Quando il capo villaggio mi disse: «Sono contento di come hai mangiato, mi rende orgoglioso»

Decimo capitolo
Zigribi, 27 febbraio 2025. La mattina era cominciata con un'oretta sulla strada principale che collega Gagnoa a Divo, due cittadine di medie dimensioni della Costa d'Avorio, ma le auto mi passavano decisamente più vicino di quanto avrei voluto non facendomi sentire troppo a mio agio, così ho deciso di fare una deviazione e prendere una strada sterrata secondaria per stare più tranquillo. Sapevo che ciò avrebbe significato chiedere ospitalità per la notte a un villaggio, e infatti così è stato.
Cambio scena: eccomi sdraiato in tenda, al centro del villaggio. Di fianco a me, fino a pochi minuti fa, i fuochi erano ancora accesi e le pentole facevano sobbollire salse a base di pesce mentre delle ragazze preparavano del foutou, una specie di gnocco a base di manioca, in grandi mortai in legno. Sento mille suoni: più vicino a me, a sinistra a un paio di metri, ci sono dei bambini che parlano con i nonni, a destra invece – qualche metro più in là – un gruppo di uomini chiacchiera bevendo delle birre. Anche una coppia con il loro figlio si trova nella stessa zona, ma parlano più a bassa voce. C'è pure qualche cucciolo a spasso per il villaggio: solitamente, quando vado a dormire non mi piace avere cani intorno a me, ma so che questi non sono minimamente un problema. Li sento solo ogni tanto quando si mordicchiano giocosamente vicino alla mia tenda. In lontananza, odo altresì della musica provenire dagli autoparlanti. Musica che si alterna ai passi delle persone che camminano attorno a me e iniziano a conversare con i nonni, o il gruppo di uomini, o la famiglia. Ancora più lontano, invece, sento dei tamburi e un coro di voci principalmente femminili che cantano e pregano. Le notti sono sempre attive, indipendentemente dal giorno della settimana. Sono tutti fuori casa, sempre. Non fino a tardi, d'accordo, ma fino all'ultimo: anche qui, la vita è in comune e in casa ci si va solo per dormire.
Questo villaggio è nato nel 1963, quando l'attuale capo arrivò con suo padre, suo nonno e il resto della famiglia per coltivare cacao, caffè e palma da olio. Si sono così installati e, nel frattempo, il villaggio è cresciuto, anche se di poco. Non c'è elettricità, il che è raro qui perché tutti i villaggi vicini ne dispongono, ma le persone confidano che presto prolungheranno la linea fino a qui. Mi hanno detto che sono il primo bianco a essersi fermato da queste parti, mai nessuno prima. Ogni tanto, è vero, hanno visto qualche turista passare, ma nessuno che si sia fermato per la notte come me. Quando sono arrivato, sono andato come d'abitudine dal capo del villaggio, che mi ha subito accolto. Ho passato poi un paio di ore a parlare con lui, del più e del meno. Quindi, mi ha lavato le mani in segno di benvenuto mentre in seguito abbiamo mangiato il foutou condividendo i piatti e le salse da cui ci servivamo. A fine pasto mi ha guardato e sorridente mi ha detto: «Sono contento di come hai mangiato, mi rende orgoglioso». La mia risposta: «Sono contento anch'io, per me è un privilegio, grazie».
Per chi ancora non lo sapesse potete trovarmi anche su Instagram, mentre se volete potete supportarmi in questa avventura con delle donazioni tramite il mio profilo Ko-fi. Alla prossima.
Se vuoi rileggere (e riguardare) tutte le tappe del mio viaggio clicca qui.