anche in questo caso, non hanno fatto mistero dell'intenzione di mettere al primo posto gli interessi americani. 

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