L'intervista

«Ricordiamoci, oggi più che mai, che i profughi sono spesso donne»

L'8 marzo è una giornata speciale, a maggior ragione a causa della guerra in Ucraina – Ne parliamo con l'assistente alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati

Al settimo piano della sede di Ginevra, l’alta funzionaria ONU ci accoglie in occasione della Giornata internazionale della donna e lo fa senza nascondere la preoccupazione per una situazione ucraina, a livello umanitario, sempre più difficile.

Ginevra Gillian Triggs, che aria si respira all’UNHCR in questo momento di grave crisi in Ucraina?
«Sono giorni di grande stress, ma stiamo facendo il possibile per garantire la sicurezza di tutti i rifugiati ucraini. I membri della nostra organizzazione sono al lavoro nel fronteggiare 40 emergenze umanitarie in tutto il mondo, ben 21 delle quali scoppiate nell’ultimo anno. Bisogna garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani di oltre 84 milioni di persone. Un numero destinato ad aumentare sensibilmente a causa del conflitto in Ucraina: siamo di fronte a una situazione senza precedenti».

La crisi in Ucraina rischia di essere la più grave del secolo, con milioni di persone che stanno cercando di lasciare il Paese. La maggior parte di loro sono donne e bambini: quali sono i rischi che corrono?
«Sappiamo di essere un punto di riferimento per la gestione di questa emergenza, per questo è fondamentale il lavoro di coordinamento con i Paesi europei, in particolar modo quelli al confine con Polonia e Moldavia, con i quali abbiamo intavolato diverse discussioni, soprattutto per garantire sistemi di registrazione più efficienti e corridoi umanitari che facilitino il passaggio in piena sicurezza. Siamo consapevoli che ci sono centinaia di migliaia di donne e bambini che si stanno muovendo verso ovest e che sono particolarmente vulnerabili, anche a causa di chi sta osservando gli sviluppi di questa migrazione per trarne profitto. Stiamo lavorando per assicurare la protezione dei più deboli e al momento la risposta dei Governi è stata ottima, ma sappiamo che c’è ancora molto lavoro da fare».

Alcuni rapporti internazionali evidenziano come l’accoglienza riservata ai profughi provenienti dall’Ucraina non sia sempre la stessa: diverse persone di origine africana hanno riferito di aver avuto difficoltà a lasciare il Paese e di essere state addirittura respinte.
«Le nazioni europee, in particolare Polonia, Moldavia, Romania, hanno aperto i loro confini in un momento difficile. Più di un milione di persone ha già passato la frontiera con pochissima burocrazia e impedimenti. Alcuni rapporti pervenutici parlano però di controlli, in alcuni posti di frontiera, che hanno messo in difficoltà persone di origine africana o asiatica. Tutto ciò è molto preoccupante. Possono esistere delle ragioni tecniche (ad esempio legate al tipo di permesso per la permanenza in Ucraina), ma temo che alcune persone siano state respinte per ragioni puramente razziste. Non siamo sicuri dei numeri, ma alcuni resoconti sono molto convincenti. L’alto commissario Filippo Grandi è cosciente di questa situazione, all’ONU stiamo lavorando per assicurarci, con la collaborazione degli stessi Governi, che non ci siano discriminazioni e che tutti possano approfittare di questa politica altrimenti estremamente generosa».

Siamo un’organizzazione umanitaria e non politica, il nostro dovere è assistere chiunque sia in difficoltà a causa di conflitti o persecuzioni, a prescindere da che zona del mondo arrivino o da chi abbia le maggiori responsabilità in guerra
Gillian Triggs

La nutrita comunità di russi all’estero sta soffrendo a causa delle sanzioni. Alcuni sono vittime di aggressioni e licenziamenti, o non possono rientrare nel proprio Paese. Non si corre il rischio di aggravare l’emergenza umanitaria?
«Siamo un’organizzazione umanitaria e non politica, il nostro dovere è assistere chiunque sia in difficoltà a causa di conflitti o persecuzioni, a prescindere da che zona del mondo arrivino o da chi abbia le maggiori responsabilità in guerra. Sappiamo che molti russi sono vittime di discriminazioni e proprio per questo continueremo a collaborare, indipendentemente dalle ragioni o dai torti, con il governo di Mosca per garantire la loro sicurezza». Lo scorso anno è stato segnato da diverse crisi umanitarie, in particolare quelle in Myanmar e Afghanistan, eppure nessuna di queste ha avuto la stesso eco mediatica della crisi in Ucraina. «È nella natura umana prestare più attenzione a ciò che succede vicino a noi e ai nostri confini. Anche perché la situazione è critica e sarà necessario un coinvolgimento eccezionale dei Paesi europei, che per molto tempo avranno la responsabilità di controllare la sicurezza delle zone di confine. Ma gli stessi Paesi europei per anni hanno collaborato con noi nel sostenere le popolazioni in crisi in tutto il mondo, con un’enorme profusione di sforzi e risorse, affermando il proprio ruolo umanitario di primissimo livello. Un ruolo che sicuramente rivestiranno anche nei prossimi anni, sebbene la grande sfida al momento sia in Ucraina».

Durante il suo mandato all’UNHCR ha potuto assistere all’evoluzione dei diritti delle donne in momenti di crisi, primo fra tutti la pandemia. Come si è evoluta la parità di genere negli ultimi anni?
«Prima della COVID, a livello globale, si stavano facendo grandi e significativi passi avanti per le donne. Era dato loro più potere economico e politico, accessibilità al lavoro, libertà di esprimersi. Ma la pandemia, è triste dirlo, ha portato a una regressione di tali diritti. Donne e bambine sono state le più colpite, specialmente tra gli sfollati. È stato particolarmente preoccupante osservare come in alcune regioni, con la riapertura delle scuole, sia stato concesso di ritornare fra i banchi solo ai maschi. Con le famiglie impoverite e senza lavoro, le bambine sono state tenute a casa per aiutare, o vendute e date in matrimonio. C’è però anche un lato positivo che spesso non viene considerato. Quando c’è bisogno di più assistenza sanitaria, chi se ne assume la responsabilità? E chi, nelle nazioni che invecchiano, si prende cura degli anziani? Le donne, spesso con passato migratorio. In tali momenti è ancora più evidente a tutti come esse giochino un ruolo importante nella società e tale presa di coscienza tende a riflettersi sul piano politico negli anni seguenti».

Lei è stata recentemente insignita della Ruth Bader Ginsburg Medal of Honor. Che messaggio trasmette alle donne e alle ragazze di tutto il mondo?
«È stato un onore per me ricevere questo riconoscimento inaugurale in nome di Ruth Bader Ginsburg. Abbiamo lo stesso background nel campo della giustizia, sono sempre stata una sua fan e ho avuto la fortuna di incontrarla diversi anni fa. Ritengo che vedere una donna in una posizione influente come quella occupata da Bader Ginsburg possa essere d’ispirazione. Le Nazioni Unite sono leader nell’assicurarsi che sempre più donne si trovino in posizioni di rilievo e sono molto fortunata e onorata ad avere quella che occupo. In Tanzania, ad esempio, presidente e ministro degli Affari esteri sono donne. Questo è di ispirazione per le altre donne nel Paese, che a poco a poco stanno facendo progressi in diversi campi, dal business alla politica».

In che modo la popolazione svizzera può contribuire nell’aiutare le persone costrette a lasciare il proprio Paese in una situazione di crisi?
«La Svizzera è uno dei più grandi partner dell’ONU e agisce in tutto il mondo per aiutare le persone più vulnerabili. Per la Giornata internazionale della donna è buona cosa sottolineare come a soffrire questi spostamenti forzati siano spesso donne e bambini. Cosa può fare la Svizzera? Questa intervista è un esempio. Un patrocinio, basato su fatti accurati, così che la popolazione svizzera capisca la situazione. Fornire informazioni sulla realtà delle cose è di primaria importanza perché le persone si schierino a sostegno della causa. E, speriamo, donino di più. Perché, in tutta franchezza, i soldi fanno la differenza. Molti degli aiuti in Afghanistan e in Ucraina sono basati sul semplice flusso di denaro. Certo: forniamo ripari, acqua, medicinali, consulenza. Ma tutto ciò dipende dai soldi, la vera chiave per mettere rapidamente in movimento gli aiuti». 

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