Petrolio russo, le aziende svizzere aggirano le sanzioni sfruttando Dubai?
Dubai, alla fine, ha sostituito Ginevra. Diventando, di riflesso, l'hub principale del commercio internazionale di petrolio. Con una particolare predilezione per la Russia. Almeno, è quanto emerge da uno studio di Public Eye, organizzazione non governativa che ha analizzato i dati doganali russi. Fra gennaio e luglio di quest'anno, in particolare, le società registrare a Dubai hanno esportato oltre la metà del greggio proveniente dai quattro porti principali della Federazione Russa. Le aziende svizzere, invece, ne hanno esportato solo il 5%.
Secondo le stime di Public Eye, fino al febbraio 2022, prima che l'esercito di Mosca invadesse su larga scala l'Ucraina, fra il 50 e il 60% del greggio russo veniva commercializzato dalla Svizzera. Principalmente, attraverso Ginevra. Nel giugno del 2022, tuttavia, la Svizzera ha adottato sanzioni nei confronti di Mosca legate al settore petrolifero, fissando in particolare un massimo di 60 dollari per barile di greggio a partire da dicembre dello stesso anno (per intenderci: un barile equivale a 159 litri e rappresenta l'unità di base del greggio). Berna, di fatto, si è allineata all'Unione Europea mentre gli Emirati Arabi Uniti non hanno adottato alcuna sanzione. Di conseguenza, diverse società che prima avevano quale base Ginevra hanno spostato i propri interessi e il proprio baricentro a Dubai. Creando, spesso, anche nuove società.
Fra le società trasferitesi, beh, figuravano e figurano anche attori elvetici. La SECO, la Segreteria di Stato per l'economia, responsabile dell'applicazione delle sanzioni nei confronti della Russia, interrogata dal Blick sul dossier ha spiegato che le filiali estere (legalmente indipendenti) di società svizzere, in linea di principio, non sono soggette al diritto della Confederazione e, di riflesso, non possono essere oggetto di misure sanzionatorie da parte del Consiglio federale.
Un aspetto, questo, fortemente criticato da Public Eye, secondo cui «non esiste una definizione del momento in cui una filiale diventa legalmente indipendente». E ancora: «Questa mancanza di chiarezza crea una zona grigia», spiega Oliver Classen, il portavoce dell'ong. La situazione è diversa in altri Paesi europei. I cittadini dell'Unione Europea (UE) o le filiali di società con sede nell'UE all'estero, infatti, devono rispettare le sanzioni nei confronti della Russia. «Questo mina la credibilità politica della Svizzera», l'aggiunta di Classen.
Public Eye, di riflesso, ha chiesto alla SECO di chiarire al più presto questo margine di manovra concesso alle filiali di imprese svizzere. La politica, di suo, aveva già preso conoscenza e consapevolezza del problema. Lo scorso giugno, infatti, la Commissione per la politica estera del Consiglio nazionale ha chiesto, in un postulato, che il Consiglio federale si chini sulla questione. Analizzando, nello specifico, «in che misura le sanzioni contro la Russia vengono attualmente rispettate nel settore delle materie prime e dove permangono delle lacune». La relazione, tuttavia, non è ancora stata presentata ha chiarito fra gli altri il Blick.