Se Ferrari è diventato un marchio globale il merito è di Sergio Marchionne

Questa settimana la Exor, la holding della famiglia Agnelli/Elkann, ha venduto il 4 per cento di Ferrari e ne ha ricavato 3 miliardi di euro. Per fare nuovi investimenti, dicono. Oppure per ripianare anche vecchie perdite, chissà. John Elkann, il capo della famiglia Agnelli/Elkann, ha potuto fare cassa con Ferrari perché su Ferrari, e non soltanto su Ferrari, si riflettono ancora le scelte di un uomo troppo presto caduto nell’oblio: Sergio Marchionne, il capo di tutto in Fiat.
Il successo industriale e finanziario di Ferrari, in attesa che ritorni quello sportivo dopo 16 anni dall’ultimo titolo costruttori e 17 dall’ultimo titolo piloti, si è compiuto un giorno di settembre a Maranello. Esattamente il 10 settembre 2014. Quel giorno fu convocata una conferenza stampa per il passaggio di testimone fra Sergio Marchionne, nel suo maglioncino blu all’apparenza infeltrito, e il sempiterno Luca Cordero di Montezemolo, in un suo completo elegante di colore volutamente non sgargiante. Montezemolo non era certo felice di lasciare la presidenza di Ferrari a Marchionne dopo vent’anni e una miriade di trofei in bacheca. Però Marchionne era una sorta di guru, indiscutibile, per il giovane John Elkann: aveva salvato la malandata Fiat, aveva concluso l’operazione con gli americani di Chrysler, aveva investito in Italia portando la produzione a un milione di veicoli (oggi è un miraggio), aveva riorganizzato le partecipazioni di famiglia, aveva intenzione di valorizzare il marchio Ferrari in un mercato più ampio. Così Marchionne organizzò il riassetto societario e la quotazione in Borsa: a ottobre 2015 a Milano, a gennaio 2016 a New York. Il prezzo per azioni in Italia fu fissato a 43 euro con un valore totale di 8,7 miliardi di euro. Oggi per un’azione Ferrari servono 450 euro e il valore è schizzato a 87 miliardi con una crescita esponenziale, quasi incalcolabile. La multinazionale Stellantis, originata dall’unione di Fiat Chrysler con i francesi di Peugeot, galleggia sotto i 40 miliardi.
Elkann ha in portafoglio ancora il 20 per cento di Ferrari che pesa circa 18 miliardi di euro e ne ha il pieno controllo col 30 per cento di diritti di voto. Ci sono opinioni disparate su Marchionne e l’industria automobilistica, il rapporto con i sindacati, la sintonia con Elkann, di sicuro se Ferrari è diventato un marchio globale il merito è di Marchionne. Se non vi fidate di giudizi frettolosi, sappiate che l’ha dichiarato Piero Ferrari, il figlio di Dino. Adesso tocca a Charles Leclerc e Lewis Hamilton infrangere il sortilegio che tiene il Cavallino lontano dal posto che gli spetta. Quello più alto del podio.