Pillola abortiva, che cosa succederà adesso?

La pillola abortiva, per ora, non si tocca. Lo ha deciso la Corte Suprema degli Stati Uniti, venerdì, accogliendo una richiesta dell’amministrazione Biden e garantendo al presidente una vittoria importante, se non importantissima sul fronte politico. L’accesso al mifepristone, dunque, rimane invariato. Per ora, dicevamo, perché una causa intentata da gruppi antiaborto, nel frattempo procede.
La Corte Suprema, tornando alla decisione, ha ribaltato una decisione di un tribunale federale del Texas, che lo scorso 6 aprile aveva ordinato di togliere dal mercato del Paese il citato mifepristone, uno dei due farmaci adoperati per le interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti. La Corte, concretamente, ha accolto un ricorso contro la sentenza texana presentato dall’amministrazione Biden e dalla Danco Laboratories, l’azienda che produce la pillola.
La decisione della Corte Suprema, senza dubbio, era molto attesa. E sentita. Da quando la famosa sentenza Roe v Wade è stata ribaltata, nel 2022, tredici Stati hanno vietato l’aborto negli ultimi nove mesi. Nuove restrizioni sulla pillola, per contro, si sarebbero applicate (o si applicherebbero, visto che la vicenda è tutto fuorché conclusa) anche negli Stati in cui la procedura, ad oggi, è ancora consentita.
Che cosa era successo?
Piccolo passo indietro. A novembre, il gruppo cristiano Alliance Defending Freedom (ADF) aveva intentato una causa legale sostenendo che la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, abbreviato in FDA, avesse abusato della sua autorità di regolamentazione e, soprattutto, ignorato i problemi di sicurezza quando, oltre due decenni fa, approvò il mifepristone. Un farmaco, in estrema sintesi, che blocca il progesterone, un ormone fondamentale per la gravidanza. La FDA ha sempre respinto, con forza, le accuse, ponendo l’accento sulle continue e ripetute revisioni del farmaco, «altamente regolamentato».
La causa si è trascinata in un tribunale texano, come detto, dove un giudice federale nominato a suo tempo da Donald Trump, Matthew Kacsmaryk, si è schierato con i querelanti emettendo un’ingiunzione preliminare per sospendere l’approvazione del mifepristone. Secondo alcuni analisti, l’ADF avrebbe scelto di concentrare i suoi sforzi legali ad Amarillo, in Texas, proprio per la presenza di Kacsmaryk, noto per le sue posizioni antiaborto. Il giudice, non a caso, nel commentare la sua decisione aveva usato una retorica tipicamente antiabortista, riferendosi al farmaco come a una droga usata per «uccidere l’umano non ancora nato».
L’amministrazione Biden, preso atto della sentenza, si è appellata contro la decisione rivolgendosi alla Corte d’Appello del quinto circuito, dove due giudici, pure nominati da Trump, hanno bloccato la parte della sentenza che annullava l’approvazione iniziale del farmaco (del 2000) ma, allo stesso tempo, hanno ripristinato le restrizioni sul mifepristone precedentemente revocate dalla FDA. Restrizioni che includono la limitazione della pillola dopo sette settimane di gravidanza (attualmente sono dieci) e, ancora, il divieto di ricorrere al farmaco facendoselo consegnare via posta. La FDA, giova ricordarlo, nel 2021 aveva deciso di rimuovere l’obbligo di erogazione «in presenza» del farmaco complice la pandemia, ampliando l’accesso al mifepristone e consentendone la prescrizione tramite telemedicina e invio per posta.
La situazione, oggi
Torniamo al presente. La Corte Suprema ha completamente sospeso l’ordine di Kacsmaryk, rinviando il caso al quinto circuito che, a sua volta, ha programmato le discussioni orali per il 17 maggio. Verosimilmente, in seguito la palla tornerà nelle mani della Corte Suprema.
La notizia, se vogliamo, è che per adesso l’accesso al mifepristone rimane inalterato. Il secondo farmaco comunemente adoperato per indurre un aborto, il misoprostolo, non è invece legato a questa causa. Rimane inalterato, anche qui giova ricordarlo, negli Stati in cui è ancora possibile abortire in America. Già, perché dopo il ribaltamento di Roe contro Wade né il mifepristone né il misoprostolo erano reperibili legalmente laddove l’aborto era stato vietato.
Quanto al misoprostolo, può essere usato in sicurezza da solo ma è ritenuto meno efficace. Gli aborti con il solo uso di misoprostolo, infatti, si traducono in un’interruzione di gravidanza riuscita nell’88% delle volte e con effetti collaterali più complicati e maggiore necessità di cure di follow-up, secondo le ricerche e gli studi più recenti.
Il timore, se il mifepristone diventasse meno disponibile e considerando che oltre la metà degli aborti, in America, avviene tramite farmaci, è che aumentino le procedure chirurgiche. Diverse cliniche, nel Paese, sono già sotto pressione a causa dell’aumento di pazienti che viaggiano da Stati in cui l’aborto è vietato o fortemente limitato per interrompere la gravidanza.
«Bene, ma...»
La situazione, va da sé, rimane tesa. L’amministrazione Biden, spalleggiata dalle aziende farmaceutiche, da tempo avverte del pericolo di caos normativo attorno alle approvazioni dei farmaci qualora alla magistratura fosse consentito di contrastare, di fatto, la FDA. «Se questa sentenza dovesse essere confermata, non ci sarebbe praticamente alcuna prescrizione, approvata dalla FDA, che sarebbe al sicuro da questo tipo di attacchi politici e ideologici» aveva detto Biden in una dichiarazione scritta dopo la decisione di Kacsmaryk all’inizio di aprile.
I gruppi a favore dell’aborto, concludendo, hanno festeggiato a metà. Bene la decisione della Corte Suprema di sospendere la sentenza texana, ma la strada è ancora lunga, molto lunga. «La notizia è molto gradita, ma è spaventoso pensare che gli americani siano arrivati a un niente dal perdere l’accesso a un farmaco utilizzato nella maggior parte degli aborti in questo Paese» ha affermato Jennifer Dalven, direttrice del Reproductive Freedom Project presso l’American Civil Liberties Union. Un farmaco «usato per decenni da milioni di persone per interrompere in sicurezza una gravidanza o curare un aborto spontaneo». E ancora: «Non siamo ancora fuori pericolo».