L'intervista

«Putin cerca l'escalation perché le sanzioni pesano sempre di più»

Il presidente dell'ISPI Giampiero Massolo: «La Russia vuole dividere l'Occidente perché non ottiene risultati sul campo ed è vicina a esser tagliata fuori dai flussi economici mondiali»
Michele Montanari
21.10.2022 06:00

L’intervista all’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), tra gli ospiti del Forum per il dialogo fra la Svizzera e l’Italia in scena a Zurigo da oggi a sabato.

La mobilitazione parziale, le annessioni, gli attacchi con i droni, la legge marziale nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. E sullo sfondo lo spettro del nucleare. Putin sta alzando sempre più il tiro: dove vuole arrivare?
«Putin con tutta evidenza non riesce a vincere la guerra sul campo, continua a non realizzare gli obiettivi che si era prefissato e che poi, nel tempo, è andato riducendo. Ora ricorre a una tattica diversa: indebolisce la popolazione con bombardamenti, con droni e con attività mirate a intimorire gli ucraini. Il presidente russo cerca di consolidare il più possibile la sua scarsa presa nei territori che ha dichiarato annessi. Questo serve sia a far vedere che lui “c’è”, sia a soddisfare le frange che lo incalzano all’interno affinché assuma atteggiamenti più rigidi in Ucraina. Putin cerca di fare in modo che l’Occidente si divida e smetta di aiutare Kiev. Questo lo fa non escludendo l’uso del nucleare tattico. In questo caso vale di più la minaccia, perché l’utilizzo effettivo del nucleare gli darebbe risultati minimi o nulli, mentre le minacce creano tensione e impressionano l'opinione pubblica. Il leader del Cremlino cerca di disunire l’Occidente anche in altri modi: lo ricatta sull’energia, per quel tanto che può ancora fare, e cerca di influire sulle nostre opinioni pubbliche attraverso l’esasperazione di conflitti locali, alcuni dei quali si svolgono su teatri dove è ancora forte il terrorismo jihadista. E non solo, Putin “gioca” sui flussi migratori e insiste sul piano degli attacchi cibernetici. Deve necessariamente ricorre all’escalation per pareggiare quello che non riesce a fare sul terreno: cerca di dividerci per impedire che arrivino ulteriori aiuti a Kiev. Ma gli ucraini sono gli aggrediti, non dobbiamo mai dimenticarcelo: l’Occidente non sta combattendo contro la Russia, sta aiutando un Paese a difendersi dall’aggressore. È quindi un dovere continuare a supportare Kiev, visto che il Diritto lo richiede».

L’unica opzione negoziale che Putin ha offerto agli ucraini è quella di arrendersi alle sue condizioni, ed è improponibile

E l’Ucraina a che punto è?
«Le truppe di Zelensky sono impegnate a riconquistare quanto più territorio ucraino possibile prima che le condizioni meteorologiche rendano difficile la condotta delle operazioni militari. In questo momento abbiamo, da un lato, i russi in difficoltà, che tentano l’escalation e il blocco degli aiuti; dall’altro, gli ucraini che cercano di riconquistare quanto più terreno possibile. In realtà, il conflitto non registra mutamenti tali da poter parlare di una svolta, nel senso che allo stato attuale c’è un sostanziale stallo. E l’arrivo dell’inverno probabilmente tenderà a rafforzare questa situazione».

Putin cerca di disunire l’Occidente, ma le condanne verso la Russia sono state pressoché unanimi, specialmente dopo i «referendum farsa». In questo senso, la possibilità di trovare un interlocutore per negoziare la fine del conflitto rischia di farsi più lontana?
«L’unica opzione negoziale che Putin ha offerto agli ucraini è quella di arrendersi alle sue condizioni. Chiaramente la resistenza lotta affinché l’Ucraina resti uno Stato sovrano: accettare le condizioni di negoziazione di Putin è dunque improponibile. Neanche l’Occidente può sottostare a queste pretese: darla vinta all’aggressore significherebbe mettere una pietra sopra a un ordine internazionale basato sulle regole. Inoltre, vorrebbe dire condannare gli equilibri europei futuri, con una maggiore influenza della Russia sui nostri Paesi e una sostanziale riduzione delle libertà. Non lo possiamo accettare: Putin non può fare finta che la Russia non abbia perso la Guerra fredda. Chiaramente questa situazione non offre molti margini per un negoziato serio, proprio perché le condizioni non ci sono: sia per la situazione sul campo di battaglia fotografata in precedenza, sia per le sole richieste di resa da parte di Mosca».

Quindi dal punto di vista diplomatico non ci sono margini di manovra…
«Questo non significa che la diplomazia debba stare a braccia conserte, va fatto tutto il possibile per evitare le vie di escalation del conflitto. Vale a dire: niente ingaggio diretto della NATO con la Russia, niente ampliamento del conflitto, mitigazione del rischio dell’uso dell’arma nucleare tattica, tentativo - per altro condotto con un certo successo - di evitare blocchi dell’esportazione del grano, e il tentativo - condotto finora con minore successo rispetto a quello del grano - di mettere in sicurezza le centrali nucleari ucraine. Insomma, queste sono le attività, essenzialmente di controllo e di de-escalation, che in questo momento si possono fare dal punto di vista diplomatico. Ovviamente tutti noi amiamo la pace e vorremmo che questa guerra orribile finisse al più presto, ma non possiamo cedere a quello che è un atto di aggressione».

La crescente preoccupazione russa è dovuta alle sanzioni, perché stanno tagliando fuori il Paese da tutti i flussi economici, finanziari e tecnologici

Le «armi» più concrete in mano all’Occidente sono le sanzioni, anche se non manca chi le mette in discussione. Quanto sono efficaci queste misure?
«Le sanzioni sono efficaci. Non vanno viste come un’istantanea, ma osservate come un processo in movimento. La crescente preoccupazione russa è dovuta proprio alle sanzioni, perché stanno sostanzialmente tagliando fuori il Paese da tutti i flussi economici, finanziari e tecnologici. La Russia ha estremo bisogno di questi flussi per continuare a svilupparsi a medio termine. Non è vero che Mosca può trovare facilmente delle alternative. Ad esempio, l’esportazione di prodotti energetici verso la Cina sconta il fatto che non ci sono gasdotti: questi vanno costruiti e ci vuole molto tempo. Certo, si possono condurre attività sul breve periodo, come vendere fonti pure a prezzi stracciati, ma strutturalmente la Russia è sulla via per essere tagliata fuori dal sistema commerciale del mondo. Questo non è facilmente compensabile, anche se il bilancio immediato può far pensare a qualcuno che nell’immediato i risultati delle sanzioni non siano tangibili. Gli effetti saranno sempre più concreti ed è un rischio che Putin ha perfettamente presente, altrimenti non tenterebbe di spingere verso l’alto questo conflitto».

Anche la Svizzera ha adottato le sanzioni, nonostante le critiche: qualcuno ha parlato di «fine della neutralità elvetica». Il presidente Ignazio Cassis ha invece sottolineato che «neutralità non significa indifferenza». Qual è il suo punto di vista?
«Sono perfettamente d’accordo con il presidente della Confederazione. La Svizzera nel corso della sua storia ha sempre dimostrato di sapere bene da che parte stare, ossia la parte della salvaguardia dei valori, del Diritto e del prevalere dell’oppresso sull’oppressore. Quindi non mi meraviglia affatto che abbia assunto questo atteggiamento».

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