La storia

Quando Donald Trump cercò di pagare un avvocato con un cavallo

L'episodio, curioso, è descritto in un libro in uscita la prossima settimana che ripercorre i rapporti fra il tycoon e i pagamenti
Donald Trump con un cavallo e Andy Warhol in una foto del 1983. © AP
Marcello Pelizzari
05.09.2022 12:10

Sì, è successo davvero. Anni fa, Donald Trump cercò di pagare un avvocato, cui doveva 2 milioni di dollari, in maniera piuttosto creativa. Come? Beh, offrendogli un cavallo. La scena, esilarante, è descritta nei minimi dettagli in un libro di David Enrich, giornalista e saggista del New York Times, dal titolo Servants of the Damned: Giant Law Firms, Donald Trump and the Corruption of Justice e in uscita la prossima settimana. Il Guardian, manco a dirlo, ne ha ottenuto una copia e ne ha riferito con una certa soddisfazione.

Enrich, tornando al cavallo, scrive che, una volta riacquistata la capacità di parola dopo lo sbigottimento iniziale, l’avvocato balbettò qualcosa tipo: «Non siamo nel 1800, non puoi pagarmi con un cavallo». E questo nonostante l’animale, a detta del tycoon, valesse almeno 5 milioni di dollari.

Il negazionista di fatture

Dal libro, insomma, emerge una volta di più la figura del Trump – se ci passate l’espressione – negazionista di fatture. Un imprenditore ricco, sì, eppure restio a saldare i propri debiti. Non a caso, alcune questioni fiscali legate legate alla Trump Organization sono oggetto di indagini civili e penali a New York. Ahia.

Ma c’è di più, evidentemente. Emerge, in questo come in un altro libro prossimo alla pubblicazione, Giuliani: The Rise and Tragic Fall of America’s Mayor di Andrew Kirtzman, la riluttanza di Trump a riconoscere le spese legali. Un esempio? Nel gennaio 2021 la fidanzata di Rudy Giuliani, Maria Ryan, chiese 2,5 milioni di dollari all’oramai ex presidente per il lavoro legale svolto dall’ex sindaco di New York. Un lavoro su più fronti: il tentativo di bloccare la vittoria elettorale di Joe Biden, ma anche i rapporti fra Trump e la Russia e l’impeachment.

Ovviamente, l’appello di Ryan venne rispedito al mittente. Secondo il New York Times, Trump disse che Giuliani sarebbe stato pagato on the come. Un gergo legato al gioco d’azzardo e, nello specifico, al lancio dei dadi. Tradotto: Giuliani sarebbe stato ricompensato solo se il lancio, rimanendo nella metafora, fosse riuscito.

l cambi di avvocati

Enrich, nel suo libro, si concentra parecchio sul rapporto fra Trump e lo studio legale Jones Day nonché sul ruolo svolto da Donald McGahn, un partner dello studio, nelle presidenziali 2016 e, ancora, alla Casa Bianca.

McGahn, fra le altre cose, fu il primo consigliere di Trump una volta insediatosi a Washington. Smaccatamente di destra, ha lavorato con il leader repubblicano in Senato ottenendo, infine, tre scelte per la Corte Suprema. Si dimise nel 2018, dopo le rivelazioni di una lunga collaborazione con Robert Mueller, il consigliere speciale che indagava sull’interferenza elettorale di Mosca e sui legami fra Trump e il Cremlino.

Enrich, nel suo volume, descrive proprio questa spiccata capacità, da parte di Trump, di cambiare a stretto giro di posta i suoi avvocati. Nel caso di Jones Day, «contro ogni previsione», in riferimento ai comportamenti spesso tenuti dal tycoon verso le fatture, «Trump ha pagato» senza battere ciglio. A più riprese.

L'aneddoto del cavallo

L’avvocato del cavallo, ad ogni modo, non viene identificato nel libro. Si sa, unicamente, che lavorò per Trump negli anni Novanta. «Il saldo era di circa 2 milioni di dollari – scrive il giornalista – ma Trump si rifiutò di pagare».

Poco tempo dopo, l’avvocato, piuttosto spazientito, si presentò senza preavviso alla Trump Tower. Qualcuno, non avvertendolo come una minaccia, gli permise di entrare direttamente nell’ufficio dell’imprenditore. Trump, sulle prime, fu contento di vederlo ma l’avvocato gli rifilò una ramanzina mica da ridere: «Sono incredibilmente deluso, non c’è motivo per cui non ci hai pagato». Quindi, lo stratagemma: «Ti darò qualcosa di più prezioso». Il cavallo, già. Uno stallone che valeva, a detta di Trump, 5 milioni di dollari. Lo stesso Trump frugò in uno schedario tirando fuori quello che, verosimilmente, era l’atto di proprietà dell’animale. Lo consegnò all’avvocato.

Alla fine, riporta lo scrittore, l’avvocato venne (in parte) pagato. Con soldi veri. Non con un cavallo o, peggio, parti di esso.