Perché l'economia russa si è ripresa nonostante le sanzioni
Le sanzioni internazionali contro la Russia, l’arma principale dell’Occidente per non estendere il conflitto in Ucraina, sembrano non aver ancora raggiunto gli obiettivi sperati, a quasi due anni dall’invasione. Secondo le ultime statistiche del Servizio statistico federale russo, le misure restrittive non sono infatti riuscite a impedire all’economia del Paese di Putin di riprendersi sino a livelli prebellici. Secondo Meduza, anche i media e gli analisti occidentali hanno riconosciuto questa crescita economica. E non solo. Il consigliere economico presidenziale Maxim Oreshkin ha persino sottolineato come l’Europa abbia sofferto più della Russia stessa a causa delle sanzioni. Se dal punto di vista finanziario può sembrare un successo, all'orizzonte in realtà ci sono nuvoloni neri di incertezza: milioni di russi stanno pagando l’aumento della produzione militare mentre l’inflazione ha raggiunto il 7,5%. E per il 2024 si prevede un rallentamento se non addirittura un periodo di recessione.
Le sanzioni occidentali dopo l’invasione avvenuta nel febbraio 2022 erano riuscite a mandare la Russia in recessione per un periodo di 10 mesi, fino alla ripresa economica di agosto. Il PIL russo nel 2023 è poi aumentato fino al 3,2% del terzo trimestre (secondo Statista, nel secondo semestre, il PIL era aumentato del 4,9% rispetto all'anno precedente). Nel 2023 il PIL è risultato maggiore dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2021, prima dell’invasione dell’Ucraina e delle sanzioni che, negli obiettivi occidentali, avrebbero dovuto paralizzare la Russia.
Le performance del Paese guidato da Putin di fatto hanno superato le previsioni del Ministero russo dello Sviluppo Economico e della Banca Centrale della Federazione Russa, che in primavera avevano stimato che la crescita del PIL su base annua non avrebbe superato il 2%. Pure gli analisti di Bloomberg Economics oggi affermano che l’aumento nel 2023 supererà il 3%.
Questa settimana, lo stesso Vladimir Putin ha dichiarato che la crescita annuale del PIL della Russia supererà il 3,5%. Nonostante gli indicatori degni di nota, non va tuttavia dimenticato che si tratta di una ripresa da un periodo di crisi, come avvenuto in gran parte del mondo dopo la pandemia. Dunque l’aumento del PIL sbandierato dallo «zar» non è la prova che lo sviluppo economico sia perseguibile a lungo, anche perché dipende in gran parte dalla militarizzazione.
La produzione manifatturiera russa è sì in forte espansione, ma le entrate provenienti dalle industrie di petrolio e gas sono ancora fondamentali (nel 2023 hanno rappresentano circa un terzo del bilancio federale) e queste dovrebbero calare ulteriormente nei prossimi mesi: le grandi società dell'energia, da GazProm, a Rosneft fino a Lukoil, hanno tutte registrato cali nei ricavi. Secondo l’ex vicepresidente della Banca centrale della Federazione Russa Sergey Aleksashenko, la dipendenza della Russia dalle esportazioni di petrolio e gas ha come fatto da scudo alle sanzioni internazionali e ha aiutato il Cremlino a sostenere la guerra in Ucraina.
Con il perdurare della guerra si prevede che la spesa annuale per la «difesa nazionale» e la «sicurezza nazionale» supererà il 6,2% del PIL annuale e salirà a quasi l’8% del PIL nel 2024, raggiungendo quasi il 40% di tutte le spese di bilancio. La Russia oggi finanzia la propria spesa in disavanzo attraverso le riserve detenute nel Fondo patrimoniale nazionale e attraverso prestiti statali. Le principali imprese di proprietà statale (tra cui Ferrovie russe, AvtoVAZ, Aeroflot e Roscosmos) hanno iniziato a fare pressioni per ottenere condizioni migliori sui prestiti.
La governatrice della Banca centrale della Federazione Russa Elvira Nabiullina ha avvertito che il governo sta di fatto alimentando l’inflazione sovvenzionando sempre più prestiti, il che costringe il suo ufficio a mantenere un tasso di riferimento elevato: a novembre l'inflazione su base annua ha raggiunto il 7,5% e non ha mostrato segni di rallentamento.
Secondo Stanislav Murashov, analista di Raiffeisen Bank Russia, anche la carenza industriale e di manodopera limiterà lo sviluppo manifatturiero della Russia. Inoltre, ulteriori aumenti del tasso di interesse di riferimento rallenteranno la crescita dei salari e complicheranno il lavoro di aggiornamento tecnologico delle imprese. Alexander Isakov, capo economista di Bloomberg Economics, prevede inoltre che la manodopera verrà ridistribuita tra i settori, spingendo i lavoratori dalle aree colpite dall’aumento dei tassi di interesse come l’edilizia, la vendita al dettaglio e la finanza verso le imprese legate alla produzione militare: i futuri aumenti dei tassi porteranno a una riduzione dei prestiti e, di conseguenza, al calo della domanda dei consumatori, con il rischio di un’altra recessione nei prossimi sei mesi.
Oggi oltre l’85% delle aziende soffre di carenza di personale, specialmente lavoratori qualificati. Nei primi nove mesi del 2023 i salari sono aumentati nominalmente del 13,2% e la disoccupazione è scesa al 2,9% (il livello più basso nella storia post-sovietica), ma queste statistiche nascondono grossi problemi di produttività del lavoro, che è diminuita del 3,6% rispetto al 2021 (è il peggior calo dal 2009). Senza contare che la fuga all’estero per non combattere in Ucraina, le repressioni politiche, e le persone impegnate a combattere, nonché le centinaia di migliaia di soldati morti, hanno tolto alle aziende russe oltre un milione di lavoratori.
La guerra rimane la massima priorità per il Governo russo, dunque ci saranno sempre meno finanziamenti per lo sviluppo del capitale umano in altri settori, come l’istruzione e la sanità. Quanto più a lungo andrà avanti l’azione militare, tanto più difficile sarà per il Cremlino tornare a risolvere i problemi sul fronte civile.