Quella capsula radioattiva smarrita nell'Australia Occidentale

Una piccola capsula contenente del Cesio-137 radioattivo. È quanto cercano, ormai da giorni, le autorità australiane e la grande azienda mineraria Rio Tinto. L'involucro doveva essere trasportato in piena sicurezza per un tragitto di 1.400 chilometri dall'impianto minerario di Gudai-Darri fino a Perth. Eppure, il pacco speciale — che si presuppone dovesse essere osservato attentamente durante il percorso — non è mai giunto a destinazione. Qualcosa è andato storto: ma cosa, in particolare? Ricapitoliamo quanto successo.
Da Newman a Perth
Era il 12 gennaio. Poco meno di tre settimane fa, in Australia, un camion con a bordo la piccola capsula contenente la sostanza radioattiva lasciava la miniera di Gudai-Darri, alle porte di Newman, per dirigersi nel sud del Paese. Quasi 1.400 chilometri di distanza, dal punto di partenza a quello di arrivo. Chilometri che, effettivamente, sono tanti, tantissimi, se pensiamo che ora quella piccola scatolina cilindrica, di 6 millimetri di diametro e 8 di altezza, risulta dispersa chissà dove. Potrebbe trovarsi nel bel mezzo della remota regione del Kimberly, oppure più a sud, verso Perth, dov'era diretta. Le ricerche di un oggetto così piccolo, dopotutto, sono decisamente complesse. Inoltre, il territorio in cui la capsula è andata smarrita, ossia quello dell'Australia occidentale, è uno dei meno popolati del Paese. Secondo una stima riportata dalla BBC, solo un abitante su cinque della Western Australia vive fuori da Perth, capitale dello Stato. Tuttavia, esiste il rischio, seppur remoto, che la capsula si incastri tra le ruote di un'auto o di un camion, venendo trasportata verso località in cui vivono molte più persone.
L'incidente
Ma ritorniamo a parlare dell'incidente. L'azienda mineraria Rio Tinto non riesce ancora a darsi una spiegazione di quanto accaduto. Anche se, a dirla tutta, la responsabilità non è interamente da attribuire a Rio Tinto. Per il viaggio, infatti, era stata coinvolta un'azienda terza che si presupponeva avesse «le giuste conoscenze e le certificazioni per imballare il dispositivo in vista del suo trasporto». E così sembrava, almeno fino all'arrivo a Perth. Partito il 12 gennaio, il corriere è arrivato a destinazione quattro giorni dopo, il 16 gennaio. Ma solo il 25 gennaio, dopo aver svolto le opportune verifiche, Rio Tinto ha dichiarato lo smarrimento della capsula radioattiva. «Riconosciamo che la situazione è chiaramente molto preoccupante, e ci dispiace per l'allarme che ha causato», ha confessato l'azienda stessa ai microfoni della BBC. «Oltre a sostenere pienamente le autorità competenti abbiamo avviato una nostra indagine per capire come sia stato possibile perdere la capsula durante il trasporto», aggiunge Rio Tinto in un comunicato stampa. «Stiamo lavorando a stretto contatto con l'appaltatore per capire meglio cosa sia andato storto».
Già. Cosa può essere andato storto? Il gigante minerario, dopo aver divulgato la scomparsa dell'involucro, ha spiegato che il dispositivo coinvolto era un misuratore di densità comunemente utilizzato nell'industria mineraria. E prima che questa importantissima capsula lasciasse proprio la miniera di Gudai-Darri, Rio Tinto si era assicurato che l'involucro fosse stato inserito all'interno della confezione utilizzando un contatore Geiger. Ossia, un dispositivo elettronico in grado di rilevare e misurare le radiazioni. Ciononostante, la capsula con Cesio-137 a Perth non ci è mai arrivata.

Rischi per la salute
Nel frattempo, i funzionari australiani si sono detti «preoccupati» e hanno cominciato a diffondere immagini della capsula a confronto con le dimensioni di una moneta, di modo da aiutare nell'eventuale identificazione. Sebbene all'interno dell'involucro sia posta solo una piccola quantità di Cesio-137 radioattivo, toccare la sostanza potrebbe infatti causare gravi malattie. E non solo. Secondo un responsabile sanitario dell'Australia Occidentale, Andrew Robertson, entrare in contatto con la capsula o tenerla vicino a sé potrebbe comportare danni alla pelle, tra cui ustioni. «Tenerla per un po' di tempo accanto può invece causare la cosiddetta malattia acuta da radiazioni», aggiunge l'esperto. Il Dipartimento dei vigili del fuoco e dei servizi di emergenza dell'Australia Occidentale ha inoltre comunicato alcuni comportamenti chiave da adottare qualora si rinvenisse la capsula. Starle almeno 5 metri lontano. Non toccarla e non metterla in una borsa. Men che meno, nella propria auto. E, cosa più importante, chiamare immediatamente l'apposito numero per far intervenire chi di dovere.

Non il primo incidente di questo tipo
Ma quello australiano non è l'unico piccolo incidente che ha visto protagonista proprio il Cesio-137. In alcuni casi, però, si sono registrati feriti gravi, e anche delle vittime. È il caso dell'incidente in una clinica abbandonata a Goiânia, in Brasile, nel 1987. Qui, un sistema di radioterapia smaltito in maniera inopportuna era stato rimosso per poi essere smantellato. In seguito, il solfato di cesio era stato venduto in una discarica a diversi sfortunati acquirenti. Un caso simile a quello attuale è invece quello che interessò nel 2015 l'Università di Tromsø, quando all'epoca aveva smarrito 8 campioni radioattivi, rispettivamente di Cesio-137, Americio-241 e Stronzio-90. Anche in quell'occasione, gli involucri erano andati persi mentre venivano spostati per essere utilizzati a scopo didattico. Anche in quel caso, ancora dopo mesi di distanza, si dichiarò che i campioni non erano stati trovati. L'ultimo caso prima di quello australiano risale invece al 2019. Anno in cui 13 persone furono esposte al Cesio-137 mentre si trovava nell'edificio Research and Training del complesso Harborview Medical Center di Seattle. La sostanza radioattiva stava venendo trasferita dal laboratorio a un camion, quando la polvere si era rovesciata. In quel caso, diverse persone vennero decontaminate e portate in ospedale.
Da un disastro all'altro
Tuttavia, l'incidente australiano ha avuto un tempismo decisamente pessimo per Rio Tinto. L'azienda, infatti, non si è ancora totalmente ripresa dallo scandalo di cui era stata vittima nel settembre 2020. In quell'anno, Rio Tinto aveva infatti distrutto alcuni sacri rifugi aborigeni dell'Australia Occidentale. Un reperto storico di 46.000 anni fa, sacrificato per espandere una miniera di ferro. In men che non si dica, erano esplose tante, tantissime polemiche. Al punto tale che l'allora CEO dell'azienda, Jean-Sébastien Jacques, aveva rassegnato le proprie dimissioni. Nel frattempo, per rimediare ed evitare di essere protagonisti di un altro scandalo, diverse squadre di ricerca hanno cominciato da giorni a perlustrare minuziosamente il percorso seguito dal camion contenete la capsula con il cesio. Ma secondo gli esperti, le possibilità che l'involucro venga ritrovato sono prossime allo zero.