«Restituisci il Moai», la campagna di un influencer contro il British Museum

Il British Museum ha un problema con i Moai. O, per meglio dire, con alcuni utenti online, che chiedono a gran voce al Regno Unito di restituire una delle famosissime statue presente nel museo al luogo a cui appartiene: l'isola di Pasqua. Ma per quale motivo?
La storia, a dirla tutta, va avanti da mesi. E ha come protagonista Mike Milfort, un influencer cileno, che sui suoi profili social, in particolare su TikTok, ha cominciato, di punto in bianco, a portare avanti una campagna contro il celebre museo londinese. Convincendo centinaia e centinaia di utenti, che a suon di «Restituisci il Moai», si sono uniti all'iniziativa su varie piattaforme, chiedendo, appunto, al British Museum di riportare l'iconica statua, chiamata Hoa Hakananai'a, a Rapa Nui.
Il Moai in questione (insieme a una versione più piccola conosciuta col nome «Hava») era sbarcato in Inghilterra nel 1869, come dono per la regina Vittoria dal capitano della HMS Topaze, Richard Powell. Solo in un secondo momento, la sovrana aveva donato le statue al museo, dove ancora oggi ogni anno vengono visitate – e ammirate – da milioni di turisti. Almeno fino ad ora. Le polemiche portate avanti dall'influencer, infatti, minacciano di cambiare le cose.
Nello specifico, Mike Milfort, in quanto cileno, reclama l'appartenenza delle statue a Rapa Nui. L'isola, infatti, fa parte del territorio del Cile. E proprio per lo stesso motivo, anche il presidente del Paese, Gabriel Boric, si è unito alla campagna, sostenendo il sentimento promosso dall'influencer. I media cileni, dal canto loro, nel descrivere la notizia hanno sottolineato, senza mezzi termini, che Hoa Hakananai'a è stato, a tutti gli effetti, «rubato». Dunque, si aspettano che il Regno Unito lo restituisca il prima possibile.
Ciononostante, nel bel mezzo delle polemiche, il British Museum non si esprime. Anzi, ha silenziato tutti i commenti che, sotto un post pubblicato sul profilo Instagram, imploravano il museo di dare ascolto alle richieste di Milfort. Sia in inglese, che in spagnolo, diversi utenti, con tanto di emoji a forma di Moai, si sono uniti chiedendo tutti la stessa cosa: «Restituite il Moai a Rapa Nui». «O almeno riconoscete la gente dell'Isola di Pasqua come legittima proprietaria».
Una portavoce del British Museum, contattata dai media britannici, ha rivelato che il museo accoglie con favore il dibattito, purché sia «bilanciato con la necessità di garantire la salvaguardia, soprattutto quando si tratta di giovani». Senza però fornire ulteriori indicazioni.
Secondo El Pais, gli isolani non avrebbero mai rinunciato alla possibilità di riportare il Moai nelle loro terre. Di più, nel 2018, il presidente del Consiglio degli anziani di Rapa Nui, Carlos Edumunds, insieme a quattro membri eletti della Commissione per lo sviluppo dell'Isola di Pasqua, avevano sottolineato come un rimpatrio sarebbe «un simbolo importante per chiudere il triste capitolo dell'abuso dei loro diritti da parte dei navigatori europei che devastarono l'isola nel 19. secolo».
Le autorità cilene, quindi, avrebbero anche lanciato un appello alle loro controparti britanniche, per smuovere la situazione e accendere i dialoghi in merito alla restituzione della statua. Nel 2019, in particolare, il Ministero dei Beni Nazionali, sotto al governo dell'ex presidente Presidente Sebastián Piñera, aveva lanciato una raccolta firme, volta a chiedere la restituzione di Hoa Hakananai'a, a cui era seguito l'invio di una delegazione cilena nel Regno Unito, per discussioni più approfondite.
Tuttavia, stando alla BBC, il museo ha invece confermato di essere in «buoni e aperti rapporti» con i colleghi di Rapa Nui, i quali, proprio dal 2018 si sono recati in diverse occasioni in visita a Londra. Motivo per cui non ci sarebbero i presupposti per aspettarsi che l'Isola di Pasqua si accodi, a tutti gli effetti, alle proteste del Cile. Dunque, diversamente da quanto accaduto lo scorso anno, quando il primo ministro greco ha chiesto la restituzione dei marmi di Elgin, questa volta, almeno al momento, il British Museum potrebbe non avere ragioni a sufficienza per accontentare il giovane influencer e la sua community.
