«Putin cerca l'escalation perché le sanzioni pesano sempre di più»
L’intervista all’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale), tra gli ospiti del Forum per il dialogo fra la Svizzera e l’Italia in scena a Zurigo da oggi a sabato.
La mobilitazione
parziale, le annessioni, gli attacchi con i droni, la legge marziale nelle
regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. E sullo sfondo lo spettro
del nucleare. Putin sta alzando sempre più il tiro: dove vuole arrivare?
«Putin con
tutta evidenza non riesce a vincere la guerra sul campo, continua a non
realizzare gli obiettivi che si era prefissato e che poi, nel tempo, è andato
riducendo. Ora ricorre a una tattica diversa: indebolisce la popolazione con
bombardamenti, con droni e con attività mirate a intimorire gli ucraini. Il
presidente russo cerca di consolidare il più possibile la sua scarsa presa nei
territori che ha dichiarato annessi. Questo serve sia a far vedere che lui “c’è”,
sia a soddisfare le frange che lo incalzano all’interno affinché assuma
atteggiamenti più rigidi in Ucraina. Putin cerca di fare in modo che
l’Occidente si divida e smetta di aiutare Kiev. Questo lo fa non
escludendo l’uso del nucleare tattico. In questo caso vale di più la minaccia,
perché l’utilizzo effettivo del nucleare gli darebbe risultati minimi o nulli,
mentre le minacce creano tensione e impressionano l'opinione pubblica. Il
leader del Cremlino cerca di disunire l’Occidente anche in altri modi: lo ricatta
sull’energia, per quel tanto che può ancora fare, e cerca di influire sulle
nostre opinioni pubbliche attraverso l’esasperazione di conflitti locali,
alcuni dei quali si svolgono su teatri dove è ancora forte il terrorismo
jihadista. E non solo, Putin “gioca” sui flussi migratori e insiste sul piano
degli attacchi cibernetici. Deve necessariamente ricorre all’escalation per
pareggiare quello che non riesce a fare sul terreno: cerca di dividerci per impedire
che arrivino ulteriori aiuti a Kiev. Ma gli ucraini sono gli aggrediti, non
dobbiamo mai dimenticarcelo: l’Occidente non sta combattendo contro la Russia,
sta aiutando un Paese a difendersi dall’aggressore. È quindi un dovere
continuare a supportare Kiev, visto che il Diritto lo richiede».
E l’Ucraina
a che punto è?
«Le truppe
di Zelensky sono impegnate a riconquistare quanto più territorio ucraino
possibile prima che le condizioni meteorologiche rendano difficile la condotta
delle operazioni militari. In questo momento abbiamo, da un lato, i
russi in difficoltà, che tentano l’escalation e il blocco degli aiuti; dall’altro,
gli ucraini che cercano di riconquistare quanto più terreno possibile. In
realtà, il conflitto non registra mutamenti tali da poter parlare di una svolta,
nel senso che allo stato attuale c’è un sostanziale stallo. E l’arrivo
dell’inverno probabilmente tenderà a rafforzare questa situazione».
Putin cerca
di disunire l’Occidente, ma le condanne verso la Russia sono state pressoché unanimi,
specialmente dopo i «referendum farsa». In questo senso, la possibilità di
trovare un interlocutore per negoziare la fine del conflitto rischia di farsi più
lontana?
«L’unica
opzione negoziale che Putin ha offerto agli ucraini è quella di arrendersi alle
sue condizioni. Chiaramente la resistenza lotta affinché l’Ucraina resti uno Stato
sovrano: accettare le condizioni di negoziazione di Putin è dunque
improponibile. Neanche l’Occidente può sottostare a queste pretese: darla vinta
all’aggressore significherebbe mettere una pietra sopra a un ordine
internazionale basato sulle regole. Inoltre, vorrebbe dire condannare gli
equilibri europei futuri, con una maggiore influenza della Russia sui nostri
Paesi e una sostanziale riduzione delle libertà. Non lo possiamo accettare:
Putin non può fare finta che la Russia non abbia perso la Guerra fredda.
Chiaramente questa situazione non offre molti margini per un negoziato serio,
proprio perché le condizioni non ci sono: sia per la situazione sul campo di
battaglia fotografata in precedenza, sia per le sole richieste di resa da parte di Mosca».
Quindi dal
punto di vista diplomatico non ci sono margini di manovra…
«Questo non
significa che la diplomazia debba stare a braccia conserte, va fatto tutto il
possibile per evitare le vie di escalation del conflitto. Vale a dire: niente
ingaggio diretto della NATO con la Russia, niente ampliamento del conflitto,
mitigazione del rischio dell’uso dell’arma nucleare tattica, tentativo - per
altro condotto con un certo successo - di evitare blocchi dell’esportazione del
grano, e il tentativo - condotto finora con minore successo rispetto a quello
del grano - di mettere in sicurezza le centrali nucleari ucraine. Insomma,
queste sono le attività, essenzialmente di controllo e di de-escalation, che in
questo momento si possono fare dal punto di vista diplomatico. Ovviamente tutti
noi amiamo la pace e vorremmo che questa guerra orribile finisse al più presto,
ma non possiamo cedere a quello che è un atto di aggressione».
Le «armi» più
concrete in mano all’Occidente sono le sanzioni, anche se non manca chi le
mette in discussione. Quanto sono efficaci queste misure?
«Le
sanzioni sono efficaci. Non vanno viste come un’istantanea, ma osservate come
un processo in movimento. La crescente preoccupazione russa è dovuta proprio
alle sanzioni, perché stanno sostanzialmente tagliando fuori il Paese da tutti
i flussi economici, finanziari e tecnologici. La Russia ha estremo bisogno di
questi flussi per continuare a svilupparsi a medio termine. Non è vero che Mosca
può trovare facilmente delle alternative. Ad esempio, l’esportazione di
prodotti energetici verso la Cina sconta il fatto che non ci sono gasdotti:
questi vanno costruiti e ci vuole molto tempo. Certo, si possono condurre
attività sul breve periodo, come vendere fonti pure a prezzi stracciati, ma
strutturalmente la Russia è sulla via per essere tagliata fuori dal sistema commerciale
del mondo. Questo non è facilmente compensabile, anche se il bilancio immediato
può far pensare a qualcuno che nell’immediato i risultati delle sanzioni non siano
tangibili. Gli effetti saranno sempre più concreti ed è un rischio che Putin ha
perfettamente presente, altrimenti non tenterebbe di spingere verso l’alto
questo conflitto».
Anche la
Svizzera ha adottato le sanzioni, nonostante le critiche: qualcuno ha parlato
di «fine della neutralità elvetica». Il presidente Ignazio Cassis ha invece sottolineato
che «neutralità non significa indifferenza». Qual è il suo punto di vista?
«Sono
perfettamente d’accordo con il presidente della Confederazione. La Svizzera nel
corso della sua storia ha sempre dimostrato di sapere bene da che parte stare, ossia
la parte della salvaguardia dei valori, del Diritto e del prevalere
dell’oppresso sull’oppressore. Quindi non mi meraviglia affatto che abbia
assunto questo atteggiamento».