Perché USA, Turchia e Israele stanno attaccando in Siria
Dopo che i ribelli guidati dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), domenica scorsa, hanno preso Damasco, causando la fine del regime del presidente Bashar al-Assad, poi fuggito a Mosca, Israele, Turchia e Stati Uniti hanno sferrato attacchi aerei sulla Siria. I tre Paesi, che hanno interessi diversi in Medio Oriente, hanno approfittato del concitato susseguirsi di eventi per colpire alcuni bersagli.
Gli USA combattono lo Stato Islamico
Gli USA, già domenica pomeriggio, hanno affermato di aver bombardato obiettivi associati allo Stato Islamico (IS) nella Siria centrale. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha fatto sapere che l'IS avrebbe cercato di usare il periodo di transizione per ristabilire le sue attività in Siria. Non è un mistero che gli USA guardino con sospetto al movimento HTS, inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, ma soprattutto al leader Abu Mohammed al-Jolani, ex jihadista designato dal Dipartimento di Stato americano come «terrorista globale». Secondo gli USA, quando combatteva al fianco di al-Qaeda in Iraq, al leader dell'HTS sarebbe stato affidato l'incarico di rovesciare il regime di Assad e di instaurare la legge islamica della sharia in Siria.
«La storia dimostra quanto rapidamente i momenti di promessa possano trasformarsi in conflitto e violenza», ha sottolineato Blinken riferendosi ai buoni propositi di al-Jolani, secondo cui «con duro lavoro la Siria diventerà un faro per il popolo islamico». Per il segretario di Stato USA «l'IS cercherà di usare questo periodo per ristabilire le sue capacità, per creare rifugi sicuri. Come dimostrano i nostri attacchi di precisione nel fine settimana, siamo determinati a non permettere che ciò accada».
Blinken, in una nota, ha poi spiegato che «il processo di transizione e il nuovo governo devono mantenere impegni chiari per rispettare pienamente i diritti delle minoranze, facilitare il flusso di assistenza umanitaria a tutti i bisognosi, impedire che la Siria venga utilizzata come base per il terrorismo o costituire una minaccia per i suoi vicini, e garantire che tutte le scorte di armi chimiche o biologiche vengono messe al sicuro e distrutte in modo sicuro», sottolineando che «gli Stati Uniti riconosceranno e sosterranno pienamente il futuro governo siriano che deriverà da questo processo».
Gli USA controllano ancora una base militare in Siria, quella di al Tanf, e hanno circa 900 militari schierati nel Paese, impegnati in operazioni di antiterrorismo proprio contro l’IS, ancora presente sul territorio con piccole formazioni e cellule, specialmente nelle zone desertiche della Siria orientale.
La Turchia contro i curdi
La Turchia, che sostiene l’HTS, ma soprattutto l’Esercito nazionale siriano (SNA) anti-Assad, sta approfittando del caos per colpire le curdo-arabe Forze Democratiche Siriane (SDF), di cui fa parte l’Unità di Protezione Popolare (YPG), guidata da curdi che hanno stretti legami con il PKK turco. Le SDF sono sostenute dagli USA e durante la guerra civile siriana, di fatto, hanno creato un vero e proprio Stato nel territorio autonomo del Rojava, nel nord-est del Paese. Oggi i curdi controllano circa il 30% del territorio siriano.
Ankara ha dichiarato che non accetterà che il PKK curdo o l’IS traggano vantaggio dalla nuova situazione, promettendo comunque di aiutare i profughi siriani in Turchia (circa 3 milioni) a tornare in patria.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha fatto sapere che il suo Paese non ha alcun interesse a espandere il suo raggio d'azione in Siria, nonostante il sostegno ai ribelli siriani che hanno provocato la caduta di Assad.
«L'unico obiettivo delle nostre operazioni transfrontaliere è salvare la nostra patria dagli attacchi terroristici», ha spiegato Erdoğan, riferendosi agli attacchi contro i curdi dell’YPG nella Siria nord-orientale. Oltre ad aver bombardato l’YPG, la Turchia ha pure incoraggiato l’Esercito nazionale siriano ad attaccare le SDF. Tra domenica e lunedì si sono registrati duri scontri a Manbij, una città controllata dai curdi vicino al confine con la Turchia.
La situazione è particolarmente tesa perché le SDF sono sostenute dagli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico e gestiscono campi di prigionia in cui sono rinchiusi migliaia di combattenti dell’IS.
Israele cerca di distruggere le armi del regime
Israele, mentre i ribelli prendevano la capitale Damasco, ha occupato parte della zona cuscinetto che divide il confine dello Stato ebraico da quello siriano, nelle alture del Golan, un territorio conteso da decenni, che secondo la comunità internazionale appartiene alla Siria, sottolinea ilPost. L’esercito israeliano ha pure preso il controllo di ex posizioni militari siriane sul monte Hermon, descrivendo le incursioni in territorio siriano come una «misura temporanea».
Negli ultimi giorni Israele ha sferrato oltre 250 bombardamenti su tutta la Siria, anche vicino alla capitale Damasco, distruggendo basi militari, depositi di armi (anche chimiche, stando a quanto affermato dallo Stato ebraico), postazioni di difesa aerea, radar, nonché magazzini di munizioni e di altre attrezzature militari che appartenevano all’esercito di Assad.
Lo Stato ebraico ha inoltre fatto sapere che avrebbe continuato con gli attacchi aerei sui depositi di missili e armi chimiche dell'ex regime siriano. Nonostante la caduta di Assad, che ha permesso all’Iran e Hezbollah di agire contro Israele dal territorio siriano, sia stata salutata positivamente, il timore ora è che l’HTS e le altre forze ribelli possano impossessarsi delle armi e delle infrastrutture militari del regime per utilizzarle proprio contro Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ieri ha dichiarato che la fine della dittatura di Assad è merito «della campagna militare di Israele contro l’Iran e il suo alleato in Libano, Hezbollah».
Il Syrian Observatory for Human Rights, con sede nel Regno Unito, quest’oggi ha confermato che Israele ha «distrutto i siti militari più importanti in Siria».