L'intervista

«Qatar 2022? Tra gli esempi più eclatanti di greenwashing»

Dalla COP27 appena conclusasi alla Coppa del mondo meno sostenibile di sempre: quali le conseguenze per il nostro pianeta? Ne abbiamo parlato con Antonio Nucci, dottorando in comunicazione del cambiamento climatico presso l’USI
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Marcello Pelizzari
24.11.2022 15:30

La COP27 si è conclusa domenica, con un accordo che sa di resa e che, soprattutto, preoccupa per quanto concerne la corsa contro il tempo rispetto al riscaldamento globale. Di passi avanti veri e propri, decisivi diciamo, non ne sono stati compiuti. E allora, anche sfruttando la vetrina (e le polemiche) di Qatar 2022, il Mondiale di calcio più discusso di sempre, è lecito chiedersi: a che cosa stiamo andando incontro, nel medio-lungo periodo? Che mondo lasceremo ai nostri figli e nipoti? Perché insomma, sembra che ci limitiamo a vivere il presente come ha scritto Paolo Galli in un suo editoriale? Ne abbiamo parlato con Antonio Nucci, dottorando in comunicazione del cambiamento climatico presso l’Università della Svizzera italiana.

A livello comunicativo, nemmeno i leader presenti alla COP27 erano concordi sul definire questa ennesima conferenza sui cambiamenti climatici un successo o meno: qual è, a grandi linee, il bilancio del vertice in Egitto? La delegazione svizzera, ad esempio, non ha nascosto una certa delusione mentre i discorsi attorno al concetto di loss and damage hanno nascosto una delle problematiche più grandi, ovvero il mancato intervento sulle energie fossili.
«Ad oggi è difficile dire, in maniera assoluta, se il bilancio sia negativo o positivo, ma sicuramente ci troviamo ancora in quella posizione in cui molto viene detto e poco viene fatto. Il loss and damage, il fondo destinato ai Paesi colpiti più duramente dalla crisi climatica, è sicuramente un passo avanti, ma la delegazione svizzera ha pienamente ragione: è troppo poco. Questa, inoltre, avrebbe dovuto essere la COP dell’Africa, uno dei continenti che soffre di più gli impatti della crisi, nonostante non ne quasi per nulla responsabile».

Riallacciandoci alla prima domanda, è corretto affermare che queste mega-riunioni non hanno più senso o, meglio, sono oramai superate dagli eventi? Gli attivisti climatici, per dire, da tempo sottolineano il fatto che le COP si accumulano ma poco o nulla viene fatto, nel concreto, per ridurre le emissioni.
«Gli attivisti giustamente esprimono le perplessità di chi si troverà a convivere con le conseguenze di questa crisi e, un po’ come Cassandra, si uniscono al coro di accademici e scienziati che chiedono azioni immediate. Si tratta della ventisettesima edizione della COP e ancora ci troviamo a dire che quello che è stato concordato non è sufficiente. La voce degli attivisti inoltre sta assumendo un ruolo sempre più marginale in questi eventi a favore di quella di lobbisti o sponsor, come Coca-Cola che ha sponsorizzato la COP27».

Aziende, governi e organizzazioni sembrano ricorrere sempre più spesso al cosiddetto greenwashing: mentre si discuteva in Egitto, in Qatar è cominciato il Mondiale meno sostenibile di sempre. Qual è la posizione di Doha sui cambiamenti climatici?
«Questi Mondiali sono tra gli esempi più eclatanti di greenwashing. La FIFA aveva assicurato che l’impronta sarebbe stata portata a net zero prima ancora dell’inizio del Campionato. Tralasciando che questo tipo di calcolo può essere fatto solo dopo la conclusione dell’evento. Ma basti pensare all’esempio più banale: gli stadi. L’impronta ecologica della costruzione di otto stadi nuovi, gli impianti di irrigazione per mantenere il manto erboso adatto a un Mondiale di calcio, l’aria condizionata per contrastare il caldo della penisola arabica, sono solo alcuni degli elementi che fanno capire il costo ecologico di questi Mondiali. Il Qatar è del resto una nazione che deve la sua ricchezza ai combustibili fossili…».

Il sistema attorno al quale funziona il mercato dell’energia, presso la borsa di Amsterdam, segue regole proprie che, evidentemente, devono essere migliorate. Le famiglie e le aziende che, da un mese all’altro, hanno visto i loro costi di consumo aumentare esponenzialmente, sono quelle che pagano questa dipendenza energetica

La COP27, inevitabilmente, è legata anche alla guerra in Ucraina. Quanto e in che modo gli eventi bellici hanno rallentato la lotta al cambiamento climatico? Immaginiamo che i fondi destinati a programmi pro-clima di alcuni governi siano stati spostati per sostenere Kiev, volendo fare un esempio banale.
«L’Occidente, e in particolar modo l’Europa, con questa guerra sta raggiungendo la consapevolezza che la dipendenza energetica dalla Russia è un guinzaglio non da sottovalutare. Di più, il sistema attorno al quale funziona il mercato dell’energia, presso la borsa di Amsterdam, segue regole proprie che, evidentemente, devono essere migliorate. Le famiglie e le aziende che, da un mese all’altro, hanno visto i loro costi di consumo aumentare esponenzialmente, sono quelle che pagano questa dipendenza energetica. Gli interventi diretti degli Stati, come il fondo da 200 miliardi di euro proposto in Germania, sono stati vitali per alcuni soggetti, ma non possono essere una soluzione permanente. Una soluzione potrebbe essere investire seriamente sulle rinnovabili».

Allo stesso modo, negli Stati Uniti è appena cambiato l’equilibrio politico del Congresso. Detto che potrebbe essere un problema per il sostegno all’Ucraina, quanto potrebbe frenare le politiche climatiche dell’amministrazione Biden una Camera in mani repubblicane?
«Negli Stati Uniti, più che in altri Paesi, il tema della crisi climatica ha assunto aspetti prettamente politici: una camera a maggioranza repubblicana remerà sicuramente contro la presidenza democratica sulle politiche ambientali. È altrettanto vero che le politiche proposte fino a questo momento dalla Casa Bianca hanno fatto il «bare minimum», il minimo essenziale in termini climatici: gli Stati Uniti ancora oggi sono il primo Paese in termini di emissioni».

Concludendo, con quali sentimenti andiamo verso la COP28? Il famoso obiettivo del riscaldamento globale contenuto a 1,5 gradi è oramai sfumato?
«È difficile pensare alla prossima COP con ottimismo. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a un punto di non ritorno in cui, occorre ricordarlo, non è tanto l’ambiente a pagarne le conseguenze, ma noi. La terra è resiliente, ma lo stesso non si può dire dei nostri sistemi economici e sociali, che dovranno far fronte alle conseguenze della crisi».