Perché Ron DeSantis continua a far discutere?
Non è un conservatore, di più. È un ultraconservatore. Parliamo di Ron DeSantis, le cui scelte e strategie politiche, stando agli esperti, vanno in una direzione oramai chiara: la candidatura alle presidenziali del 2024. Il governatore della Florida, per farla breve, una ne pensa e cento ne fa. L’ultimo capitolo? Bloccare un corso avanzato in studi afroamericani per gli studenti delle superiori. Apriti cielo, ovviamente.
DeSantis, dicevamo, non è nuovo a scelte tanto assurde quanto impopolari. Scelte che, tuttavia, sono piaciute e piacciono ai Repubblicani. In ordine sparso: critiche alle misure restrittive anti-coronavirus; attacchi ai vaccini contro la COVID-19 nonostante la scienza ne abbia dimostrato l'efficacia; la famigerata legge «Don’t Say Gay»; la battaglia con la Disney, accusata di soddisfare troppo le ideologie liberali; le accuse di parzialità rivolte ai social media. Tanta, tantissima carne al fuoco insomma.
L'istruzione al centro
L’istruzione, ad ogni modo, sembra l’argomento preferito di Ron il battagliero. Mesi fa, come detto, DeSantis aveva sostenuto con entusiasmo la legislazione statale che limita la capacità degli insegnanti scolastici di parlare, in classe, di questioni LGBTQ+. Non solo, il governatore ha sostenuto con forza i candidati conservatori per i consigli scolastici locali e, fra le altre cose, auspicato che agli atleti transgender fossero negate le competizioni interscolastiche.
L’ultima mossa, appunto, è lo stop a un corso avanzato di studi afroamericani. Parte, evidentemente, di un puzzle più ampio e articolato. Un puzzle che stuzzica l’elettorato repubblicano, sempre più preoccupato che i cosiddetti «valori americani» vengano meno. La narrazione preferita della destra statunitense, già. Il corso, hanno spiegato i dirigenti dell’Assessorato all’istruzione della Florida, «va contro la legge dello Stato e non ha valore istruttivo». D’accordo, ma i dettagli? O meglio: in che modo un corso del genere non sarebbe compatibile con le regole del Sunshine State? A maggior ragione se parliamo di un corso interdisciplinare che tocca svariate discipline: letteratura, scienze politiche, geografia, scienza. «Abbiamo bisogno di istruzione, non indottrinamento» aveva detto a suo tempo DeSantis.
Sempre a proposito di istruzione, lo Stato ha anche emanato restrizioni sui materiali che le biblioteche scolastiche possono avere, rendendo più facile la contestazione o, addirittura, la messa al bando di materiali controversi. Imponendo, al contempo, una nuova formazione per i bibliotecari. I notiziari locali, al riguardo, suggeriscono che i cambiamenti hanno portato alcuni insegnanti a liberarsi completamente delle loro biblioteche di classe per non violare la legge.
A gennaio, dopo la sua rielezione, DeSantis aveva toccato proprio il tasto dell’istruzione: «Dobbiamo garantire che i sistemi scolastici rispondano ai genitori e agli studenti, non a gruppi di interesse di parte, e dobbiamo garantire che le nostre istituzioni di istruzione superiore siano focalizzate sull’eccellenza accademica e sulla ricerca della verità, non sull’imposizione dell’ideologia alla moda».
Ma i newyorkesi amano la Florida
Detto delle polemiche, DeSantis può sorridere – e pure tanto – sul fronte demografico: soffocati dalle tasse, delusi dall’aumento della criminalità, dati alla mano nel 2022 la Florida ha accolto più newyorkesi che in qualsiasi altro anno. A «parlare» è stato il Dipartimento della sicurezza stradale, citato dal New York Post, secondo cui 64.577 persone hanno cambiato la patente dell’Empire State con quella del Sunshine State. Nel 2021, i newyorkesi che avevano deciso di cambiare vita erano «solo» 61.728.
Se un tempo erano solo i miliardari e i ricchi a trasferirsi al sud, ora a cercare e volere la Florida è anche, se non soprattutto, la classe media. Per la gioia di Ron DeSantis, il guardiano-censore della destra repubblicana.