Russia, finiscono gli anni ‘90: così muoiono le speranze
Concludiamo gli approfondimenti del 2024, dedicati agli anni Novanta della Russia, il decennio di Boris Eltsin. Anziano e malato, Eltsin si dimette il 31 dicembre 1999, in anticipo sulla scadenza del mandato. Da agosto dello stesso anno Vladimir Putin è capo del governo. Interviene con decisione per tacitare la ribellione in Cecenia e si erge a «uomo nuovo» che affronta con il pugno di ferro i problemi della Russia. Al ritiro di Eltsin, per norma costituzionale, Putin subentra come capo provvisorio dello Stato sino alle elezioni successive. La sua popolarità è cresciuta, ma non basta a garantire la sua elezione a presidente effettivo. Ecco cosa accade e perché cambiano le carte in tavola.
Cresce il consenso per il nuovo presidente
Da fine agosto 1999 si ripetono gravissimi attentati che colpiscono luoghi e abitazioni civili. Muoiono alcune centinaia di persone. Un attentato viene sventato grazie alla denuncia di un cittadino: nota strani personaggi che depositano sacchi nelle cantine di un condominio. Si scopre che erano degli incaricati dei servizi segreti. Il timore è che quei personaggi stessero preparando un ulteriore atto terroristico. I servizi negano, dicendo che gli uomini stavano trasportando zucchero, ma non si spiega perché agenti segreti dovrebbero immagazzinare sacchi di zucchero nelle cantine di uno stabile d’appartamenti.
Monta il sospetto che anche i precedenti attentati fossero organizzati dai servizi segreti, per far crescere il consenso verso l’elezione di Putin, il loro uomo. Un ex agente, fuggito nel Regno unito, Aleksandr Litvinenko, conferma questa tesi e ci scrive un libro: viene ucciso con una dose di polonio.
Il governo attribuisce gli attentati ai separatisti della Cecenia, dove Putin mostra il pugno duro: promette di «andare a cercare i terroristi ovunque si trovino, persino nel gabinetto». Il suo tasso di popolarità raddoppia. Putin è pronto per vincere la successione a Eltsin, da anonimo funzionario che era fino a un anno prima.
La democrazia è debole, ma tiene ancora
Negli articoli di quest’anno abbiamo parlato della corruzione, del disordine economico nella Russia degli anni Novanta, degli oligarchi, delle crisi istituzionali e della criminalità. Cresce il bisogno di ordine: quando Putin caccia gli oligarchi di Eltsin, la popolazione lo saluta come l'angelo vendicatore sceso a purificare la Russia dai poteri oscuri. In quegli anni Putin è citato anche in Occidente come colui che «restituisce dignità» al popolo russo. Ciò che i russi non vedono, ma di cui si accorgeranno presto, è che allontanare gli uomini di Eltsin non significa pace sociale, ridistribuzione delle risorse, fine delle mafie e della corruzione.
La nascente democrazia russa degli anni Novanta è debole, ma tiene. Il potere ruota intorno a Eltsin e al suo cerchio magico, soprattutto nel secondo mandato, eppure la dialettica politica non è ancora morta. Crescono giovani promettenti: Boris Nemcov, a 32 anni governatore Nižnj Novgorod, poi vicecapo del governo russo; Vladimir Milov, che diventerà a meno di trent’anni viceministro sotto Putin, per poi distanziarsene. C’è una generazione che ha vissuto l’adolescenza nel comunismo e non ha alcuna intenzione di diventare adulta replicando l’esistenza dai genitori. Dissidenti come Aleksej Naval’nyj, Il'ja Jašin e i due Kara-Murza, padre e figlio, abbracciano l’attivismo politico grazie alle prime libertà politiche degli anni Novanta.
Anna Politkovskaja e la battaglia dei media
Negli anni di Eltsin i media godono ancora di un buon grado di libertà, se li si paragona a quelli di oggi. La celebre Anna Politkovskaja cresce come giornalista d’inchiesta in quegli anni: troppo scomoda nel dopo-Eltsin, viene assassinata il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin. È il nome-simbolo che rappresenta innumerevoli giornalisti critici verso il Cremlino impediti nell'esercizio della professione, scomparsi o uccisi, dopo il cambio della guardia al vertice dello Stato.
La fine degli anni Novanta segna la chiusura dei residui spazi di confronto ancora esistenti in Russia. La saldatura tra affarismo, media e politica si fa totale. Un esempio è l'emittente NTV, un canale privato che gode di una certa popolarità, critico verso Putin. Ne è proprietario Vladimir Gusinskij, un oligarca che non gradisce la salita al potere del nuovo presidente.
Poche settimane dopo le elezioni vinte da Putin, Gusinskij viene arrestato e la rete NTV passa sotto il controllo di Gazprom, il colosso energetico che diventa la macchina finanziaria del nuovo potere. Nel frattempo, anche ORT, la società che gestisce il primo canale TV russo, viene sottoposta ad agenzie governative. Sono due Russie che si scontrano: da una parte, quella di Putin e dei suoi uomini; dall'altra, quella ormai in disgrazia del vecchio Eltsin.
Le elezioni del 2003: il potere si consolida
Putin ha fretta: deve controllare il consenso politico prima delle elezioni parlamentari del 2003. Il suo partito cambia nome, da Edinstvo a Edinaja Rossija, e cresce del 15%. Nel 1999 il Partito comunista russo era al 24%, con le elezioni del 2003 dimezza i suffragi: una parte del suo elettorato, nostalgico e antioccidentale, passa al partito di Putin. Il terzo posto va ai nazionalisti di Žirinovskij, che crescono del 5%. Citare questi numeri fa riconoscere che il dibattito pubblico russo è ancora piuttosto fluido, in quel momento: comincia a imporsi l’egemonia del partito del presidente, ma le forze politiche crescono e calano secondo una dinamica quasi normale.
Con le elezioni del 2003, Edinaja Rossija comincia a infiltrarsi in tutti i gangli dello Stato. La vita dell’opposizione parlamentare si fa sempre più difficile. A differenza dell’era Eltsin, quando la contrapposizione fra parlamento e presidente era aspra e costante, ora il parlamento si allinea al capo dello Stato, dietro un pluralismo di facciata.
I problemi non si risolvono
I problemi dei russi restano. Putin ottiene alcuni risultati in economia, ma li deve in gran parte a due elementi non dipendenti da lui: l’aumento globale del prezzo del petrolio e una riforma fiscale che facilita gli investimenti stranieri, uno degli ultimi atti di Eltsin. La promessa di riportare ordine attrae gli investitori, certo, ma con i governi dell’era Putin l’economia rimane fedele alla logica dei colossi industriali ereditata da Stalin. La Russia continua a dipendere dall’esportazione di materie prime, gas e petrolio, armamenti. Non nasce un tessuto produttivo diversificato, fatto anche di piccole e medie imprese, flessibile e competitivo nell’export. Perché diversificare, d’altra parte, se controllando pochi giganti industriali il regime controlla l’intero Stato?
Alle elezioni presidenziali del 2004 Putin viene confermato con il 71% dei voti, molto più del 52% con il quale aveva prevalso quattro anni prima. Fa leva anche sulla parte più delusa e impreparata della società, i pensionati e gli elettori delle campagne. Nel 2007 annuncia a Monaco la sua visione del mondo: la teoria del mondo multipolare e le dottrine elaborate negli anni Novanta nella cerchia del politologo Aleksandr Dugin diventano le linee-guida della politica estera russa e aprono la strada alle guerre di oggi, dalla Georgia all’Ucraina. Con la grande finanza e i media maggiori asserviti al governo e grazie alla riforma elettorale del 2005, che introduce modifiche sfavorevoli alle opposizioni, nel 2007 il partito di Putin consegue la maggioranza assoluta. L’instaurazione di un regime autoritario è compiuta: la Russia degli anni Novanta è finita davvero.
Così muoiono le speranze per la Russia
L’autoritarismo di Putin cresce in continuità sul terreno che Eltsin aveva seminato con le sue debolezze. Oggi, una violenta propaganda denigra gli anni Novanta russi: è curioso che provenga sia dal Cremlino sia da oppositori cresciuti intorno ad Aleksej Naval’nyj. Ci vuole prudenza, nel giudicare i protagonisti della storia russa di quel periodo. Vi sono stati criminali e approfittatori, ma anche tanti dirigenti sinceri e preparati che hanno dato il loro meglio. Tutti hanno commesso errori, in una missione senza precedenti storici: realizzare la transizione di uno Stato totalitario a economia pianificata verso una società democratica fondata sul libero mercato, in un mondo che cambiava faccia ogni giorno.
All’inizio di questi approfondimenti avevamo definito gli anni Novanta un decennio di speranze, per la Russia e per il mondo, dopo la caduta del Muro di Berlino. Tra le tante cause che hanno ucciso la speranza, in Russia, vi è quella che Anna Politkovskaja denuncia nel suo celebre La Russia di Putin. La società russa cede: nella confusione del post-comunismo, i russi rinunciano al loro ruolo di guardiani della libertà riconquistata; nei primi anni Novanta scendevano in piazza a migliaia per sostenere il congedo senza ritorno dal totalitarismo, meno di dieci anni dopo sono incapaci di resistere all'arrivo di un «uomo forte» che li riporta ai rigori di una dittatura, Vladimir Putin. È la lezione che la Russia degli anni Novanta lascia alla Storia e a tutti noi: se la società civile rinuncia a proteggere la propria libertà, la perde. Una lezione che dobbiamo ricordare, oggi più che mai.
Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata clicca qui. Per leggere la settima puntata clicca qui. Per leggere l'ottava puntata clicca qui. Per leggere la nona puntata clicca qui. Per leggere la decima puntata clicca qui. Per leggere l'undicesima puntata clicca qui.