Niente pettegolezzi

Resistere, resistere, resistere: il nuovo motto di Daniela Santanché

Nessuno poteva immaginare che le vicende della senatrice di Fratelli d'Italia e ministra del Turismo fornissero una riproduzione autentica delle condizioni del giornalismo in Italia
©Andrew Medichini
Carlo Tecce
18.01.2025 16:30

Nessuno poteva immaginare che Daniela Santanché, la «Dani» come la chiama Giorgia Meloni, la «Santa» come la chiama qualche apostata, la «Santadeché» come la chiama quel genio di Dagospia, la «Pitonessa» come la chiama il pubblico non animalista, ci fornisse una riproduzione autentica delle condizioni del giornalismo in Italia. La senatrice di Fratelli d’Italia e ministra del Turismo è ufficialmente imputata per falso in comunicazioni sociali nel filone Visibilia. Dovrà affrontare un processo che si aprirà a marzo a Milano. Luigi Ferrarella del Corriere della Sera, un fuoriclasse del settore, ci ricorda che a memoria, escluso Silvio Berlusconi, nelle diapositive della Repubblica non esiste un componente del governo rinviato a giudizio.

Questa non è l’unica inchiesta, però, che coinvolge Daniela Santanché. C’è una seconda richiesta di rinvio a giudizio che pende presso il Tribunale di Milano e riguarda una ipotesi di truffa allo Stato su 126.000 euro di cassa integrazione a zero ore durante la pandemia per i dipendenti di Visibilia. Non è finita. Perché la stessa ministra è indagata per concorso in bancarotta della società Ki Group. Con un quadro clinico-giudiziario del genere è automatico, scontato, forse pleonastico, aspettarsi le dimissioni immediate dal governo in attesa di ulteriori sviluppi per le pesanti e molteplici accuse. Invece da un giorno sono in attivo schiere di esegeti, di Fra Tommaso da Celano che fu il primo e creativo biografo di San Francesco, di lettori di comunicati in filigrana, tutti arruolati a camuffare, riscrivere, addestrare i fatti per renderli più docili e tentare, almeno per un po’, di posticipare le dimissioni e i pericolosi rimpasti di governo. Ci si domanda, in parecchi retroscena sui giornali, se la coalizione di centrodestra possa sopportare uno o due rinvii a giudizi della ministra. Ci si domanda, esaminando i dettagli e sondando le fonti, che ne pensano dentro Fratelli d’Italia, dentro Forza Italia, dentro la Lega di Salvini e anche in quella Lega che gli è distante.

Ci si domanda infine, stremati da tanto peregrinare mistico, se questa coalizione di governo possa ignorare le iniziative dei giudici di Milano e dunque avere scarsa sensibilità sul doppio tema giustizia/legalità. Per la risposta non bisogna andare troppo indietro nel tempo. È sufficiente tornare a giovedì 16 gennaio 2025. Quando la Camera ha approvato la riforma costituzionale, firmata dal ministro Carlo Nordio, che stravolge l’assetto del potere giudiziario e porta con sé un sapore punitivo: strumentale separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri col rischio che le nuove norme favoriscano il controllo dell’esecutivo sui pm; frazionamento in tre del Consiglio superiore della magistratura, cioè l’organo di autogoverno, con estrazione a sorte dei suoi membri togati e laici negando di conseguenza il diritto di voto. La domanda corretta da farsi è un’altra: perché questa maggioranza di governo, divisa su molti argomenti e però compatta contro i giudici, dovrebbe spingere l’imputata Santanché a immediate dimissioni? Resistere, resistere, resistere. Ch’era il motto, però, del compianto Francesco Saverio Borelli, il capo del pool di Mani Pulite. 

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