Qualcuno ha capito che cosa dice (o vuole) Alessandro Giuli?
«Opftemma, misoneista, sacripante, arcolaio, soccida». Queste parole sembrano prelevate da un discorso di Alessandro Giuli, ministro della Cultura, scandito durante una ordinaria assemblea di condominio, invece sono fra le parole dimenticate del vocabolario italiano oppure, come direbbe lo stesso Giuli, fra le parole tristemente «desuete». Anche oltre i confini nazionali va raccontato, tassativamente con linguaggio forbito, che mentre il governo Meloni e il suo partito Fdi vanno in autodecomposizione o in autodistruzione, il ministro Giuli intrattiene le platee di giornalisti e di cittadini, di politici e di opinionisti con interventi criptici, ma che criptici, ermetici, ma che ermetici, meglio definirli «giulivi»: «A Venezia si trova un grande esempio di ciò che si può compiere dopo il diluvio, cioè la necessità di ricordarsi che noi siamo figli del terremoto, ma siamo anche figli dell’acqua, siamo aborigeni perché siamo aberrigeni, cioè siamo coloro che hanno errato in tutti gli spazi del Mediterraneo, tanto che ritroviamo le conchiglie sulle nostre montagne, e che l’acqua è l’elemento che ci dà vita, che ci ha costretto a viaggiare, a pensare, a immaginare, a rappresentare noi stessi. Siamo figli dell’acqua. Tutto ciò che è creatività nasce dal liquido amniotico». Probabilmente gli italiani vorrebbero sapere perché in due anni, e lo avanziamo come ipotesi greve, il ministero della Cultura ha smarrito per strada un ministro, un sottosegretario, due capi di gabinetto, peraltro l’ultimo scelto da Giuli, Francesco Spano, è durato dieci giorni e si è dimesso per le polemiche interne e le inchieste della trasmissione Report. E ancora, probabilmente gli italiani vorrebbero sapere perché il ministero esalta con mostre e feste quel tipo di cultura che più si addice alla destra postfascista di governo.
Il guaio del quasi cinquantenne Giuli, che ha freschi studi in filosofia e sta scrivendo la tesi di laurea, è che risulta più astruso di come parla. Giuli di mestiere fa il giornalista e lo ha fatto toccando le vette di condirettore del quotidiano il Foglio e direttore di Tempi, la rivista cattolica di Comunione e Liberazione. Da giovane militava in un movimento di estrema destra e frequentava da ultrà duro e puro la curva sud della Roma. Da giovane adulto s’è spinto talmente a destra da sembrare di sinistra ai suoi amici di Fratelli d’Italia e, in un frangente, si è spinto presso la Lega di Matteo Salvini per redigere il programma culturale. Oggi il ministro, che quel genio di Roberto D'Agostino chiama «ministro dell'infofesfera globale», si definisce un «socialista liberale di radice gentiliana (Giovanni Gentile, teorico dell’idealismo, padre del fascismo italiano).
Al governo non capiscono cosa dica e cosa vuole Giuli: una forma di tortura per una maggioranza paranoica e complottistica. Dunque sono tutti in allerta. Giuli si dimette, no Giuli si fa cacciare, forse Giuli resiste, Giulia va alle Camere. Al momento finisce con le cronache grondanti di litigi e presunti tali fra Giuli e il sottosegretario, la sorella di Giuli e il deputato di rango, nel copione non mancano la sorella di Meloni, l’ex cognato ministro, la sorella del sottosegretario, l’ex portavoce e la sorella al ministero, il capo di gabinetto e il marito al museo Maxxi, l’amante, il parente, il nonno eccetera, eccetera. Una pena. Altro che peana.