Perseguire i crimini di guerra: le istituzioni internazionali hanno davvero peso?
Il 10 dicembre del 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione universale dei diritti umani. Questa è storia. «L’Assemblea generale proclama la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione». Ma che fine hanno fatto questi diritti? La sensazione, di fronte ai conflitti in corso e a violenze che si fanno fatica anche solo a immaginare, è di impunità. Diritti calpestati senza pena. Ma è davvero così? Sarà davvero così? Ne abbiamo parlato con Natalino Ronzitti, professore emerito di diritto internazionale presso l’università Luiss di Roma e consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali.
La voce dell’ONU
L’ONU stessa fatica a far sentire la sua voce. Antonio Guterres, il segretario generale, martedì sera da Pechino ha tuonato, chiedendo a Israele e Hamas «un immediato cessate il fuoco per scopi umanitari». Ha chiesto tempo «per alleviare l’epica sofferenza umana a cui stiamo assistendo». E poi ha ricordato che «troppe vite umane e il destino dell’intera regione sono in gioco». Sì, ecco, ma insomma, fatichiamo a comprendere il ruolo stesso dell’ONU. «È quello di cercare di portare, per quanto più possibile, le parti a ragionare e, per quanto più possibile, a evitare il conflitto, o perlomeno ad attutirlo», spiega Ronzitti. «Le competenze in materia sono perlopiù del Consiglio di Sicurezza, ma i suoi membri permanenti raramente riescono a trovarsi d’accordo». E quindi tutto si fa retorica. «Non sempre. Ci sono occasioni in cui si trova effettivamente un accordo tra le parti, tale da stabilire poi operazioni di carattere pacifico nei vari territori interessati da conflitti. Una pacificazione vera e propria, così come si può pensare idealmente, è però difficile. L’ONU non ha i mezzi per effettuare operazioni tanto complesse». Della serie: non possiamo aspettarci un miracolo dalle Nazioni Unite. Ma non per questo se ne stanno a guardare.
Le complessità
Naturalmente, ci viene da fissare lo sguardo sui due conflitti più rumorosi di questa epoca, quello tra Russia e Ucraina e quello lungo i confini della Striscia di Gaza. Casi molto diversi tra loro. Natalino Ronzitti spiega: «Tra Russia e Ucraina è fondamentale ricordare che la conquista di un territorio non può equivalere all’acquisto della sovranità territoriale. In altre parole: la Russia non può tenere i territori che ha conquistato». Per quanto riguarda Gaza, «parliamo di un conflitto molto complicato. Non possiamo limitarci a riconoscere in Hamas un’organizzazione terroristica, senza pensare a quei territori occupati da Israele. Il discorso dei Due Stati, lo Stato di Israele e lo Stato di Palestina, intavolato tra Oslo e Washington dai relativi accordi, non è stato portato avanti. Ora si stava timidamente riaprendo un avvicinamento tra Israele e gli Stati arabi, ma tale prospettiva è stata boicottata dall’intervento di Hamas, con ciò che ne è seguito». E che oggi ci fa riflettere proprio sul tema dei diritti e delle convenzioni.
La giurisdizione universale
Eppure, nonostante tutto, l’ONU mantiene un ruolo importante, perlomeno sulla carta. Lo stesso vale per le Convenzioni di Ginevra e per la Corte penale internazionale, che - va ricordato - non è un organo dell’ONU. «Esiste l’obbligo di reprimere i crimini internazionali. Ma ci sono casi molto complessi. Basti pensare al fatto che la Russia non ha ratificato lo statuto della Corte penale internazionale. E lo stesso vale per Israele. Ora, se i crimini sono commessi in Palestina, gli stessi possono ricadere sotto la competenza della CPI. E questo perché la Palestina ha ratificato lo statuto della Corte. Ma c’è un problema: Israele obietta che la Palestina non è uno Stato e che quindi non potrebbe ratificare lo statuto; solo gli Stati possono farlo. E allora, secondo Israele la Corte non potrebbe aprire inchieste relative a crimini commessi durante questo conflitto».
E quindi? «Entrerebbe in gioco la giurisdizione universale degli Stati: qualsiasi Stato può esercitare la propria giurisdizione sul reo, in deroga ai normali criteri della territorialità e della nazionalità del reo o della vittima. Ma è chiaro come questo aspetto possa creare grossi problemi a livello politico». Ronzitti prova a essere positivo, nonostante i tempi che corrono: «Con il passare degli anni, si comincia ad affermare la consapevolezza che le gravi violazioni del diritto internazionale sono crimini internazionali, e come tali sono punibili. Sono stati fatti insomma passi avanti. Sono stati creati anche tribunali ad hoc, istituiti per esempio per i crimini in Ruanda o nella ex Jugoslavia. Molti crimini sono stati puniti. Certo, sarebbe tutto più facile se gli Stati membri del Consiglio di Sicurezza, specie quelli permanenti, fossero sempre d’accordo». Per trovare una conclusione alla riflessione, Ronzitti ricorda che «il diritto internazionale esiste, ma è molto influenzato dalle relazioni internazionali, dalla politica internazionale».