Russia, eppur si vola: ma a che prezzo?
No, il traffico aereo – nonostante le sanzioni e le difficoltà, spesso enormi, in termini di manutenzione dei velivoli – in Russia non si è fermato. L'anno scorso, nel 2022, le compagnie della Federazione nell'insieme hanno trasportato 95 milioni di passeggeri. Il 14% in meno, circa, rispetto al 2021. I voli nazionali hanno recitato la parte del leone, con un significativo 82%. Un dato, questo, in calo rispetto all'88% dell'anno precedente. Il motivo? In parte, la chiusura dello spazio aereo russo meridionale, non lontano dal conflitto, e di aeroporti un tempo molto trafficati come quello di Rostov sul Don.
Il governo, per tamponare le ripercussioni legate alle citate sanzioni, nel 2022 ha versato più o meno 1,1 miliardi di franchi svizzeri alle compagnie. Sussidi che, per l'anno corrente, saranno minori. Decisamente minori, leggiamo. Di qui, la necessità da parte dei vettori di ridurre i collegamenti.
Riavvolgiamo il nastro
Le problematiche, va da sé, restano. Anche perché i costruttori occidentali, Airbus e Boeing, ma anche la brasiliana Embraer, non forniscono più velivoli nuovi, parti di ricambio, aggiornamenti software e, in generale, assistenza. Colpa, appunto, dell'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca e delle conseguenti misure adottate dagli alleati di Kiev. Secondo la Neue Zürcher Zeitung, prima del conflitto il 95% del traffico commerciale, in Russia, era garantito da aerei occidentali. Aerei che, appunto, non possono più beneficiare dell'appoggio dei costruttori.
Di più, come noto le compagnie di assicurazione e quelle di leasing, molto battute dai vettori, hanno smesso di collaborare nel momento in cui sono state imposte le sanzioni. Bloccando, fra l'altro, 78 apparecchi in leasing che si trovavano fuori dal territorio russo. Per gli altri, giova ricordarlo, Mosca ha trovato una soluzione, diciamo, fantasiosa e allo stesso tempo complicata: gli aerei sono stati trattenuti in Russia e ri-registrati. Dando vita a vere e proprie cannibalizzazioni delle flotte e operazioni di risparmio altamente rischiose.
Eppure, dicevamo, detto dei problemi (crescenti) finora l'aviazione russa è riuscita a rimanere in piedi. Anzi, in aria.
Le scappatoie. E le contromosse dell'UE
Secondo un'indagine di Reuters, a garantire pezzi di ricambio e manutenzione, ora, sono Paesi terzi. Fra cui il Tagikistan, gli Emirati Arabi Uniti, la Cina o la Turchia. Una scappatoia, non priva a sua volta di problemi e lungaggini. Per tacere dei costi, più elevati, e del fatto che in Russia non arrivino parti nuove di zecca. No, provengono da aerei ritirati dal servizio e poi cannibalizzati. Una scappatoia, fra l'altro, che l'Unione Europea prevede di contrastare attraverso l'undicesimo pacchetto di sanzioni, varato a giugno, nel quale figura il divieto di esportazione di prodotti sanzionati (come i pezzi di ricambio degli aerei) verso Paesi terzi qualora il rischio di elusione fosse particolarmente elevato.
Proekt, ne avevamo parlato, aveva pure rivelato che i vettori russi sono, giocoforza, diventati meno rigorosi nell'interpretare le norme di sicurezza. Guai, insomma, a documentare sui registri motori che perdono, toilette rotte o bombole di ossigeno di emergenza non a norma. Il motto, pare, è tanto semplice quanto rischioso: finché un aereo sta in aria, va tutto bene. La strategia sta pagando fino a un certo punto, visto che ritardi e cancellazioni sono oramai all'ordine del giorno.
Finora, per fortuna, non si sono verificati disastri. Ma il numero di incidenti minori è cresciuto. Parecchio. Tant'è che l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile, l'ICAO, considera la Russia, al pari di Liberia, Congo-Kinshasa e Bhutan, incapace di garantire le raccomandazioni di sicurezza dell'Organizzazione stessa.
È opinione comune, fra esperti e analisti, che continuare ad applicare cerotti, sempre di più e sempre più precari, presto o tardi porterà il sistema al collasso. A maggior ragione se la Russia, come Paese, non è in grado di offrire le cosiddette revisioni periodiche degli aerei. Al riguardo, va segnalato che tempo fa un Airbus era stato spedito in Iran a questo scopo. Secondo il Ministero dei Trasporti, entro il 2025 un terzo dei velivoli occidentali, volenti o nolenti, dovrà essere messo fuori servizio.
La situazione è così tesa, lassù, in aria, che diverse missioni diplomatiche straniere hanno dato un ordine preciso al proprio personale: all'interno della Russia, spostatevi soltanto in treno.
La soluzione interna? Complicata
La soluzione ai tanti, tantissimi problemi cui è confrontata l'aviazione russa, secondo il Cremlino, potrebbe allora arrivare dall'interno. Il conglomerato industriale Rostec, nel 2022, a tal proposito ha fissato un obiettivo ambizioso: arrivare a produrre mille aerei di fabbricazione russa entro il 2030. Un obiettivo, uscendo dalla narrazione, ritenuto irrealistico. Anche perché, diciamo, l'industria aeronautica del Paese dopo la dissoluzione dell'URSS non ha certo brillato. Nel 2006, Vladimir Putin aveva raggruppato i vecchi marchi dell'epoca d'oro sovietica (si fa per dire, visto che di incidenti ne capitavano non pochi allora) in ambito civile e militare – MiG, Sukhoi, Tupolev, Ilyushin, Irkut e Yakovlev – nella United Aircraft Corporation, a sua volta sotto l'ombrello di Rostec.
L'unico prodotto, finora, partorito è stato il Sukhoi Superjet, sviluppato fra l'altro con partner italiani come Aermacchi e Pininfarina, il cui primo volo risale al 2008. Questo velivolo per il corto raggio, tuttavia, non ha mai conquistato i mercati occidentali e ha pagato, sul lungo periodo, problemi evidenti alla catena di approvvigionamento. Di qui l'idea di uscire con una versione al 100% russa, senza componenti occidentali a livello di software, carrello d'atterraggio e componenti del motore, ma il cosiddetto Superjet New ancora non è stato messo in aria.
Rostec confida di raggiungere l'obiettivo, per il quale sono stati stanziati circa 7,2 miliardi di franchi svizzeri, attraverso l'Irkut MS-21, velivolo a medio raggio. Peccato che questo modello sia in fase di sviluppo dal 2007. Un'eternità. Di più, proprio come per il Sukhoi anche l'MS-21 deve prima «ripulirsi» di tutte le componenti straniere.
Se Mosca, prima, cercava anche il respiro internazionale, in particolare collaborando con la cinese COMAC, una collaborazione che sembrerebbe nel frattempo tramontata o quantomeno ridimensionata, l'obiettivo del Cremlino adesso è semplicemente quello di garantire le operazioni di volo interne.
Il traffico aereo non si è fermato. Ma appare sempre più complicato, per la Russia, fare in modo che i suoi aerei continuino a volare.